Da qualche anno mancavo il Salone del Gusto, il più classico degli appuntamenti di Slow Food a Torino.
Cominciamo da Torino; la ricordavo più pulita, più ordinata, più savoiarda, ma forse l’ultima volta ci ero stato vicino al tempo delle Olimpiadi.
Il mercato di Porta Palazzo è sempre un buon termometro dei tempi . Vivace e pulsante inizia a mostrare banchi di macelleria con specialità rumene e turche, mentre tutt’attorno, sull’ultimo tratto di Corso Giulio Cesare, si dispiegano le macellerie arabe e i negozi magrebini.
Poche le voci che si alzano dai banchetti: Cagliari, Catania e Reggio sono un ricordo e sono rimaste al sud a difendersi con i denti dalla globalizzazione.
I tram sono efficienti e silenziosi in Corso Giulio Cesare; merito anche questo delle Olimpiadi.
Il Salone del Gusto è al Lingotto, in fondo a Via Nizza.
Quartiere dove abitava gente giunta dal sud e dove stava, e ancora sta, ma è un’altra cosa, la Scuola Radio-Elettra, dispensatrice di nozioni e illusioni per corrispondenza, dal secondo dopoguerra e per gran parte del secolo trascorso.
Il Salone del Gusto è importante, ma un po’ più commerciale.
All’ingresso animalisti e contestatori alternativi, autoridotti e fuori dall’ottica del sistema, volantineggiano silenziosamente.
Ma possibile che non si possa stare in pace? Qualunque cosa si organizzi si troverà qualcuno che contesta, combatte ed è pure convinto di resistere.
Insomma uccidere un animale è un grave delitto, mentre recidere un carciofo, che ha il solo difetto di non guaire, barrire, miagolare o bramire, no, è una cosa legittima.
Verrà il tempo che compariranno anche i vegetalisti arrapati, divoratori di carne cruda che distribuiranno volantini contro le trebbiatrici.
Insomma ci sarà un futuro in cui bere latte sarà un delitto e non ci resteranno che i derivati dal petrolio di cui nutrirci senza complessi di colpa.
Ad ogni buon conto il Salone del Gusto meritava il viaggio. L’ho visitato a volo radente per cause intercorrenti e mi sono soffermato in particolare fra gli stand della Sicilia, della Toscana e della Lombardia.
Simpatico il padiglione dedicato alle delegazioni estere dove emerge l’attività culturale di Terra Madre.
Un momento di commozione l’ho avuta davanti allo stand dedicato agli Alpini in Afghanistan.
Mi è parsa infelice la scelta di distribuire gli stands dei birrifici artigianali fra quelli regionali, mentre l’enoteca aveva, come sempre un posto d’onore e a parte.
Io mi auguro che in un futuro prossimo, come in alcune edizioni precedenti, si torni a uno spazio tutto per la birra, artigianale o industriale che possa essere.