Il faro di Kea |
Ci si può arrivare dall'aria, dopo aver preso
terra a sud di Hermoupolis, il capoluogo, sbarcando dal biturobelica
dell'Olympic, oppure dal mare.
Noi si è salpati all'alba dal Pireo su un traghetto
ceruleo dall'omerico e pelagico nome di Delos.
Presto il Melthemi, il vento del nord ha
suggerito ai passeggeri di riparare nei saloni condizionati, davanti al bancone
del bar dove camerieri trafelati distribuiscono senza sosta acqua gelida e
beveroni di caffè o cappuccino ghiacciati.
[A differenza di altre plaghe turistiche l'acqua costa cinquanta centesimi dovunque,
nei distributori, sulla nave e nei bar sul lungo mare. E pensare che sulle rive
del Lario si può arrivare a due euro per la bottiglietta, al litro insomma più
del doppio di un generoso Barbera nell'Oltrepò Pavese.]
E così quasi tutti si sono persi il faro dell'isola
di Kea, doppiato da poche decine di metri fendendo un Egeo blu notte.
E dopo Kea appare Syros alla prua, che spunta
dalla foschia.
L'arrivo è suggestivo. Prima si costeggiano piccole
insenature rocciose e deserte a cui scendono dalle colline sino al mare muretti
a secco a separare prati magri e sassosi, poi compare Hermoupolis, il capoluogo
dai due colli.
In cima a ciascuno stanno le due chiese, quella
cattolica e quella ortodossa.
Un cantiere navale sproporzionato inganna sulla
reali dimensioni dell'isola e ricorda anni di splendore marinaro che non torneranno.
Hermoupolis e i due colli |
Non ci sono Italiani sul lungomare, qualcuno guarda
incuriosito dai ponti dei traghetti che fanno tappa prima di ripartire per Mykonos.
I vicoli dietro al porto, come negli altri capoluoghi
cicladici, imbiancati di un bianco accecante, ospitano trattorie, ristoranti più
pretenziosi e negozi di paccottiglia multicolore, ma tutto è meno caotico rispetto
a Mykonos e Thira.
Il ristorante Arkontariki, trovato su
Trip-Advisor non tradisce.
[La guida Routard mi serve giusto di riferimento. Racconta di un porto che sarebbe
il più trafficato delle Cicladi, mentre i traghetti che vanno e vengono sono
solo tre o quattro al giorno. Forse hanno fatto confusione con Paros; nel
dubbio decido di nn fidarmi dei loro suggerimenti gastronomici e non me ne pento.]
Il noleggio di un "quad" si
rivela indaginoso e alla fine rimedio
solo un rugginoso trabiccolo di cilindrata ridicola, che costa una miseria e
con cui comunque riesco ad arrancare quasi dappertutto.
Per i ristoranti e sul lungomare incontro
suonatori di strada e mendicanti. Non ci vuole molto a capire che sono solo tre o
quattro e che ritornano ciclicamente, a pranzo e a cena, girando tutte le
taverne del circondario.
Una famigliola, padre, figlio e zio, suona veramente bene però appena gli si allunga qualche moneta se ne va.
Il nord dell'isola, desertico |
La sera successiva li lascio suonare a lungo, poi cedo, gli metto in mano un euro e
immediatamente se ne vanno verso il ristorante vicino, però abbiamo ascoltato della bella musica
popolare.
A sud dell'isola, riparate dal Melthemi, stanno
le spiagge più frequentate, che evitiamo accuratamente. Il nord, battuto dal vento,
è abitato solo da pastori e agricoltori che si dedicano a magri vigneti.
[L'unica taverna dell'entroterra, naturalmente segnalata dalla guida Routard,
è desolatamente chiusa.]
In compenso troviamo una spiaggia poco frequentata
sulla costa occidentale, Delfini, sovrastata da una taverna ventilata e
deliziosa nella sua spartanità.
Dopo tre giorni si parte, la prossima tappa è
Paros.
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