Ristorante tranquillo. Conoscenza
iniziata sulla gialla Guida Slow Food e proseguita durante
innumerevoli colazioni e cene di lavoro.
Stiamo in riva al fiume che scorre
pigro; ogni tanto un tafano supera il tecnologico impianto di
interdizione aerea e colpisce proditorio ma con discrezione,
scegliendo oculatamente le prede che mostrano sapientemente cosce e
spalle.
Ma sostanzialmente si sta bene.
Mentre nel resto dell'Italia si impreca
a Caronte qui spira la Breva e stimola l'appetito.
Ho scelto un antipasto di lago, luccio
cotto a vapore con cipolle, e un primo piatto più fantasioso dove la
fanno da padrone due scampi.
Discutiamo pigramente di un congresso a
cui mancano due mesi, preventivando arrivi di relatori e viaggi a
Malpensa ad accoglierli e ad accomiatarcene.
Al tavolo vicino un papà tenta di
pranzare con un figliuolo di due anni circa, stima di pediatra, e due
nonni, verosimilmente paterni.
Manca la mamma.
Il piccolo non mangia, non mangia e non
vuole mangiare. Naturalmente, protervo e accigliato, non vuole
neppure che gli altri mangino.
Mentre in nonno sorride accodiscendente
e un po' ebete, il pargolo si scatena in corse sfrenate
sull'impiantito.
Nonna e padre lo rincorrono a turno
mentre il piccolo trilla per la gioia dei timpani e dei coglioni
degli altri avventori.
A volte inciampa e i trilli si mutano
in strilli. L'effetto globalizzante su timpani e coglioni non cambia
significativamente.
La cameriera a tratti mi guarda
disperata, ma io ho fatto giuramento ad Ippocrate e sono pediatra
tutto d'un pezzo; abbozzo.
Arriviamo quasi contemporaneamente al
caffè. Io non ne bevo.
Il padre affranto cerca di berne mentre
il piccolo tenta ti togliergli la tazzina dalla bocca.
Alla fine cede e offre il caffè alla
piccola belva.
E' l'unica cosa che la peste ha
assaggiato dall'inizio del pranzo.
Il mio convitato mi chiede se proprio
la pillola abbia tutti questi effetti collaterali e io non rispondo;
medito sulle figure storiche di Erode e Onan, troppo presto
screditate da un giudizio affrettato.
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