Nonostante sia in vacanza il cellulare squilla incessante; fortunatamente non c'è molto campo, ho trovato un angolo di Sicilia incantevole e un po' dimenticato, in fondo alla valle del Belice.
Ma
tant'è: e-mail, sms, whatsapp mi raggiungono ogni giorno per
consigli, suggerimenti e pareri, stimolati anche da fotografie di
sfoghi, eritemi, macule, papule e vescicole.
Non
sarei sincero se dicessi che mi disturbano.
Vigneti nella valle del Belice |
Mai
come in questi anni la fiducia nei medici è stata così bassa.
Fino
agli anni '40 del secolo scorso la principale differenza fra un
medico di campagna e uno stregone era il completo di lino invece
della zagaglia.
Per
i dolori di ogni giorno, per la cefalea, l'emicrania, la gastralgia,
il mal di denti e d'orecchi il medico non veniva disturbato. Per le
malattie esantematiche bastava e avanzava l'ostetrica. Il dottore
faceva la sua comparsa dal diabete e dall'ipertensione in su e quindi
per la difterite, per la malaria, per sentenziare un male incurabile
o uno innominabile.
Claude
Bernard e il suo metodo deduttivo raramente uscivano dalle aule
universitarie per ispirare terapie e interventi; i libri di clinica
medica e chirurgica, una volta laureato il proprietario, iniziavano
il loro polveroso calvario da uno scaffale a un armadio per finire
mestamente al macero dopo qualche decennio di onorata professione.
Eppure
la fiducia nel signor dottore in provincia era quasi assoluta, e le
eccezioni si riferivano a qualche professionista noto per le mani
lunghe a tastare morbidezze o a sollevare gonne.
Nel
quartiere dove ho trascorso buona parte della mia infanzia,
“Masonacce” di Regoledo di Cosio, mia zia teneva bottega,
privativa, tabaccheria e scuola di umanità.
C'era
chi entrava per qualche sigaretta sfusa, due/tre toscani o un
pacchetto di “Tabacco di prima” (qualità) chiamato anche
Trinciato Forte che una volta acceso gareggiava con le spuntature di
toscano, o “Tabacco di seconda” e con gli zampironi per appestare
l'aria circostante.
C'era
qualche anziana che arrivava in bottega ogni mattina, si apriva alle
6, per un'oncia di caffè e mezz'oncia di zucchero, ignara del
sistema metrico-decimale che da qualche decennio misurava farine e
granaglie in etti e chili.
Poi
c'era chi, afflitto dal mal di denti, del mal di testa, dal mal di
stomaco chiedeva due o tre “Calmin”.
“Tirà
giù 'n calmin” era il primo soccorso per ogni piccolo male
quotidiano; poi, in assenza di risposta terapeutica si poteva
prendere in considerazione l'idea di andare all'ambulatorio o, in
casi estremi, di chiamare il dottore a casa.
Kalmine
era il nome completo di una cialda o cachet, in dialetto “cascè”,
con la e aperta, che conteneva un'associazione di analgesici e
analettici.
Era
prodotto dall'azienda Achille Brioschi di Milano su licenza francese
e conteneva fra l'altro amidopirina, fenacetina e caffeina.
Stranamente
era in vendita oltre che nelle farmacie, anche nelle tabaccherie,
dove era entrata verosimilmente a rimorchio del Chinino di Stato.
L'amidopirina
è un antinfiammatorio e un antipiretico, la fenacetina è un
analgesico potente, può essere assunto anche da chi soffre di
favismo e non è gastrolesivo, quindi funzionava anche per le
gastralgie, che magari nascondevano una bell'ulcera peptica.
L'associazione
era geniale, ma la fenacetina alla lunga risultava nefrotossica.
La
salvezza dello stomaco si pagava alla lunga con l'insufficienza
renale.
Due
conti fra rapporto costo/beneficio, anche in epoca di approccio
euristico alla salute, portarono alla scomparsa del Kalmine.
1 commento:
è un piacere leggere i tuoi racconti, mi sembra un romanzo
buon lavoro dottore
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