Dalla rivista "Alpes", dicembre 1999
Martedì 5 gennaio 1960, ore 5 del mattino. Il treno
"341" si muove lentamente. Le vetture sussultano passando sugli
scambi all’uscita dalla stazione di Sondrio.
E’ molto freddo. Il convoglio
inizia il suo viaggio verso Milano fermandosi a tutte le stazioni.
A Sondrio
sono salite poche persone; poche saliranno a Berbenno e Ardenno; qualcuna in
più a Morbegno. Le carrozze sono molto vecchie, alcune hanno ancora le panche
di legno e cento porte; anche il locomotore è vecchio; è uno dei primi modelli
di locomotiva elettrica; costruito più di trent'anni prima.
La guerra è
finita da quindici anni e l'Italia è nel pieno del miracolo economico, ma in
Valtellina il miracolo non è ancora arrivato.
Le
automobili sono poche. L'economia è ancora soprattutto agricola. In ogni casa
si alleva qualche bestia; nei paesi più piccoli sono poche le case con l'acqua
corrente e il tempo è ancora scandito dai campanacci delle mucche che vanno
all'abbeverata due volte al giorno.
Le strade
sono selciate. Girano ancora cavalli e muli anche se i più intraprendenti hanno
applicato ruote gommate ai carri.
I programmi
della radio sono solo due e le trasmissioni cominciano alle sette e mezzo del
mattino. Da sei anni anche in Italia c'è la televisione. Quel martedì le
trasmissioni inizieranno alle tredici e trenta con Telescuola.
Nei paesi
ci si alza molto presto per mungere; il silenzio della notte è interrotto a
tratti dal clangore delle conche e dei secchi delle latterie turnarie dove i
casari hanno iniziato a lavorare alla stessa ora dei prestinai.
Le
industrie non sono molte: la Metallurgica Martinelli a Morbegno, la Carcano a
Delebio, la Snam a Talamona, la Talea a Cosio e il Cotonificio Fossati a
Sondrio. Dove possono gli operai si avviano al lavoro in bicicletta; qualcuno
ha già acquistato la motocicletta o lo scooter.
Il treno
locale, che qui si chiama "accellerato", prosegue il suo lento viaggio
verso Milano. Dopo Morbegno ad ogni stazione sale qualcuno. Gli studenti
universitari sono pochi in questi anni e comunque sono tutti a casa per le
vacanze natalizie.
I
viaggiatori portano valige e ceste.
Sono i
"corrieri". Uomini e donne, la maggior parte non sono più
giovanissimi; contribuiscono al bilancio famigliare portando burro, uova e
polli a Lecco e a Milano. Ognuno ha i suoi clienti affezionati: ristoranti,
trattorie e famiglie borghesi in città
attendono i "corrieri" valtellinesi, che finito il loro giro tornano ai
paesi alla sera con il treno.
Le vetture
ferroviarie si scaldano e si riempiono di questa umanità a suo modo
intraprendente e chiacchierona che appesta l'aria con il fumo delle Nazionali e
delle Alfa.
Dopo Colico
salgono altri viaggiatori che arrivano anche dalla Valchiavenna: ci sono
impiegati e operai che vanno a Mandello, dove c'è la Moto Guzzi, altri scendono
sino a Lecco, dove si stanno moltiplicando le fabbriche metallurgiche e di
minuterie metalliche.
A Lecco ne
salgono altri; tanti operai e impiegati che sciamano a Milano, dove i posti di
lavoro nascono quasi ogni giorno.
Dopo
Usmate e Carnate ormai il treno è pieno: quasi mille persone viaggiano su quel treno
rumoroso. La mattina è gelida e al di là dei vetri appannati la nebbia
fittissima nasconde il paesaggio della pianura brianzola che si risveglia dalla
lunga notte invernale.
Poco prima
della stazione di Monza, a Villasanta, ci dei lavori in corso sulle rotaie; si
sta costruendo un cavalcavia.
I treni
devono rallentare e percorrere a dieci chilometri all'ora un binario
provvisorio su un terrapieno, prima di entrare in stazione.
I lavori
durano da mesi e quando il convoglio inizia a rallentare i pendolari che
scendono a Monza ogni mattina infilano i cappotti e si accalcano verso le
porte.
Questa
mattina il treno non rallenta. Corre e ignora i segnali luminosi e i petardi
messi sulle rotaie a segnalare il pericolo. I viaggiatori si guardano
increduli. Quelli che devono scendere a Monza si affrettano verso le porte
mentre il convoglio prosegue in piena velocità. Forse la nebbia fitta ha
nascosto i segnali di linea; forse un colpo di sonno ha impedito ai macchinisti
di sentire gli scoppi dei petardi di
segnalazione.
Il convoglio è
pesante e porta alcuni minuti di ritardo ma il vecchio locomotore, ormai
arrivato in pianura, riesce ancora a trainare oltre i novanta all'ora le
vecchie carrozze marroni.
Sono circa
le otto del mattino quando l'accellerato Sondrio - Milano piomba con fragore, a
tutta velocità, sul binario provvisorio. Non può sperare di percorrerlo a
quella velocità.
Con un
boato agghiacciante la locomotiva esce dalle rotaie e trascina nella scarpata
le prime due vetture.
La prima si
schianta contro il muro di un capannone industriale; la seconda si accartoccia.
Altre due si fermano in bilico sul terrapieno; altre si arrestano deragliate
sulla massicciata.
La nebbia
fittissima copre la scena terrificante dei vagoni squarciati e dopo un attimo
di silenzio irreale iniziano le urla dei feriti imprigionati fra le lamiere.
I soccorsi
sono generosi, ma difficoltosi e disorganizzati. Nella nebbia affluiscono
infermieri dall'Ospedale di Monza, operai dai capannoni delle fabbriche,
volontari, volonterosi e curiosi. Accorrono ambulanze grigie e autopompe
amaranto dei Vigili del Fuoco, scure millecento dei Carabinieri e Alfa Romeo
della Polizia verdi.
La città
risuona di decine di sirene. Nei caffè di Monza, nell’odore di segatura umida e
fumo, corrono notizie frammentarie; non si sa molto: chi parla di uno scontro
ferroviario, chi di un quadrimotore precipitato poco dopo il decollo
dall'aeroporto di Linate.
Nella tarda
mattinata il sole dirada la nebbia e si presenta lo spettacolo
apocalittico.
Si contano
15 morti e 120 feriti, cinque dei quali vengono dalle nostre valli.
2 commenti:
Molto triste ma molto bello, complimenti
Grazie, forse un po' aulico, ma nel '99 avevo scritto così.
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