Da tempo non scrivo più su questo blog. Dice chi mi conosce che ci scrivo solo quando le cose vanno male.
E allora è doveroso scrivere oggi, un giorno in cui mi sembra che tutto debba finire, senza alcuna forza per ricominciare.
I figli, i miei intendo, non ci sono quasi più, travolti dal loro futuro, dai loro sogni, dalle illusioni e dalle convenzioni.
La sostanza è che non hanno più bisogno di me.
Le figlie, non mie quelle, ci sono. Forse l’assenza di un padre fa loro apprezzare anche un surrogato frettoloso ed egoista come me.
Il lavoro incalza. Non so più se lavoro perché mi piace, per dimenticare, per amore del prossimo, per disperazione o solo perché non so fare altro che il medico.
Cosa rimane? Poche fotografie, qualche rimpianto, molti ricordi, una casa distrutta dall’insipienza senza i quattrini per ricostruirla, un po’ di debiti, un’automobile amata e usata.
Tanto affetto dai pazienti, da quelli speciali, da quelli che ci sono sempre anche se non ci sono più.
Tanti squilli di telefono, anche al sabato, anche alla domenica, anche di notte, da chi crede di essere un paziente e mi dimostra di essere solo un cliente.
Verrà una liberazione, ma quale?