- Buongiorno dottore, mi scusi se la disturbo a quest'ora, dirà che sono una rompiballe...
- No, Signora non lo dico.
- Perchè non lo dice?
- Perchè ho avuto un'educazione borghese e il mio papà mi avrebbe rimproverato.
- Però lo pensa...
- Cos'è un processo alle intenzioni? Qual'è il problema?
- Lei dirà che è una scemenza...
- Mi dica!
- Il mio bambino ha un foruncolino.
- Sul pisellino?
- No, ma mi prende in giro?
- No, mi veniva una rima baciata, se fosse stato un flemmone...
- Mi prende in giro?
- No, signora, mi dica dov'è il foruncolino e il colore.
- E' sul collo; è rosso e un po' giallo...
- E' rosso? E' giallo?
- Un po' rosso, ma anche giallo!
- E' arancione?
- No, insomma, mi dica qual'è il problema.
- Ero preoccupata.
- Beh, non credo ci sia molto da fare...
- Ecco, adesso sono più tranquilla.
- Bene
- Allora adesso può tornare a mangiare!
- Ma cose la fa pensare che stessi pranzando?
- Insomma alle 13.14 di domenica di solito...
- Ma allora, se era così sicura perchè mi ha chiamato?
- Perchè ero sicuro di trovarla, in ospedale è così difficile...
- Infatti, in ospedale non mangio, di solito.
- Mi prende in giro?
- Io? Ma che dice? Signora cosa fa suo marito?
-
Il commercialista!
- Quindi ha studiato più o meno come me?
- Più o meno.
- Se lo chiamassi alle 13.14 della domenica perchè ho trovato in tasca uno scontrino sbagliato cosa direbbe?
- Mi prende in giro?
- Io, no, però credo che mi esploderebbe il cellulare nelle mani...
- Ma mio marito non ha avuto un'educazione borghese...
- Mi prende in giro?
Immagini catturate con lo scanner, con la fotocamera, con la sonda dell'ecografo, con il pensiero. Immagini che quasi sempre sono frutto della casualità e dell'intuizione.
19 gennaio 2013
Mi prende in giro?
12 gennaio 2013
Ah, capisco.... ovvero un sabato in Pediatria
- Dottore posso parlarle un momento?
- Si, certo, sono qui anche per questo, è
il mio lavoro, ci mancherebbe...
- E' per il bambino, mi hanno detto che
forse ha l'epilessia, ma il tracciato non arriva.
- Guardi, sembra sia caduto
all'improvviso, l'importante è che non si sia fatto male.
- Sì, ma chi me lo dice?
- Abbiamo fatto un Tac, l'ha visto il
neurochirurgo e ha fatto anche una risonanza, non ci sono lesioni
legate alla caduta.
- Sì, ma quando saprò qualcosa di
definitivo?
- Senta, Signor Minipimero, il piccolo ha
fatto in 24 ore una tac, una risonanza, un elettroencefalogramma e
due valutazioni neurochirurgiche; qualche volta, in qualche altro
ospedale ci vuole più tempo!
- Sì, ma l'elettroencefalogramma non è
ancora refertato.
- Vabbè, ma la cosa importante è che
non abbia riportato danni e poi lei vuole andare a casa subito; se
vuole attendere il referto dovrebbe aspettare due giorni, oggi è
sabato...
- No ma lui ha una visita la prossima
settimana per la medicina dello sport.
- Ah sì? E che sport pratica?
- La moto!
- Ah, capisco... ma non è presto a 9
anni?
- No, Valentino Rossi ha cominciato così.
- Ah, capisco... Ma allora qual'è il
problema?
- Se ha l'elettroencefalogramma piatto
(sic!) magari non lo fanno idoneo!
- Ah, capisco... Ma sa, se fosse stata
una crisi convulsiva sarebbe meglio aspettare... il referto... la
visita della neurologa...
- Ma lì c'ha 'l casco, mica come a
scuola.
- Ah, capisco...
[…]
- Buongiorno Signora; è arrivata con
l'ambulanza del 118?
- Eh sì, mio marito era a lavorare...
- Ah, capisco...
- La bambina aveva la febbre e i brividi
di freddo.
- Bene; e cos'ha fatto? Gli ha dato
[famoso nome commerciale del paracetamolo] in supposte?
- Sì! Ma non passava e la bambina aveva
i brividi di freddo!
- E' la prima figlia?
- Sì!
- E cos'ha fatto?
- Ho usato il phon...
- Ah, capisco... L'asciugacapelli?
- Sì, perchè aveva tanto freddo alle
mani.
- Ma questa è un'ustione di primo grado,
Sciura!
- Eh sì, ma aveva i brividi...
- Bene la ricoveriamo.
- Ma perchè, è grave?
- Signora, scusi, ha ustionato le braccia
alla bambina con un asciugacapelli, ha chiamato un'ambulanza del 118
con un rianimatore, un'infermiera e un defibrillatore perchè non
c'era suo marito; che cosa sarebbe grave?
- Ma la bambina aveva i brividi!
- Ah, capisco...
06 gennaio 2013
Scrivevamo alla marinara? No, all’italiana.
Dalla rivista "Alpes", gennaio 2000
Questo
incidente ferroviario è avvenuto nel 1960; lo ricordo bene; ero un
bambino. Fra i viaggiatori di quel treno c’erano due o tre persone
che conoscevo, che incontravo per la strada e che mi salutavano.
L’evento per la prima volta entrava nella mia
vita. Non come ora, che la televisione, se glielo permettiamo, ci
porta in ogni casa ogni giorno la guerra, la violenza, il sesso e la
morte.
A
casa mia la televisione non era ancora arrivata. Si leggeva il
Corriere e si ascoltava Radiosera, in silenzio perché il papà
voleva ascoltare e a noi ragazzi veniva da ridere proprio in quei
pochi minuti.
Allora
le immagini te le creavi nella mente e vedevi il locomotore marrone
accartocciato, le vetture rovesciate, i morti pallidi e immobili;
immaginavi il suono delle sirene ed erano le sirene dei pompieri di
Morbegno moltiplicate tante volte.
Poi
il giorno dopo arrivavano le immagini vere sul Corriere della Sera,
ma sfumate, scure, sfocate, censurate. Le fotografie dei cadaveri
erano riservate a morti lontani e irriconoscibili: allora si moriva
in Algeria e in Congo Belga.
Le
cronache
dell’incidente,
rilette
a
distanza
di
quarant’anni
sono
quasi
pittoresche
e
molto
interessanti
sul
piano
sociologico,
ma
povere
di
notizie
e
prive
di
particolari
tecnici
precisi.
Ho
avuto sotto mano alcuni numeri de “Il Cittadino”, quotidiano
cattolico di Monza.
Nella retorica del tempo vengono menzionate tutte le
autorità che si sono precipitate sul luogo del disastro; quelle
dimenticate il primo giorno vengono ricordate fortunatamente il
giorno dopo; è il caso, ad esempio, del Corpo dei Vigili Urbani,
che il 7 gennaio era stato dimenticato, ed è comparso il giorno 8 in
terza pagina.
I
funerali vengono descritti con dovizia di particolari, e le
fotografie si soffermano ancora una volta sulle Autorità presenti.
Oggi
si cercherebbe sin dal primo minuto un responsabile oppure, per
guadagnare tempo e tiratura, almeno un capro espiatorio da trovare
anche con scelta randomizzata, e tanto peggio per lui, la sua
reputazione, la sua famiglia, i suoi affetti.
Che
dietro questa catastrofe ci fosse errore umano, negligenza o
imperizia, balza agli occhi smaliziati di chi legge oggi. Allora
invece no.
Il
primo macchinista, che ancora si chiamava “Maestro”, come ai
tempi della trazione a vapore, morì nell’incidente. L’assistente
rimase ferito lievemente.
Pare
che gli accordi prima della partenza fossero che il Maestro avrebbe
condotto il treno sino a Lecco, mentre l’assistente avrebbe preso
i comandi dalla città lariana fino a Milano.
Cosa
avvenne nella cabina di guida del locomotore 626.215? Forse non lo
sapremo mai. L’assistente macchinista sostenne che alla guida del
treno c’era il Maestro. Il vecchio macchinista però venne trovato
schiacciato fra i rottami nella parte destra della cabina, che rimase
distrutta nell’incidente. Ma sulle locomotive del tipo 626 a destra
non ci sono né i comandi del freno, né quelli del reostato. Vicino
ai comandi, venne trovato l’assistente.
Il
capotreno e alcuni viaggiatori hanno testimoniato che i petardi
regolamentari esplosero e l’inchiesta dimostrò che i segnali erano
attivi, ma nessuno ricorda la scarica d’aria compressa che annuncia
l’attivazione del freno.
Forse
il vecchio macchinista si era appisolato, passando dal sonno alla
morte e l’assistente si perse nella nebbia mentre tentava di
recuperare il ritardo.
Alla
fine di numerosi processi, l’ultimo dei quali nel 1967 tutti
vennero assolti, in secondo o terzo grado, perchè eravamo già in
Italia, anche nel 1960.
05 gennaio 2013
5 gennaio 1960
Dalla rivista "Alpes", dicembre 1999
Martedì 5 gennaio 1960, ore 5 del mattino. Il treno
"341" si muove lentamente. Le vetture sussultano passando sugli
scambi all’uscita dalla stazione di Sondrio.
E’ molto freddo. Il convoglio
inizia il suo viaggio verso Milano fermandosi a tutte le stazioni.
A Sondrio
sono salite poche persone; poche saliranno a Berbenno e Ardenno; qualcuna in
più a Morbegno. Le carrozze sono molto vecchie, alcune hanno ancora le panche
di legno e cento porte; anche il locomotore è vecchio; è uno dei primi modelli
di locomotiva elettrica; costruito più di trent'anni prima.
La guerra è
finita da quindici anni e l'Italia è nel pieno del miracolo economico, ma in
Valtellina il miracolo non è ancora arrivato.
Le
automobili sono poche. L'economia è ancora soprattutto agricola. In ogni casa
si alleva qualche bestia; nei paesi più piccoli sono poche le case con l'acqua
corrente e il tempo è ancora scandito dai campanacci delle mucche che vanno
all'abbeverata due volte al giorno.
Le strade
sono selciate. Girano ancora cavalli e muli anche se i più intraprendenti hanno
applicato ruote gommate ai carri.
I programmi
della radio sono solo due e le trasmissioni cominciano alle sette e mezzo del
mattino. Da sei anni anche in Italia c'è la televisione. Quel martedì le
trasmissioni inizieranno alle tredici e trenta con Telescuola.
Nei paesi
ci si alza molto presto per mungere; il silenzio della notte è interrotto a
tratti dal clangore delle conche e dei secchi delle latterie turnarie dove i
casari hanno iniziato a lavorare alla stessa ora dei prestinai.
Le
industrie non sono molte: la Metallurgica Martinelli a Morbegno, la Carcano a
Delebio, la Snam a Talamona, la Talea a Cosio e il Cotonificio Fossati a
Sondrio. Dove possono gli operai si avviano al lavoro in bicicletta; qualcuno
ha già acquistato la motocicletta o lo scooter.
Il treno
locale, che qui si chiama "accellerato", prosegue il suo lento viaggio
verso Milano. Dopo Morbegno ad ogni stazione sale qualcuno. Gli studenti
universitari sono pochi in questi anni e comunque sono tutti a casa per le
vacanze natalizie.
I
viaggiatori portano valige e ceste.
Sono i
"corrieri". Uomini e donne, la maggior parte non sono più
giovanissimi; contribuiscono al bilancio famigliare portando burro, uova e
polli a Lecco e a Milano. Ognuno ha i suoi clienti affezionati: ristoranti,
trattorie e famiglie borghesi in città
attendono i "corrieri" valtellinesi, che finito il loro giro tornano ai
paesi alla sera con il treno.
Le vetture
ferroviarie si scaldano e si riempiono di questa umanità a suo modo
intraprendente e chiacchierona che appesta l'aria con il fumo delle Nazionali e
delle Alfa.
Dopo Colico
salgono altri viaggiatori che arrivano anche dalla Valchiavenna: ci sono
impiegati e operai che vanno a Mandello, dove c'è la Moto Guzzi, altri scendono
sino a Lecco, dove si stanno moltiplicando le fabbriche metallurgiche e di
minuterie metalliche.
A Lecco ne
salgono altri; tanti operai e impiegati che sciamano a Milano, dove i posti di
lavoro nascono quasi ogni giorno.
Dopo
Usmate e Carnate ormai il treno è pieno: quasi mille persone viaggiano su quel treno
rumoroso. La mattina è gelida e al di là dei vetri appannati la nebbia
fittissima nasconde il paesaggio della pianura brianzola che si risveglia dalla
lunga notte invernale.
Poco prima
della stazione di Monza, a Villasanta, ci dei lavori in corso sulle rotaie; si
sta costruendo un cavalcavia.
I treni
devono rallentare e percorrere a dieci chilometri all'ora un binario
provvisorio su un terrapieno, prima di entrare in stazione.
I lavori
durano da mesi e quando il convoglio inizia a rallentare i pendolari che
scendono a Monza ogni mattina infilano i cappotti e si accalcano verso le
porte.
Questa
mattina il treno non rallenta. Corre e ignora i segnali luminosi e i petardi
messi sulle rotaie a segnalare il pericolo. I viaggiatori si guardano
increduli. Quelli che devono scendere a Monza si affrettano verso le porte
mentre il convoglio prosegue in piena velocità. Forse la nebbia fitta ha
nascosto i segnali di linea; forse un colpo di sonno ha impedito ai macchinisti
di sentire gli scoppi dei petardi di
segnalazione.
Il convoglio è
pesante e porta alcuni minuti di ritardo ma il vecchio locomotore, ormai
arrivato in pianura, riesce ancora a trainare oltre i novanta all'ora le
vecchie carrozze marroni.
Sono circa
le otto del mattino quando l'accellerato Sondrio - Milano piomba con fragore, a
tutta velocità, sul binario provvisorio. Non può sperare di percorrerlo a
quella velocità.
Con un
boato agghiacciante la locomotiva esce dalle rotaie e trascina nella scarpata
le prime due vetture.
La prima si
schianta contro il muro di un capannone industriale; la seconda si accartoccia.
Altre due si fermano in bilico sul terrapieno; altre si arrestano deragliate
sulla massicciata.
La nebbia
fittissima copre la scena terrificante dei vagoni squarciati e dopo un attimo
di silenzio irreale iniziano le urla dei feriti imprigionati fra le lamiere.
I soccorsi
sono generosi, ma difficoltosi e disorganizzati. Nella nebbia affluiscono
infermieri dall'Ospedale di Monza, operai dai capannoni delle fabbriche,
volontari, volonterosi e curiosi. Accorrono ambulanze grigie e autopompe
amaranto dei Vigili del Fuoco, scure millecento dei Carabinieri e Alfa Romeo
della Polizia verdi.
La città
risuona di decine di sirene. Nei caffè di Monza, nell’odore di segatura umida e
fumo, corrono notizie frammentarie; non si sa molto: chi parla di uno scontro
ferroviario, chi di un quadrimotore precipitato poco dopo il decollo
dall'aeroporto di Linate.
Nella tarda
mattinata il sole dirada la nebbia e si presenta lo spettacolo
apocalittico.
Si contano
15 morti e 120 feriti, cinque dei quali vengono dalle nostre valli.
04 gennaio 2013
Dieci e non più dieci
Il 5 gennaio 1960 ci fu uno dei più gravi incidenti ferroviari a Monza.
Domani trascriverò pari pari il primo di due articoli scritti nel 1999 e apparsi sulla rivista Alpes di Sondrio, allora diretta dal mio amico Aldo Genoni.
Ho ritrovato questi articoli qualche mese fa e ho deciso di ripubblicarli sul blog così come sono stati scritti, forse con l'enfasi di dieci anni di meno.
Ricordo bene quell'inizio del 1960.
Avevo nove anni ed era il primo giro di decennio.
La stessa emozione, ma con molta ironia in più, l'avrei provata quarant'anni dopo, al giro di secolo e di millennio e aspettando invano il "Millennium bug" in ospedale.
Ma già mi aspettavo grandi cose dal decennio che iniziava e infatti l'uomo sbarcò sulla Luna nove anni dopo.
Ma era il 1960, un anno dopo il 1959. Mentre in Inghilterra girava la Mini Minor a Regoledo giravano ancora carri e cavalli.
D'estate chi si avventurava su per la Valsassina si fermava a Ballabio con il cofano fumante aperto aspettando che la sua Fiat 600 smaltisse i bollori come liceale in amore.
Trascorrevo domeniche spensierate invernali sulla neve ed estive trascinato da un rifugio all'altro.
Ma era il 1960, un anno dopo il 1959 e il decennio iniziò proprio male.
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