19 gennaio 2013

Mi prende in giro?

  • Buongiorno dottore, mi scusi se la disturbo a quest'ora, dirà che sono una rompiballe...
  • No, Signora non lo dico.
  • Perchè non lo dice?
  • Perchè ho avuto un'educazione borghese e il mio papà mi avrebbe rimproverato.
  • Però lo pensa...
  • Cos'è un processo alle intenzioni? Qual'è il problema?
  • Lei dirà che è una scemenza...
  • Mi dica!
  • Il mio bambino ha un foruncolino.
  • Sul pisellino?
  • No, ma mi prende in giro?
  • No, mi veniva una rima baciata, se fosse stato un flemmone...
  • Mi prende in giro?
  • No, signora, mi dica dov'è il foruncolino e il colore.
  • E' sul collo; è rosso e un po' giallo...
  • E' rosso? E' giallo?
  • Un po' rosso, ma anche giallo!
  • E' arancione?
  • California dreaming
    Mi prende in giro?
  • No, insomma, mi dica qual'è il problema.
  • Ero preoccupata.
  • Beh, non credo ci sia molto da fare...
  • Ecco, adesso sono più tranquilla.
  • Bene
  • Allora adesso può tornare a mangiare!
  • Ma cose la fa pensare che stessi pranzando?
  • Insomma alle 13.14 di domenica di solito...
  • Ma allora, se era così sicura perchè mi ha chiamato?
  • Perchè ero sicuro di trovarla, in ospedale è così difficile...
  • Infatti, in ospedale non mangio, di solito.
  • Mi prende in giro?
  • Io? Ma che dice? Signora cosa fa suo marito?
  • Il commercialista!
  • Quindi ha studiato più o meno come me?
  • Più o meno.
  • Se lo chiamassi alle 13.14 della domenica perchè ho trovato in tasca uno scontrino sbagliato cosa direbbe?
  • Mi prende in giro?
  • Io, no, però credo che mi esploderebbe il cellulare nelle mani...
  • Ma mio marito non ha avuto un'educazione borghese...
  • Mi prende in giro?

12 gennaio 2013

Ah, capisco.... ovvero un sabato in Pediatria

- Dottore posso parlarle un momento?
- Si, certo, sono qui anche per questo, è il mio lavoro, ci mancherebbe...
- E' per il bambino, mi hanno detto che forse ha l'epilessia, ma il tracciato non arriva.
- Guardi, sembra sia caduto all'improvviso, l'importante è che non si sia fatto male.
- Sì, ma chi me lo dice?
- Abbiamo fatto un Tac, l'ha visto il neurochirurgo e ha fatto anche una risonanza, non ci sono lesioni legate alla caduta.
- Sì, ma quando saprò qualcosa di definitivo?
- Senta, Signor Minipimero, il piccolo ha fatto in 24 ore una tac, una risonanza, un elettroencefalogramma e due valutazioni neurochirurgiche; qualche volta, in qualche altro ospedale ci vuole più tempo!
- Sì, ma l'elettroencefalogramma non è ancora refertato.
- Vabbè, ma la cosa importante è che non abbia riportato danni e poi lei vuole andare a casa subito; se vuole attendere il referto dovrebbe aspettare due giorni, oggi è sabato...
- No ma lui ha una visita la prossima settimana per la medicina dello sport.
- Ah sì? E che sport pratica?
- La moto!
- Ah, capisco... ma non è presto a 9 anni?
- No, Valentino Rossi ha cominciato così.
- Ah, capisco... Ma allora qual'è il problema?
- Se ha l'elettroencefalogramma piatto (sic!) magari non lo fanno idoneo!
- Ah, capisco... Ma sa, se fosse stata una crisi convulsiva sarebbe meglio aspettare... il referto... la visita della neurologa...
- Ma lì c'ha 'l casco, mica come a scuola.
- Ah, capisco...
[…]
- Buongiorno Signora; è arrivata con l'ambulanza del 118?
- Eh sì, mio marito era a lavorare...
- Ah, capisco...
- La bambina aveva la febbre e i brividi di freddo.
- Bene; e cos'ha fatto? Gli ha dato [famoso nome commerciale del paracetamolo] in supposte?
- Sì! Ma non passava e la bambina aveva i brividi di freddo!
- E' la prima figlia?
- Sì!
- E cos'ha fatto?
- Ho usato il phon...
- Ah, capisco... L'asciugacapelli?
- Sì, perchè aveva tanto freddo alle mani.
- Ma questa è un'ustione di primo grado, Sciura!
- Eh sì, ma aveva i brividi...
- Bene la ricoveriamo.
- Ma perchè, è grave?
- Signora, scusi, ha ustionato le braccia alla bambina con un asciugacapelli, ha chiamato un'ambulanza del 118 con un rianimatore, un'infermiera e un defibrillatore perchè non c'era suo marito; che cosa sarebbe grave?
- Ma la bambina aveva i brividi!
- Ah, capisco...

06 gennaio 2013

Scrivevamo alla marinara? No, all’italiana.

Dalla rivista "Alpes", gennaio 2000

Questo incidente ferroviario è avvenuto nel 1960; lo ricordo bene; ero un bambino. Fra i viaggiatori di quel treno c’erano due o tre persone che conoscevo, che incontravo per la strada e che mi salutavano.
L’evento per la prima volta entrava nella mia vita. Non come ora, che la televisione, se glielo permettiamo, ci porta in ogni casa ogni giorno la guerra, la violenza, il sesso e la morte.
A casa mia la televisione non era ancora arrivata. Si leggeva il Corriere e si ascoltava Radiosera, in silenzio perché il papà voleva ascoltare e a noi ragazzi veniva da ridere proprio in quei pochi minuti.
Allora le immagini te le creavi nella mente e vedevi il locomotore marrone accartocciato, le vetture rovesciate, i morti pallidi e immobili; immaginavi il suono delle sirene ed erano le sirene dei pompieri di Morbegno moltiplicate tante volte.
Poi il giorno dopo arrivavano le immagini vere sul Corriere della Sera, ma sfumate, scure, sfocate, censurate. Le fotografie dei cadaveri erano riservate a morti lontani e irriconoscibili: allora si moriva in Algeria e in Congo Belga.
Le cronache dell’incidente, rilette a distanza di quarant’anni sono quasi pittoresche e molto interessanti sul piano sociologico, ma povere di notizie e prive di particolari tecnici precisi.
Ho avuto sotto mano alcuni numeri de “Il Cittadino”, quotidiano cattolico di Monza.
Nella retorica del tempo vengono menzionate tutte le autorità che si sono precipitate sul luogo del disastro; quelle dimenticate il primo giorno vengono ricordate fortunatamente il giorno dopo; è il caso, ad esempio, del Corpo dei Vigili Urbani, che il 7 gennaio era stato dimenticato, ed è comparso il giorno 8 in terza pagina.
I funerali vengono descritti con dovizia di particolari, e le fotografie si soffermano ancora una volta sulle Autorità presenti.
Oggi si cercherebbe sin dal primo minuto un responsabile oppure, per guadagnare tempo e tiratura, almeno un capro espiatorio da trovare anche con scelta randomizzata, e tanto peggio per lui, la sua reputazione, la sua famiglia, i suoi affetti.
Che dietro questa catastrofe ci fosse errore umano, negligenza o imperizia, balza agli occhi smaliziati di chi legge oggi. Allora invece no.
Il primo macchinista, che ancora si chiamava “Maestro”, come ai tempi della trazione a vapore, morì nell’incidente. L’assistente rimase ferito lievemente.
Pare che gli accordi prima della partenza fossero che il Maestro avrebbe condotto il treno sino a Lecco, mentre l’assistente avrebbe preso i comandi dalla città lariana fino a Milano.
Cosa avvenne nella cabina di guida del locomotore 626.215? Forse non lo sapremo mai. L’assistente macchinista sostenne che alla guida del treno c’era il Maestro. Il vecchio macchinista però venne trovato schiacciato fra i rottami nella parte destra della cabina, che rimase distrutta nell’incidente. Ma sulle locomotive del tipo 626 a destra non ci sono né i comandi del freno, né quelli del reostato. Vicino ai comandi, venne trovato l’assistente.
Il capotreno e alcuni viaggiatori hanno testimoniato che i petardi regolamentari esplosero e l’inchiesta dimostrò che i segnali erano attivi, ma nessuno ricorda la scarica d’aria compressa che annuncia l’attivazione del freno.
Forse il vecchio macchinista si era appisolato, passando dal sonno alla morte e l’assistente si perse nella nebbia mentre tentava di recuperare il ritardo.
Alla fine di numerosi processi, l’ultimo dei quali nel 1967 tutti vennero assolti, in secondo o terzo grado, perchè eravamo già in Italia, anche nel 1960.

05 gennaio 2013

5 gennaio 1960



Dalla rivista "Alpes", dicembre 1999



Martedì 5 gennaio 1960, ore 5 del mattino. Il treno "341" si muove lentamente. Le vetture sussultano passando sugli scambi all’uscita dalla stazione di Sondrio. 
E’ molto freddo. Il convoglio inizia il suo viaggio verso Milano fermandosi a tutte le stazioni. 
A Sondrio sono salite poche persone; poche saliranno a Berbenno e Ardenno; qualcuna in più a Morbegno. Le carrozze sono molto vecchie, alcune hanno ancora le panche di legno e cento porte; anche il locomotore è vecchio; è uno dei primi modelli di locomotiva elettrica; costruito più di trent'anni prima.
La guerra è finita da quindici anni e l'Italia è nel pieno del miracolo economico, ma in Valtellina il miracolo non è ancora arrivato.
Le automobili sono poche. L'economia è ancora soprattutto agricola. In ogni casa si alleva qualche bestia; nei paesi più piccoli sono poche le case con l'acqua corrente e il tempo è ancora scandito dai campanacci delle mucche che vanno all'abbeverata due volte al giorno.
Le strade sono selciate. Girano ancora cavalli e muli anche se i più intraprendenti hanno applicato ruote gommate ai carri.
I programmi della radio sono solo due e le trasmissioni cominciano alle sette e mezzo del mattino. Da sei anni anche in Italia c'è la televisione. Quel martedì le trasmissioni inizieranno alle tredici e trenta con Telescuola.
Nei paesi ci si alza molto presto per mungere; il silenzio della notte è interrotto a tratti dal clangore delle conche e dei secchi delle latterie turnarie dove i casari hanno iniziato a lavorare alla stessa ora dei prestinai.
Le industrie non sono molte: la Metallurgica Martinelli a Morbegno, la Carcano a Delebio, la Snam a Talamona, la Talea a Cosio e il Cotonificio Fossati a Sondrio. Dove possono gli operai si avviano al lavoro in bicicletta; qualcuno ha già acquistato la motocicletta o lo scooter.
Il treno locale, che qui si chiama "accellerato", prosegue il suo lento viaggio verso Milano. Dopo Morbegno ad ogni stazione sale qualcuno. Gli studenti universitari sono pochi in questi anni e comunque sono tutti a casa per le vacanze natalizie.
I viaggiatori portano valige e ceste.
Sono i "corrieri". Uomini e donne, la maggior parte non sono più giovanissimi; contribuiscono al bilancio famigliare portando burro, uova e polli a Lecco e a Milano. Ognuno ha i suoi clienti affezionati: ristoranti, trattorie  e famiglie borghesi in città attendono i "corrieri" valtellinesi, che finito il loro giro tornano ai paesi alla sera con il treno.
Le vetture ferroviarie si scaldano e si riempiono di questa umanità a suo modo intraprendente e chiacchierona che appesta l'aria con il fumo delle Nazionali e delle Alfa.
Dopo Colico salgono altri viaggiatori che arrivano anche dalla Valchiavenna: ci sono impiegati e operai che vanno a Mandello, dove c'è la Moto Guzzi, altri scendono sino a Lecco, dove si stanno moltiplicando le fabbriche metallurgiche e di minuterie metalliche.
A Lecco ne salgono altri; tanti operai e impiegati che sciamano a Milano, dove i posti di lavoro nascono quasi ogni giorno.
Dopo Usmate e Carnate ormai il treno è pieno: quasi mille persone viaggiano su quel treno rumoroso. La mattina è gelida e al di là dei vetri appannati la nebbia fittissima nasconde il paesaggio della pianura brianzola che si risveglia dalla lunga notte invernale. 
Poco prima della stazione di Monza, a Villasanta, ci dei lavori in corso sulle rotaie; si sta costruendo un cavalcavia.
I treni devono rallentare e percorrere a dieci chilometri all'ora un binario provvisorio su un terrapieno, prima di entrare in stazione.
I lavori durano da mesi e quando il convoglio inizia a rallentare i pendolari che scendono a Monza ogni mattina infilano i cappotti e si accalcano verso le porte.
Questa mattina il treno non rallenta. Corre e ignora i segnali luminosi e i petardi messi sulle rotaie a segnalare il pericolo. I viaggiatori si guardano increduli. Quelli che devono scendere a Monza si affrettano verso le porte mentre il convoglio prosegue in piena velocità. Forse la nebbia fitta ha nascosto i segnali di linea; forse un colpo di sonno ha impedito ai macchinisti di sentire  gli scoppi dei petardi di segnalazione.
Il convoglio è pesante e porta alcuni minuti di ritardo ma il vecchio locomotore, ormai arrivato in pianura, riesce ancora a trainare oltre i novanta all'ora le vecchie carrozze marroni.
Sono circa le otto del mattino quando l'accellerato Sondrio - Milano piomba con fragore, a tutta velocità, sul binario provvisorio. Non può sperare di percorrerlo a quella velocità.
Con un boato agghiacciante la locomotiva esce dalle rotaie e trascina nella scarpata le prime due vetture.
La prima si schianta contro il muro di un capannone industriale; la seconda si accartoccia. Altre due si fermano in bilico sul terrapieno; altre si arrestano deragliate sulla massicciata.
La nebbia fittissima copre la scena terrificante dei vagoni squarciati e dopo un attimo di silenzio irreale iniziano le urla dei feriti imprigionati fra le lamiere.
I soccorsi sono generosi, ma difficoltosi e disorganizzati. Nella nebbia affluiscono infermieri dall'Ospedale di Monza, operai dai capannoni delle fabbriche, volontari, volonterosi e curiosi. Accorrono ambulanze grigie e autopompe amaranto dei Vigili del Fuoco, scure millecento dei Carabinieri e Alfa Romeo della Polizia verdi.
La città risuona di decine di sirene. Nei caffè di Monza, nell’odore di segatura umida e fumo, corrono notizie frammentarie; non si sa molto: chi parla di uno scontro ferroviario, chi di un quadrimotore precipitato poco dopo il decollo dall'aeroporto di Linate.
Nella tarda mattinata il sole dirada la nebbia e si presenta lo spettacolo apocalittico. 
Si contano 15 morti e 120 feriti, cinque dei quali vengono dalle nostre valli.


04 gennaio 2013

Dieci e non più dieci


Il 5 gennaio 1960 ci fu uno dei più gravi incidenti ferroviari a Monza.
Domani trascriverò pari pari il primo di due articoli scritti nel 1999 e apparsi sulla rivista Alpes di Sondrio, allora diretta dal mio amico Aldo Genoni.
Ho ritrovato questi articoli qualche mese fa e ho deciso di ripubblicarli sul blog così come sono stati scritti, forse con l'enfasi di dieci anni di meno.
Ricordo bene quell'inizio del 1960. 
Avevo nove anni ed era il primo giro di decennio.  
La stessa emozione, ma con molta ironia in più, l'avrei provata quarant'anni dopo, al giro di secolo e di millennio  e aspettando invano il "Millennium bug" in ospedale.
Ma già mi aspettavo grandi cose dal decennio che iniziava e infatti l'uomo sbarcò sulla Luna nove anni dopo.
Ma era il 1960, un anno dopo il 1959. Mentre in Inghilterra girava la Mini Minor a  Regoledo giravano ancora carri e cavalli. 
D'estate chi si avventurava su per la Valsassina si fermava a Ballabio con il cofano fumante aperto aspettando che la sua Fiat 600 smaltisse i bollori come liceale in amore.
Trascorrevo domeniche spensierate invernali sulla neve ed  estive trascinato da un rifugio all'altro.   
Ma era il 1960, un anno dopo il 1959 e il decennio iniziò proprio male.