6 febbraio – Fontanarossa è deserto. Sono tutti là, e aspettano che il fercolo di S. Agata attacchi in corsa l'acchianata di Sangiuliano.
Così ho passato i varchi in un battibaleno, scambiando amenità con le doganiere che si chiedono quanto sia strano il mio computer; e infatti è un ecografo.
E' quasi l'ultimo volo per Milano, ma non proprio l'ultimo perchè quello di Malpensa è in ritardo di un paio d'ore e non è ancora sceso planando a sud sopra Bronte e Paternò.
Il mio invece è miracolosamente in orario e nonostante i bollettini meteo simili a dispacci di guerra sonnecchia ronzando.
Mi sono riservato un finestrino in seconda fila.
Quando arrivo la prima fila è occupata totalmente da un portaborse che si prostra al telefono con un “dottore” dimenandosi in ogni direzione.
Spero con tutto il cuore che qualcuno gli faccia spegnere lo smartphone, ma non c'è niente da fare e la sviolinata prosegue dolciastra fino alla chiusura delle porte.
In prima fila arriva una giovane signora che lo fa sloggiare.
Quando vengono armati gli scivoli si rassegna e spegne l'attrezzo, poi si siede vicino a me.
Tenta un ultima telefonata alla moglie chiedendo di salutare i bambini, ma il piacere gli viene negato; si vede anche la signora detesta i portaborse.
Il sibilo rabbioso dei turbofan ci accompagna in alto nel cielo di Sicilia; l’Airbus vira verso nord sopra il castello di Calatabiano.
Il mio vicino apre la borsa e ne estrae in rapida successione un Ipad, un netbook Acer e un tablet Galaxy e poi li accende tutti insieme.
Inizia una consultazione frenetica di appunti cartacei, che poi straccia minuziosamente.
Io mi addormento dopo qualche pagina, sorridendo.
Mi sveglio che stiamo scendendo sulla pianura padana lucente e innevata sotto la luna.
Mentre sfioriamo l’abbazia di Chiaravalle scendono i carrelli, escono i flaps e il nostro febbrilmente spegne i suoi parafernali e li ripone in una capiente borsa porta-computer firmata.
Forse è la borsa del suo “dottore”, che gliel’ha lasciata per qualche ora; forse anche il Rolex d’acciaio è in prestito.
Scendiamo nella notte milanese; io mi avvio al nastro per recuperare le sonde dell’ecografo spedite in stiva, lui si tuffa nello smartphone con la voluttà di chi rivede un kebab dopo un tramonto di ramadam.
Così ho passato i varchi in un battibaleno, scambiando amenità con le doganiere che si chiedono quanto sia strano il mio computer; e infatti è un ecografo.
E' quasi l'ultimo volo per Milano, ma non proprio l'ultimo perchè quello di Malpensa è in ritardo di un paio d'ore e non è ancora sceso planando a sud sopra Bronte e Paternò.
Il mio invece è miracolosamente in orario e nonostante i bollettini meteo simili a dispacci di guerra sonnecchia ronzando.
Mi sono riservato un finestrino in seconda fila.
Quando arrivo la prima fila è occupata totalmente da un portaborse che si prostra al telefono con un “dottore” dimenandosi in ogni direzione.
Spero con tutto il cuore che qualcuno gli faccia spegnere lo smartphone, ma non c'è niente da fare e la sviolinata prosegue dolciastra fino alla chiusura delle porte.
In prima fila arriva una giovane signora che lo fa sloggiare.
Quando vengono armati gli scivoli si rassegna e spegne l'attrezzo, poi si siede vicino a me.
Tenta un ultima telefonata alla moglie chiedendo di salutare i bambini, ma il piacere gli viene negato; si vede anche la signora detesta i portaborse.
Il sibilo rabbioso dei turbofan ci accompagna in alto nel cielo di Sicilia; l’Airbus vira verso nord sopra il castello di Calatabiano.
Il mio vicino apre la borsa e ne estrae in rapida successione un Ipad, un netbook Acer e un tablet Galaxy e poi li accende tutti insieme.
Inizia una consultazione frenetica di appunti cartacei, che poi straccia minuziosamente.
Io mi addormento dopo qualche pagina, sorridendo.
Mi sveglio che stiamo scendendo sulla pianura padana lucente e innevata sotto la luna.
Mentre sfioriamo l’abbazia di Chiaravalle scendono i carrelli, escono i flaps e il nostro febbrilmente spegne i suoi parafernali e li ripone in una capiente borsa porta-computer firmata.
Forse è la borsa del suo “dottore”, che gliel’ha lasciata per qualche ora; forse anche il Rolex d’acciaio è in prestito.
Scendiamo nella notte milanese; io mi avvio al nastro per recuperare le sonde dell’ecografo spedite in stiva, lui si tuffa nello smartphone con la voluttà di chi rivede un kebab dopo un tramonto di ramadam.
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