La zia, la nonna e la mamma, 1936 |
Dal nonno aveva ereditato l'esattoria
di un paese della costiera; poi teneva la contabilità della latteria
turnaria della contrada di Masonacce e infine viveva dei proventi di
una bottega di alimentari, sali e tabacchi.
Le generazioni che ci hanno seguito non
sanno cosa potesse essere una bottega di alimentari poco dopo la fine
della seconda guerra.
C'erano alcuni tipi di scatolette:
carne, tonno, sardine, sgombri, acciughe, marmellate, pelati Cirio e
fagioli.
Poi le caramelle, in alto, in grandi
vasi di vetro, e cioccolati di qualità popolare per la merenda degli
scolari.
Ma la parte del leone lo facevano pane,
pasta, riso, farina, zucchero, crusca e caffè.
La pasta era di buona qualità, come il
riso.
Il pane era di due qualità: quello del
Mario, per chi voleva risparmiare, e quello del Sergio, per chi
voleva trattarsi bene.
Il pane nero era per i poveri e la
crusca per i conigli.
Oggi le cose cono cambiate: il pane
nero è per le signore e la crusca costa molto di più della farina,
infatti è riservata a matrone con l'intestino pigro, ma all'inizio
degli anni '50 andava diversamente.
Farina bianca, gialla, riso e zucchero
stavano in grossi sacchi dietro il bancone; frumento, mais, orzo e
crusca riposavano in capaci sacchi di tela acanto alla frutta e alla
verdura, in modo che i clienti potessero saggiarne la qualità
direttamente con tatto e olfatto fino.
Carne e salumi si trovavano dal
macellaio, il grosso e mitico Massimo, distate un centinaio di metri,
verso Morbegno.
Niente latte, che si trovava nella
latteria accanto. Burro e formaggi stavano in cantina.
In caso di richiesta la zia abbandonava
la bottega ai clienti e scendeva con un coltellaccio a tagliare la
quantità richiesta.
Ma erano richieste rare. Ciascuno aveva
una stalla e produceva in proprio quello che serviva in casa e nelle
case di vicini e parenti.
Le donne della contrada acquistavano
quello che serviva di giorno in giorno.
Ricordo due anziane, lunghi grembiuli
neri e testa coperta, che acquistavano ogni mattina mezza oncia di
zucchero e una di caffè, tetragone al sistema metrico-decimale in
vigore da qualche decennio.
Per i frigoriferi mancavano alcuni
anni, ma le abitudini si mantenevano in buona salute.
La zia con un sorriso indecifrabile,
che avrei incontrato al Louvre tanti anni dopo, pesava la merce e
faceva rapidi cartocci di carta grigia.
I clienti abituali erano tutti della
contrada, ma per frutta, verdura e tabacchi venivano anche dalle
contrade vicine o dal centro del paese.
Che si potessero fare più di
cinque-seicento metri per andare in bottega era impensabile.
La bottega era un mondo affascinante,
vivace di giorno, odoroso e silenzioso di notte.
A infrangere i ritmi consueti,
ripetitivi e stagionali della bottega giungevano inaspettati
mendicanti, questuanti e zingari.
I mendicanti erano gente nota del paese
o dei paesi vicini. Era gente che per nascita o mutilazione non poteva
lavorare; quando si presentavano, con cadenza sapiente e non casuale, ricevevano invariabilmente pane, acqua e dopo
contrattazione silenziosa anche un pacchetto di tabacco “di
seconda”, con cui riempivano febbrilmente pipe sudice estratte da
tasche dal contenuto misterioso.
I questuanti, anzi il questuante, era
un frate francescano di un convento vicino a Sondrio, che arrivava un
paio di volte all'anno.
Riceveva pane e qualche pacchetto di
“Nazionali”, che introduceva con fare furtivo e ammiccante in un
sacco di juta. Conosceva tutti e si informava di vite e morti nelle
case vicine.
Il problema erano gli zingari, che mi
terrorizzavano per l'aspetto e per il vestire.
La zia era intransigente e pretendeva
che sigari e sigarette venissero pagati sull'unghia, poi, al momento
del commiato, allungava un sacchetto con qualche pagnotta mormorando
qualcosa relativa ai bambini.
La bottega ha chiuso tanti anni fa.
Nel corso dell'ultimo rinnovamento,
quando arrivarono luci al neon, frigoriferi, una fiammante
affettatrice e scaffali di fòrmica, mio padre salvò il bancone di
noce.
Trasformato in tavolo ora è il ripiano
della mia scrivania. Anche adesso, ingombro di computer, scanner e
stampanti continua ad essere il confine affascinante oltre il quale
c'è il mondo esterno, sempre più misterioso e incomprensibile.
3 commenti:
Ricordo mia nonna che mi mandava a prendere 1 hg di prosciutto cotto........
Non trovo traccia di quello che era, secondo me, uno strumento efficacissimo di credito al consumo tipico degli alimentari di paese, ossia il famoso "libretto azzurro" dove venivano riportate, in una forma di contabilità cronologica elementare, le spese quotidiane per poi essere saldate a fine mese... o quando si poteva. Questi libretti, se ancora conseravti, potrebbero essere un interessante oggetto di indagine per qualche tesi di laurea in storia economica...
Buongiorno Cesare, hai perfettamente ragione, ma mi riservavo di parlarne a breve per un discorso su "oltre gli alimentari". Credo di avere ancora qualche libretto fra i documenti di mia zia, e credo si riferiscano a clienti morosi al momento della cessazione dell'attività.
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