Una mia infermiera
prediletta, Giovanna, ora lontana dalle scene per maternità, mi
chiedeva e si chiedeva questa sera su Facebook come mai tanto
scalpore attorno a Stamina.
Lasciamo Stamina alla
giustizia umana e soprattutto a quella, che mi auguro terribile, di
Dio.
Il fenomeno preoccupante è
ben altro.
Quello che preoccupa è il
ricorso dilagante alla medicine complementari e il rifiuto del metodo
scientifico.
I medici si meravigliano
del rifiuto di antibiotici e vaccini, due presidi che hanno quasi
raddoppiato l'aspettativa di vita dell'uomo occidentale nel corso
degli ultimi sei decenni.
I medici in realtà
dovrebbero in buona sostanza fare un'autocritica spietata.
Dovrebbero riconoscere che
negli ultimi quattro decenni i baricentri professionali sono
diventati la la tecnologia, il risultato terapeutico e la carriera.
Padroneggiare la tecnica,
ottenere risultati lusinghieri nella terapia e raggiungere una buona
qualità di vita sono obiettivi rispettabili e condivisibili.
Rispettabili e
condivisibili solo a condizione di riconoscere una posizione di
centralità del paziente.
Troppe volte e sempre più
il paziente viene relegato a ruolo di “utente” o “cliente” e
qui giunto non deve meravigliare che si rivolga altrove.
Una volta rassicurato
della sua centralità il paziente invece accetterà ogni terapia,
anche quella dell'acqua di fonte, dei colori cangianti e della
macrobiotica.
Rimane il grande rammarico
di non poter applicare ogni vero e documentato ritrovato della
scienza e della tecnica per alleviare ogni vera sofferenza mantenendo
il paziente nella sua centralità soggettiva e oggettiva.
Il sollievo della stretta
di mano al morente non può e non potrà mai essere sostituita da
alcun presidio tecnologico.
Il medico vero emerge
nella terapia palliativa, in quella che accompagna all'ultimo
viaggio.
Quando al centro della
professionalità del medico rimangono solo la carriera, la
realizzazione professionale e l'abilità tecnica apriamo le porte
alla malamedicina, alla negligenza e infine alla malasanità.
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