Aeroporto
Vincenzo Bellini di Catania, anche se tutti lo chiamano ancora Fontanarossa.
Arrivo ai varchi un po’ in anticipo, non mi è molto abituale. Proprio per questo, riflesso condizionato, cerco automaticamente la fila più corta: è la “e” dove armeggia solitaria una coppia anzianotta.
Arrivo ai varchi un po’ in anticipo, non mi è molto abituale. Proprio per questo, riflesso condizionato, cerco automaticamente la fila più corta: è la “e” dove armeggia solitaria una coppia anzianotta.
Mi metto
ordinatamente in coda e con gesti automatici slaccio la cintura, sfilo l’orologio,
cerco in tasca le monete da togliere, butto il trolley sulla mensola per
estrarre l’ecografo come da regolamento.
Catania Fontanarossa |
La coppia
continua ad armeggiare.
Lei e lui hanno da poco passato la settantina e il passaporto li qualifica per Danesi.
Lui è impacciato, forse non viaggia spesso in aereo, o forse è impacciato di suo.
Lei lo sa, che è impacciato, e gli dà ordini perentori con cipiglio imperioso. Lui cerca di obbedire e afferra ora un oggetto ora l’altro e continua ad aspettare ordini, mansueto, occhi bassi.
Lei sempre più imperiosa e corrucciata non smette di dargli ordini, ma non sa assolutamente cosa fare, forse anche lei non vola spesso, anzi ne sono sicuro.
E così armeggiano da qualche minuto passandosi da una mano all’altra portafogli, monete, occhiali, senza decidersi a riempire la bacinella da infilare nelle fauci fameliche del tunnel a raggi x mentre il tapis roulant aspetta cigolando sommesso.
Intanto si è formata una bella file; io tossicchio discreto, ma il popolo dei Catanesi volanti dietro di noi non è altrettanto diplomatico.
Alla fine, attratto dalle esclamazioni colorite, un addetto esce dai varchi, prende sbrigativamente dalle mani della coppia mazzi di chiavi, occhiali da sole, monetame e orologi, li butta nella bacinella e spinge deciso gli sprovveduti attraverso i varchi.
Lui sorride grato, lei continua a berciare torva.
La fila si ricompone.
La vita è un viaggio.
Lei e lui hanno da poco passato la settantina e il passaporto li qualifica per Danesi.
Lui è impacciato, forse non viaggia spesso in aereo, o forse è impacciato di suo.
Lei lo sa, che è impacciato, e gli dà ordini perentori con cipiglio imperioso. Lui cerca di obbedire e afferra ora un oggetto ora l’altro e continua ad aspettare ordini, mansueto, occhi bassi.
Lei sempre più imperiosa e corrucciata non smette di dargli ordini, ma non sa assolutamente cosa fare, forse anche lei non vola spesso, anzi ne sono sicuro.
E così armeggiano da qualche minuto passandosi da una mano all’altra portafogli, monete, occhiali, senza decidersi a riempire la bacinella da infilare nelle fauci fameliche del tunnel a raggi x mentre il tapis roulant aspetta cigolando sommesso.
Intanto si è formata una bella file; io tossicchio discreto, ma il popolo dei Catanesi volanti dietro di noi non è altrettanto diplomatico.
Alla fine, attratto dalle esclamazioni colorite, un addetto esce dai varchi, prende sbrigativamente dalle mani della coppia mazzi di chiavi, occhiali da sole, monetame e orologi, li butta nella bacinella e spinge deciso gli sprovveduti attraverso i varchi.
Lui sorride grato, lei continua a berciare torva.
La fila si ricompone.
La vita è un viaggio.
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