Stazione di Parma – Si arrivava in stazione per tempo, ma sapevamo bene che ci sarebbe stato da aspettare. Eravamo partiti subito dopo pranzo dalla pensione di Via D'Azeglio.
Qualche volta
si partiva prima e non sapevamo bene perchè.
Erano tempi di eskimo e bandiere rosse oppure
di trench e mocassini sull’altra sponda.
Noi non eravamo classificabili: valigia di pelle,
vecchia ma dignitosa, e bicicletta rugginosa, freni a bacchetta, 5.000 delle vecchie
lire compresi un paio di copertoni nuovi.
La lasciavo in un deposito di centinaia di biciclette
ricavato nel sotterraneo del terrapieno della stazione, l’hanno chiuso definitivamente
nel 2012.
C'era un signore che mi sembrava anziano, di poche
parole in dialetto emiliano stretto, si vede che noi universitari gli si era antipatici.
Poi il treno arrivava.
Entrava lento in stazione a sottolineare il
ritardo quasi garantito dal vecchio locomotore anteguerra.
Quelle carrozze marrone o ardesia viaggiavano
dal giorno prima e un cartello giallo e rugginoso annunciava la stazione di partenza: Catania, Palermo,
Reggio Calabria, Bari o Lecce.
Ci viaggiava un’umanità
dolente e senza sorrisi, inconsciamente consapevole che il miracolo italiano
fosse finito.
Donne scarmigliate chiamavano
bambini vivacissimi o spauriti; anziane macilente o troppo grasse, vestite di
nero, guardavano impassibili la padania che scorreva veloce.
Pochi uomini silenziosi tagliavano spesse
fette di loro salsicce profumate d’aglio e peperoncino da mangiare lentamente
con fette di pane ormai raffermo.
Vino nero da bottiglie scure in bicchieri di
cartone.
C’erano treni che si sarebbero arenati a
Milano e iniziavano preparativi per scaricare valigie pesantissime e cartoni voluminosi.
Altri treni avrebbero proseguito per Torino o Zurigo o Colonia e
la pianura padana scorreva nel vento dei finestrini aperti a disperdere umori e
afrori di umanità che aveva trascorso una notte e un giorno fra scompartimenti
e corridoi ingombri.
Noi guardavamo con imbarazzato distacco questo mondo
lontano; sorrisi forzati a sottolineare un’incomunicabilità o un destino diverso.
Gravedona 24 gennaio 2016
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