Blasonato nel senso che il relatore era il professor Graf, nume tutelare e padre spirituale della terapia della displasia dell’’anca e della sua diagnostica.
Avevo scelto come base uno dei primi hotel insediati nei Sassi, esisteva da qualche mese e aveva un prezzo ragionevolissimo.
Mi ero preso qualche giorno in più per conoscere Matera.
La sua suggestione veniva dai miei libri scolastici di geografia e da una bambina, Rosanna, compagna in prima media, dai tratti delicati e dai capelli corvini, mai più rivista negli anni successivi, trascinata lontano da un padre emigrante alla disperata ricerca di lavoro al nord.
La vista della città e del vallo della Gravina dalla Murgia è spettacolo inaspettato e che toglie il fiato.
Ed era nato l’amore.
Amore platonico, come per una donna che incontri e che credi, o speri, non raggiungibile anche se ti sei perso nei suoi occhi.
Poi cinque anni dopo il nuovo incontro, questa volta con Costantino, incontrato nella nebbia bassa della brughiera frequentata dai pionieri di Anobii.
Costantino scrive, come scriveva suo padre.
Scrive della sua terra con sarcasmo amaro, con ironia sfumata e con ricamo d’aggettivi che non riescono a nascondere l’amore per questa Lucania che appare solo sua, come se fosse l’unico a conoscerne l’anima.
E questa volta è amore totale per questa città, irrazionale come dev’essere l’amore, senza spazio per ripensamenti o pentimenti. Così, se capito nel raggio di duecento chilometri da Matera non posso fare a meno di rivederla.
Inizio sempre dal belvedere della Murgia, che si sporge offrendo là, oltre la Gravina, il Sasso Barisano, dominato dalla cattedrale e il Sasso Caveoso, percorso dall’alto in basso e unito da saliscendi di “greti di ciottoli” lucidi e quasi umidi.
Poi anche il centro e, disordinatamente e con affanno nell’ansia di non vedere abbastanza, le chiese rupestri, il cimitero alle Malve, e la fuga fra i Sassi a cercare una porta che non porti all’ennesimo B&B.
Costantino è sornione, sorride sotto i baffi, a tratti apertamente, mentre mi indica qualche angolo o qualche scorcio e mi cede il passo per lasciarmi rapire da un’inquadratura, da un muro, da un gatto, da un tetto, da un grido.
Poi, quando per me sarebbe pomeriggio, mi scorta in trattoria, o in taverna, rimpiangendo piatti che non esistono più, e forse non sono mai esistiti ma avrebbero potuto, e mi esorta ad accontentarmi.
E arrivano antipasti insperati, pasta con le rape, carni grigliate a cui provvede condimento Costantino con arguzie inaspettate, graffianti e sarcastiche, come nei suoi libri.
La sera, dopo una puntata a Irsina o a Montescaglioso, la cerimonia del convivio si ripete, a volte con Pacifica, moglie e compagna che gli fa vellutata eco, come qui a fianco, al ristorante "Le lucanerie".
Alla fine riparto, ma so che tornerò a Matera.