Trattoria cresciuta in fretta; osteria giunta faticosamente alla recensione sulla gialla guida Slow Food; ristorante che ha conquistato negli anni la stella della rossa Michelin; pizzeria che a mezzogiorno sfama muratori esausti e medici ipoglicemici, ma alla sera sa darsi un tono.
Nel parcheggio SUV lucidissimi e reduci da trekking sui marciapiedi di Milano, Audi silenziose di ginecologi, Mercedes SW di muratori e idraulici, polverose utilitarie di industriali nel tessile e pick-up 4 porte di artigiani piastrellisti.
Dalla carte dei menu, dalle lavagne finto rustico, da vetrine refrigerate e termostatate con impianto antiappannante fanno capolino fiere fiorentine.
La bontà della Chianina si cimenta con lo spessore della Scottona.
Tagliate alla rucola contendono la palma dell’eccellenza a filetti d’Angus.
Ai tavoli la fauna è divertente.
Le signore ostentano jeans firmati con mises più sexy; qualcuna resiste pateticamente con la pelliccia, ma il casual chic non ha più praticamente rivali.
Le signore in genere hanno avuto una buona educazione; se non l’hanno avuta si sforzano di dimostrare il contrario.
Le posate vengono maneggiate correttamente e silenziosamente; i calici e i bicchieri vengono sollevati con eleganza, i tovaglioli hanno ancora una loro dignità.
I signori no.
Maniche rimboccate con avambracci pelosi usano forchette e coltelli randomizzando l’impugnatura dal joystick al machete.
Affrontano a morsi robusti tranci di focaccia come bull mastiff affamati e si aiutano con le dita per ficcare in bocca gocciolanti e succosi triangoli di pizza capricciosa ripiegati in quattro.
I figli ovviamente li imitano, senza smettere di stuzzicare il Nintendo piazzato davanti al piatto come un navigatore satellitare.
Il cameriere mi chiede premuoso: Chianina, Scottona o Angus?
E io sornione: se cominciassimo dai maiali? Ma non mi segue, perso nel decolletè della vicina di tavolo.
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