Immagini catturate con lo scanner, con la fotocamera, con la sonda dell'ecografo, con il pensiero. Immagini che quasi sempre sono frutto della casualità e dell'intuizione.
31 dicembre 2009
Elogio del Lago
Capodanno, tempo di bilanci.
Si può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto; cercherò di vederlo mezzo pieno.
E’ il primo capodanno che trascorro sul lago, a parte i capodanni trascorsi in ospedale, neppure tanti.
C’è la tristezza di non trascorrere il capodanno nella casa dove sono nato, troppo grande e fredda, dove non c’è più nessuno di chi mi aveva fatto crescere.
Ma c’è la grande serenità di trascorrere il capodanno su questo lago da dove la mia famiglia era partita tanti anni or sono e dove sono ritornato.
Sin dai primi mesi non mi sono mai sentito un estraneo.
Nelle strade e nei negozi di questi paesi mi sono sentito accettato, benvoluto e apprezzato come non era mai successo.
Ho cercato di impegnarmi per quanto possibile anche negli altri ospedali, a Verona, a Lecco, a Morbegno, a Sondrio e a Genova.
Qui, in questo; il più piccolo dei miei ospedali, credo di avere dato molto.
Da questa gente del lago, per la prima volta, ho ricevuto molto di più di quello che ho cercato di dare.
Il bilancio è positivo. Nonostante tutto il bicchiere è mezzo pieno.
Speriamo di non deludere questa gente del lago, con l'aiuto di Dio, ancora per qualche anno.
21 dicembre 2009
Freccia Rossa
Interrompo la cronaca del viaggio in Germania per proporre la mia ultima avventura.
Sono stato uno dei tanti viaggiatori intrappolati nel Freccia Rossa n. 9527 del 19 dicembre.
Il nostro convoglio, partito da Milano con 40 minuti di ritardo, si è bloccato poco prima di Parma in aperta campagna.
Dopo circa 4 ore siamo arrivati a Bologna, spinti dal treno che ci seguiva ovvero trainati da una locomotiva di soccorso, le versioni sono discordanti.
Dopo un trasbordo su un altro Freccia Rossa in ritardo siamo ripartiti alla volta di Firenze, dove siamo giunti alle 0.30 circa del 20 dicembre, dopo una sosta imprevista a Rifredi per un “controllo tecnico”.
Il ritardo è stato di oltre 6 ore.
L’unico locale aperto in stazione era sfortunatamente un McDonald dove sono stato trattato con grande simpatia dai ragazzi in servizio, fortunatamente extra-comunitari.
Nulla da eccepire sul guasto, verosimilmente imprevedibile e non certo imputabile, spero, a 5 cm di neve o a qualche grado sotto lo zero.
Nulla da eccepire sul prezzo, 52 euro, moneta in corso legale: in questo caso il bischero son stato io, ma forse mi rimborseranno; comunque, per inciso, avrei dovuto arrivare a Siena in serata e l’ultimo treno era partito da Firenze alle 23.10.
Quello veramente deprecabile e imperdonabile è stato il comportamento del personale viaggiante. Ermetici, evasivi o maleducati, i conduttori in servizio ci hanno negato ogni informazione plausibile e tempestiva su quanto ci andava succedendo..
Nessuno è intervenuto quando alcuni passeggeri della vettura 10, certamente esasperati, si sono messi a fumare in barba ai divieti e alle rimostranze di altri compagni di viaggio.
In conclusione, per dirla come la bonanima di mia nonna toscana: “ma a ‘hi ‘azzo vorrebbero fare ‘oncorrenza ‘sti bischeri?”
Forse vogliono fare concorrenza a Ryanair, che allo stesso prezzo trasporta due persone, andata e ritorno, da Milano a Roma. Però su un Airbus.
Sono stato uno dei tanti viaggiatori intrappolati nel Freccia Rossa n. 9527 del 19 dicembre.
Il nostro convoglio, partito da Milano con 40 minuti di ritardo, si è bloccato poco prima di Parma in aperta campagna.
Dopo circa 4 ore siamo arrivati a Bologna, spinti dal treno che ci seguiva ovvero trainati da una locomotiva di soccorso, le versioni sono discordanti.
Dopo un trasbordo su un altro Freccia Rossa in ritardo siamo ripartiti alla volta di Firenze, dove siamo giunti alle 0.30 circa del 20 dicembre, dopo una sosta imprevista a Rifredi per un “controllo tecnico”.
Il ritardo è stato di oltre 6 ore.
L’unico locale aperto in stazione era sfortunatamente un McDonald dove sono stato trattato con grande simpatia dai ragazzi in servizio, fortunatamente extra-comunitari.
Nulla da eccepire sul guasto, verosimilmente imprevedibile e non certo imputabile, spero, a 5 cm di neve o a qualche grado sotto lo zero.
Nulla da eccepire sul prezzo, 52 euro, moneta in corso legale: in questo caso il bischero son stato io, ma forse mi rimborseranno; comunque, per inciso, avrei dovuto arrivare a Siena in serata e l’ultimo treno era partito da Firenze alle 23.10.
Quello veramente deprecabile e imperdonabile è stato il comportamento del personale viaggiante. Ermetici, evasivi o maleducati, i conduttori in servizio ci hanno negato ogni informazione plausibile e tempestiva su quanto ci andava succedendo..
Nessuno è intervenuto quando alcuni passeggeri della vettura 10, certamente esasperati, si sono messi a fumare in barba ai divieti e alle rimostranze di altri compagni di viaggio.
In conclusione, per dirla come la bonanima di mia nonna toscana: “ma a ‘hi ‘azzo vorrebbero fare ‘oncorrenza ‘sti bischeri?”
Forse vogliono fare concorrenza a Ryanair, che allo stesso prezzo trasporta due persone, andata e ritorno, da Milano a Roma. Però su un Airbus.
15 dicembre 2009
Secondo giorno in Germania
7 dicembre - L’albergo è tranquillo e silenzioso, anche se non è un quattro stelle; la prima colazione è ottima e abbondante.
Come sempre i miei mediterranei compagni di viaggio Laura di Antonio e Antonio si meravigliano o fingono di meravigliarsi per la mia entusiastica adesione alla teutonica colazione con salumi, formaggi, caffè lungo e cereali.
Fanno eccezione Laura, rigorosamente a dieta e il piccolo Marco. Marco non mangia niente secondo sua madre e quindi mangiucchia tutto il santo giorno spronato e istigato dai genitori che si alternano nel compito ingrato incitandosi a vicenda.
Naturalmente durante i pasti canonici preferisce dedicarsi all’intrattenimento degli ospiti bruciacchiando bocconi di prosciutto sulle candele del centro-tavola.
Dedichiamo la mattina alla visita dell’isola di Reichenau. Il mio amico Ulrich aveva caldeggiato già da anni un giro in bicicletta da queste parti.
L’isola infatti è molto romantica; nella frazione di Oberzell ci fermiamo a visitare la chiesa romanica di S. Giorgio.
Di fronte alla chiesa c’è un’invitante pasticceria e Antonio cerca di convincere il piccolo Marco a scegliersi un dolce, anche se il piccolo aveva altre intenzioni. Escono trionfanti con un babbo natale di marzapane che verrà mutilato orrendamente senza essere mangiato.
Proseguiamo sino a Niederzell dove ci aspetta un altro capolavoro dell’architettura romanica: la chiesa dedicata ai Santi Pietro e Paolo, con abside affrescata pregevolmente.
Marco ora è alle prese con pane e nutella.
A mezzogiorno ripieghiamo sulla birreria “Turm” poco distante dal porto di Konstanz.
Menu spartano, servito con lentezza esasperante, e birra eccellente, di marca "Ruppaner".
Il pomeriggio dovrebbe essere dedicato al museo Zeppelin a Friedrichshafen, sull’altra sponda del lago, che raggiungiamo con un grande, moderno, rapido ed economico traghetto. Purtroppo avevamo fatto in conti senza l’oste e anche in Germania i musei sono chiusi al lunedì.
Non ci resta che finire la serata dapprima alle terme e poi in un’altra birreria l’Hafenhalle, dietro la stazione ferroviaria.
12 dicembre 2009
Altri tre giorni in Germania; questo è il primo.
Il ponte dell’Immacolata si presentava sotto i peggiori auspici meteo. Pioggia su tutt’Europa e neve sui duemila metri.
Si era deciso di lasciar perdere i mercatini di Natale e di trascorrere tre giorni al caldo con qualche bel libro.
Ma il diavolo fa la pentole e non i coperchi sicchè Antonio Laura e il piccolo Marco ci hanno trascinato ad uscire dalla tana alla ricerca dei fatidici mercatini.
La decisione, presa poche ore prima dell’inizio del ponte di fine settimana, ci precludeva ogni meta italiana, e in fondo anche il buon senso.
Dopo febbrile consultazione del web abbiamo deciso per Konstanz, in italiano Costanza, sull’omonimo lago che invece Tedeschi, Svizzeri e Austriaci chiamano Bodensee.
Detto e fatto, il TomTom ci suggeriva il passo dello Spluga, chiuso da metri di neve, abbiamo valicato lo spartiacque al passo del Julier e per le 13 di domenica 6 dicembre ci siamo trovati al mercatino che guarda il porto di Costanza, sotto una pioggerellina di stile irlandese.
I mercatini purtroppo seguono le mode anche in Germania e, a parte qualche spunto originale, si nuota nella paccottiglia e nel vin brulè, che qui chiamano gluwein.
Fortunatamente dopo un sonnellino nell’albergo faticosamente guadagnato navigando nel web ci rifugiamo nella Brauhaus Joh. Albrecht.
Il menu non ci sembra entusiasmante, ma non abbiamo camminato molto e non abbiamo pedalato come ci capita d’estate quindi non siamo particolarmente affamati. In compenso l’offerta di birre si dipana su una chiara, che qui si chiama Messing, una doppio malto scura, la Kupfer, e infine una weissen, chiamata solo Weizenbier.
Personalmente decido di annegare la tensione delle ultime settimane di lavoro in due dignitose Kupfer che si accompagnano a un saporito stinco di porco prima di rifugiarmi sotto il piumone ristoratore e anallergico.
05 dicembre 2009
Ristorante Santo Stefano a Lenno
Seguendo la fedele guida alle osterie d’Italia di Slow Food, di cui mi era arrivata nei giorni scorsi l’ultima edizione, il primo dicembre ci siamo spinti fino a Lenno.
Locale suggestivo, vera osteria del secolo scorso, con qualche indulgenza kitsch sullo sfondo ma sostanzialmente autentica.
L’antipasto è superbo, terrina di trota, con sapore del lago.
Primi raffinati, anche se un po’ distanti dalla tradizione: strozzapreti con anguilla affumicata e ravioli di pesce di lago con gamberi d’acqua dolce e radicchio.
Il secondo non è all’altezza: lavarello fritto, ben spinato ma presentato senza contorno; un po’ da trattoria dei pescatori negli anni ’60…
Sul dolce non mi esprimo; per insipienza non ho assaggiato la “miascia” per preferire un”bunet”; che dire? Il Piemonte è lontano, avrei dovuto restare con i piedi nel mio lago.
Voto complessivo per me: 75/100.
15 novembre 2009
Ritorno dalla Germania
Basta e basta… ho ironizzato sui costumi dei giovani e mi sono trovato contro già due delle mia lettrici.
Sono giusto tornato da qualche giorno di ferie a Baden-Baden e dovrei ricominciare a lavorare. In realtà non ho mai smesso in quanto esiste un attrezzo infernale che si chiama “cellulare”. Un tempo con questo termine si intendeva un automezzo che consentiva ai carcerati di viaggiare.
Ora, in tempi di miniaturizzazione, si intende un telefono che consente ai carcerati di lavorare… anche viaggiando.
Cos’ho fatto di bello durante questi cinque spensierati giorni? Ho rivisitato Strasburgo, ho rivisitato Stoccarda e sono stato trascinato a un mercatino a Rastatt, piccolo borgo poco distante da Baden-Baden.
Mercatino di ciarpame e cazzabubole, ho pensato con superiorità. Poi comunque mi sono messo a cercare fra questi poveri banchetti che esponevano quanto trovato in soffitta o quanto serviva a sbarcare il lunario di poveri pensionati.
E naturalmente ho trovato. Ho trovato un vecchio giocattolo di latta, di quelli che mi portava mio padre dalle sue scorribande in Germania poco dopo l’inizio degli anni ’50.
Ho trovato un album di fotografie in bianco e nero e di cartoline in ricordo di un viaggio del ’59 attraverso Venezia, Loreto, Modena, Mantova e Verona.
Una testimonianza di come si viaggiava e di com’era quest’Italia che si affacciava al “miracolo economico” e che usciva dal “Piano Marshall” con tanta voglia di vivere.
Ora passerò un po’ di foto allo scanner per testimoniare questo scorcio insperato sul secolo scorso che mi è costato solo 5 euro.
Sono giusto tornato da qualche giorno di ferie a Baden-Baden e dovrei ricominciare a lavorare. In realtà non ho mai smesso in quanto esiste un attrezzo infernale che si chiama “cellulare”. Un tempo con questo termine si intendeva un automezzo che consentiva ai carcerati di viaggiare.
Ora, in tempi di miniaturizzazione, si intende un telefono che consente ai carcerati di lavorare… anche viaggiando.
Cos’ho fatto di bello durante questi cinque spensierati giorni? Ho rivisitato Strasburgo, ho rivisitato Stoccarda e sono stato trascinato a un mercatino a Rastatt, piccolo borgo poco distante da Baden-Baden.
Mercatino di ciarpame e cazzabubole, ho pensato con superiorità. Poi comunque mi sono messo a cercare fra questi poveri banchetti che esponevano quanto trovato in soffitta o quanto serviva a sbarcare il lunario di poveri pensionati.
E naturalmente ho trovato. Ho trovato un vecchio giocattolo di latta, di quelli che mi portava mio padre dalle sue scorribande in Germania poco dopo l’inizio degli anni ’50.
Ho trovato un album di fotografie in bianco e nero e di cartoline in ricordo di un viaggio del ’59 attraverso Venezia, Loreto, Modena, Mantova e Verona.
Una testimonianza di come si viaggiava e di com’era quest’Italia che si affacciava al “miracolo economico” e che usciva dal “Piano Marshall” con tanta voglia di vivere.
Ora passerò un po’ di foto allo scanner per testimoniare questo scorcio insperato sul secolo scorso che mi è costato solo 5 euro.
Il bacchettone a Baden-Baden
Bene bene, mi sono preso del bacchettone perché ho deriso qualche adolescente e anche qualche giovane dedito a pomiciare o a “limonare” alle terme.
Oggi, forse poco “bacchettone” in senso figurato a causa dell’età, mi sono avventurato nella terra sconosciuta del terzo piano delle terme di Caracalla.
L’ingresso è solo da nudi; viene suggerito un asciugamano ma solo per proteggere le panche in legno delle saune.
Così ho trascorso quasi due ore fra saune ad ogni temperatura superiore agli 85 centigradi, bagni turchi, idromassaggi, vasche fredde e docce scozzesi, percorsi all’aperto fra aceri e betulle, rigorosamente in costume adamitico.
C’erano giovani coppie, forse un po’ vergognose, disinvolti quarantenni di entrambi i sessi e qualche coppia anziana, per intenderci della mia età.
Nonostante la nudità integrale c’era molto rispetto, un po’ di ironia, nessuna smanceria; nulla in confronto a quanto si vedeva al piano inferiore, più o meno coperti da costumi da bagno.
Fa niente; domani si ritorna; ovviamente il tempo sta rapidamente migliorando... Speriamo di fare qualche bella foto sulla strada del ritorno.
Oggi, forse poco “bacchettone” in senso figurato a causa dell’età, mi sono avventurato nella terra sconosciuta del terzo piano delle terme di Caracalla.
L’ingresso è solo da nudi; viene suggerito un asciugamano ma solo per proteggere le panche in legno delle saune.
Così ho trascorso quasi due ore fra saune ad ogni temperatura superiore agli 85 centigradi, bagni turchi, idromassaggi, vasche fredde e docce scozzesi, percorsi all’aperto fra aceri e betulle, rigorosamente in costume adamitico.
C’erano giovani coppie, forse un po’ vergognose, disinvolti quarantenni di entrambi i sessi e qualche coppia anziana, per intenderci della mia età.
Nonostante la nudità integrale c’era molto rispetto, un po’ di ironia, nessuna smanceria; nulla in confronto a quanto si vedeva al piano inferiore, più o meno coperti da costumi da bagno.
Fa niente; domani si ritorna; ovviamente il tempo sta rapidamente migliorando... Speriamo di fare qualche bella foto sulla strada del ritorno.
13 novembre 2009
Baden-Baden, usi e costumi delle terme nella vecchia Europa
Leggendo la guida e le presentazioni entusiastiche di questa cittadina termale si potrebbe pensare di respirare un po’ la storia della vecchia Europa della Belle Epoque.
In effetti per i viali alberati e lungo i vialetti del parco che costeggia il fiume devono aver passeggiato politici e personaggi storici della fine del 19° e dell’inizio del 20° secolo.
I loro discendenti mantengono l’aspetto di classe quando scendono dalle Mercedes scure, sbucando dalle portiere che rari autisti, e più numerosi taxisti in tenuta di autisti, tengono aperte con elegante negligenza.
Le terme, dove uomini e donne passavano le acqua rigorosamente separati e altrettanto rigorosamente nudi, non usano più e comunque hanno un costo che non è per tutte le tasche.
Ora ci sono le terme di Caracalla, e il nome è già un programma.
Qui uomini e donne si mescolano anche se le nudità fanno capolino solo nelle docce separate. I giovani sono molto numerosi, anzi al pomeriggio sono la maggioranza, e passano il tempo a pomiciare nelle piscine calde, nei bagni turchi e nelle generose vasche da idromassaggio. Si comportano in modo più castigato solo nella piccola vasca di acqua gelida dove gli ardori si stemperano in gridolini e si arrestano sui primi gradini che scendono inesorabili verso i corroboranti diciotto gradi.
Dopo i fienili, dopo il cinema parrocchiale, dopo i sedili ribaltabili delle 500 e delle Panda, ora l’arte del pomiciare e i preliminari della “camporella” hanno trovato nelle terme dell’Europa centrale un nuovo terreno ideale.
09 novembre 2009
Hotel Krone, Neunenburg am Rhein
Acqua, acqua e ancora acqua da quando abbiamo valicato, o meglio traforato, le Alpi nel viaggio verso Baden Baden.
Mi rallegra un po’ il fatto che domani, statisticamente, dovrebbe piovere di meno. Ora siamo a Neunenburg, al caldo dentro l’Hotel-Gasthof Krone, dove abbiamo già fatto tappa altre volte.
In riva al Reno, questo paesino vivace mi ha sempre messo allegria, soprattutto quando ci sono arrivato la prima volta in occasione di una festa della birra.
Ora piove a dirotto e fa freddo, ma ritrovare un luogo noto è un po’ come ritrovare un pezzo di casa in questa Europa sempre un po’ più unita.
Mi rallegra un po’ il fatto che domani, statisticamente, dovrebbe piovere di meno. Ora siamo a Neunenburg, al caldo dentro l’Hotel-Gasthof Krone, dove abbiamo già fatto tappa altre volte.
In riva al Reno, questo paesino vivace mi ha sempre messo allegria, soprattutto quando ci sono arrivato la prima volta in occasione di una festa della birra.
Ora piove a dirotto e fa freddo, ma ritrovare un luogo noto è un po’ come ritrovare un pezzo di casa in questa Europa sempre un po’ più unita.
08 novembre 2009
Da influenza del porco a influenza mediatica.
Negli Ospedali e nelle ASL, fra polmoniti e appendiciti, abbiamo iniziato a vaccinare per l’influenza A H1N1 come indicato e disposto dal Ministero della Salute e via discendendo verso i governatorati regionali.
In realtà stiamo vaccinando i soggetti a rischio che avremmo vaccinato e che l’anno passato abbiamo vaccinato per l’influenza stagionale.
Il bombardamento mediatico è riuscito a trasformare la vaccinazione anti-influenzale in una messa cantata.
E così per tre giorni alla settimana officiamo la vaccinazione con il corredo di due/tre infermiere e un’impiegata amministrativa che ha il compito di vegliare e vigilare che vacciniamo chi e solo chi ne ha il sacrosanto diritto e ne sente il dovere.
Naturalmente in reparto nel frattempo la gente continua ad arrivare dal Pronto Soccorso per ogni raffreddore e c’è qualche infermiera in meno: quelle che stanno a officiare le vaccinazioni.
La colpa è dei preti: se la pillola avesse potuto circolare più liberamente forse sarebbe nato qualche imbecille in meno.
In realtà stiamo vaccinando i soggetti a rischio che avremmo vaccinato e che l’anno passato abbiamo vaccinato per l’influenza stagionale.
Il bombardamento mediatico è riuscito a trasformare la vaccinazione anti-influenzale in una messa cantata.
E così per tre giorni alla settimana officiamo la vaccinazione con il corredo di due/tre infermiere e un’impiegata amministrativa che ha il compito di vegliare e vigilare che vacciniamo chi e solo chi ne ha il sacrosanto diritto e ne sente il dovere.
Naturalmente in reparto nel frattempo la gente continua ad arrivare dal Pronto Soccorso per ogni raffreddore e c’è qualche infermiera in meno: quelle che stanno a officiare le vaccinazioni.
La colpa è dei preti: se la pillola avesse potuto circolare più liberamente forse sarebbe nato qualche imbecille in meno.
27 ottobre 2009
Come si voleva dimostrare (manus in manu).
Ecco, la fase pandemica della temibile influenza suina è arrivata. Naturalmente è arrivata presto e prima che il nostro Ministero della Salute riuscisse ad organizzare l’unica cosa sensata: un programma vaccinale e tmepestivo che si opponesse efficacemente alla circolazione del virus.
Nel frattempo gli altri non sono rimasti con le “mani in mano”.
Sull’ultima scansìa prima e davanti delle casse in ogni supermercato sono scomparsi gomme da masticare, rasoi “usa e getta” e preservativi per fare luogo a dispenser di gel disinfettante per le mani.
I Ministeri, sia quello della Salute che quello dell’Istruzione, hanno scoperto che il lavaggio sociale delle mani può limitare il diffondersi dell’influenza, anche di quella suina, e questa è veramente la scoperta dell’acqua calda. Giusto cinque secoli dopo la scoperta dell’America tanto che potremmo chiamarla la scoperta dell’uovo di Colombo.
Nel frattempo spero che i 25-26 lettori abbiano letto i commenti al precedente post sull’omeopatia.
In soldoni si è detto, e a piena ragione, che, sulla base “dell’esperienza personale”, l’Omeopatia ha la stessa efficacia della “medicina tradizionale”.
Purtroppo per la salute pubblica servono dati certi, deduttivi, confrontabili, parametrabili e non distorti dai mass media.
L’European Center for Disease Prevention and Control di Stoccolma (http://ecdc.europa.eu/en/Pages/home.aspx) di dati ne fornisce, ma si preferisce lasciarli agli addetti ai lavori.
Con "l’esperienza personale" possiamo giusto farci la birra, e naturalmente restare in Pronto Soccorso mentre gli omeopati dormono il sonno dei Giusti.
Nel frattempo gli altri non sono rimasti con le “mani in mano”.
Sull’ultima scansìa prima e davanti delle casse in ogni supermercato sono scomparsi gomme da masticare, rasoi “usa e getta” e preservativi per fare luogo a dispenser di gel disinfettante per le mani.
I Ministeri, sia quello della Salute che quello dell’Istruzione, hanno scoperto che il lavaggio sociale delle mani può limitare il diffondersi dell’influenza, anche di quella suina, e questa è veramente la scoperta dell’acqua calda. Giusto cinque secoli dopo la scoperta dell’America tanto che potremmo chiamarla la scoperta dell’uovo di Colombo.
Nel frattempo spero che i 25-26 lettori abbiano letto i commenti al precedente post sull’omeopatia.
In soldoni si è detto, e a piena ragione, che, sulla base “dell’esperienza personale”, l’Omeopatia ha la stessa efficacia della “medicina tradizionale”.
Purtroppo per la salute pubblica servono dati certi, deduttivi, confrontabili, parametrabili e non distorti dai mass media.
L’European Center for Disease Prevention and Control di Stoccolma (http://ecdc.europa.eu/en/Pages/home.aspx) di dati ne fornisce, ma si preferisce lasciarli agli addetti ai lavori.
Con "l’esperienza personale" possiamo giusto farci la birra, e naturalmente restare in Pronto Soccorso mentre gli omeopati dormono il sonno dei Giusti.
11 ottobre 2009
L’omeopatia: scienza e coscienza.
Cara Chiara, non ho ben capito cosa tu voglia chiedermi sull’omeopatia.
Però l'argomento è intrigante e lo propongo al dibattito dei 15 lettori.
Se la domanda fosse stata se si può curare l’influenza mediante l’omeopatia la risposta sarebbe stata: non credo.
Non mi occupo personalmente di omeopatia ma da qual poco che ne so non mi sembra che questa “disciplina” si sia mai posta il problema di curare le malattie infettive in fase acuta.
Per quanto riguarda la possibilità di una prevenzione dell’influenza non posso esprimermi, per il fatto stesso di non conoscere l’omeopatia.
Alcune medicine vengono definite “alternative” in quanto partono da presupposti diversi da quelli della medicina “ufficiale” che sarebbe meglio definire medicina “occidentale”.
In realtà il problema non sono i presupposti ma il metodo.
Se il metodo è deduttivo, ovvero scientifico, ovvero si avvicina la modello di Claude Bernard, non ho alcuna difficoltà a credere in quanto si asserisce.
E’ questo il caso della medicina cinese, dall’agopuntura alla sua riflessiva cugina.
Per quanto riguarda l’omeopatia invece i presupposti non sono deduttivi ma assiomatici. I sostenitori di questo metodo induttivo rifiutano il confronto con le leggi della fisica riconosciute, avvicinandosi quindi più alla fede che alla scienza.
A me personalmente riesce un po’ difficile credere a leggi che non siano previste dalla fisica relativistica quindi non dico “impossibile”, ma mi limito, rispettosamente, a giudicare l’omeopatia “improbabile”.
Alla fine ritengo che il medico debba sempre curare secondo scienza e coscienza, che non sono cose parametrabili.
Possiamo comunque tornare sull’argomento discutendo di etica, estetica, deontologia ed epistemologia del medico: scopriremmo cose molto interessanti, e forse non edificanti, sulla storia della medicina.
Esercitazione di pBLSD a Gravedona
Però l'argomento è intrigante e lo propongo al dibattito dei 15 lettori.
Se la domanda fosse stata se si può curare l’influenza mediante l’omeopatia la risposta sarebbe stata: non credo.
Non mi occupo personalmente di omeopatia ma da qual poco che ne so non mi sembra che questa “disciplina” si sia mai posta il problema di curare le malattie infettive in fase acuta.
Per quanto riguarda la possibilità di una prevenzione dell’influenza non posso esprimermi, per il fatto stesso di non conoscere l’omeopatia.
Alcune medicine vengono definite “alternative” in quanto partono da presupposti diversi da quelli della medicina “ufficiale” che sarebbe meglio definire medicina “occidentale”.
In realtà il problema non sono i presupposti ma il metodo.
Se il metodo è deduttivo, ovvero scientifico, ovvero si avvicina la modello di Claude Bernard, non ho alcuna difficoltà a credere in quanto si asserisce.
E’ questo il caso della medicina cinese, dall’agopuntura alla sua riflessiva cugina.
Per quanto riguarda l’omeopatia invece i presupposti non sono deduttivi ma assiomatici. I sostenitori di questo metodo induttivo rifiutano il confronto con le leggi della fisica riconosciute, avvicinandosi quindi più alla fede che alla scienza.
A me personalmente riesce un po’ difficile credere a leggi che non siano previste dalla fisica relativistica quindi non dico “impossibile”, ma mi limito, rispettosamente, a giudicare l’omeopatia “improbabile”.
Alla fine ritengo che il medico debba sempre curare secondo scienza e coscienza, che non sono cose parametrabili.
Possiamo comunque tornare sull’argomento discutendo di etica, estetica, deontologia ed epistemologia del medico: scopriremmo cose molto interessanti, e forse non edificanti, sulla storia della medicina.
Esercitazione di pBLSD a Gravedona
03 ottobre 2009
L'influenza del porco
Sull'ultimo numero del "Puncet", rivista periodica di Dongo, è comparso un articolo sull'influenza che da qualche mese ci tormenta e affascina.
A gentile richiesta lo trascrivo per i 25 lettori.
Per questa influenza di tipo A H1N1 o “influenza suina” si sono già sprecati fiumi di inchiostro.
Dalle prime ingenue e isteriche reazioni che inducevano ad astenersi dal consumare carne suina si è arrivati al terrore della pandemia, passando per la rievocazione dell’”asiatica” di infausta memoria.
Nel marasma multimediale e nella tempesta mediatica non è difficile vedere comunque qualche interesse privato, commerciale o di parte.
Ma facciamo ordine ed esaminiamo razionalmente quanto “si sa” (abbastanza) per difenderci meglio dai “si dice” (troppi) ed evitare inutile panico.
L’influenza A H1N1 – E’ una classica influenza che causa malessere, febbre e sintomi respiratori. Il termine “pandemia” non connota un’epidemia più grave, ma solo una diffusione su tutto il pianeta.
Molto spesso le influenze stagionali hanno assunto carattere pandemico, senza che la cosa suscitasse particolare sensazione come avviene in questi ultimi mesi.
Usualmente decorre in modo non grave. Può colpire i polmoni o causare sovra infezioni batteriche, che costituiscono le complicanze più gravi e temibili.
Questa evoluzione, comune anche a tutte le passate e future influenze, colpisce prevalentemente soggetti defedati, indeboliti e immuno-depressi.
La maggiore rapidità di contagio non è una caratteristica nuova o peculiare del virus di cui parliamo, ma sembra essere legata alla presenza di un’alta percentuale di individui non immunizzati e quindi suscettibili.
Infatti questo ceppo è una variante della “spagnola” che non si presenta sulla scena da parecchie decine di anni. Per questo motivo risulterebbero scarsamente suscettibili i soggetti nati prima del 1950, che avrebbero già incontrato un ceppo simile, immunizzandosi, mentre sembrano essere particolarmente indifesi tutti i soggetti nati dopo il 1970, che non hanno conosciuto ceppi simili.
L’epidemia quindi colpirà prevalentemente i giovani e i bambini.
A causa della diffusione prevalente in soggetti giovani l’indice di letalità è piuttosto basso, ad onta di quanto diffuso sinora dai mass media.
Trasmissione e misure di prevenzione passiva – La trasmissione, come per tutte le malattie virali, è per contiguità.
Il virus non vive da solo, ma dentro le cellule; la tosse, lo starnuto, la stretta di mano sono i sistemi più comuni con cui ci si infetta fra persone vicine.
Nella vicina Svizzera sono uscite delle regole che proibiscono la stretta di mano e scoraggiano il bacio, quantomeno sui luoghi di lavoro. Senza ricorrere all’elvetica intransigenza sarebbe sufficiente applicare le più semplici norme igieniche.
La misura più semplice è il lavaggio delle mani più volte al giorno e dopo ogni contatto per il personale sanitario. Un sistema molto semplice per far lavare le mani ai bambini è quello di farli contare fino a 20con le mani sotto il rubinetto dell’acqua.
In presenza di febbre di durata superiore ai tre giorni, soprattutto se il soggetto ha soggiornato da poco all’estero, sarebbe sconsigliabile intraprendere viaggi.
Questa tuttavia è una norma di buon senso comune che dovrebbe valere sempre, indipendentemente dalle epidemie.
Inutile ricorrere a mascherine che servono solo a isolare i malati, ma non proteggono le persone sane dal contagio.
I soggetti a rischio sono ovviamente le persone più deboli e segnatamente i cardiopatici, i pazienti con scarse difese immunitarie come chi ha recentemente eseguito chemioterapia anti-tumorale, i soggetti affetti da AIDS, da tubercolosi e da insufficienza renale, oltre atutti i soggeti che presentano patologia respiratoria cronica, dall'asma alla bronchite cronica.
Terapia – Il trattamento, come per le altre influenze, dovrebbe essere limitato all’impiego di anti-febbrili come il paracetamolo o, secondo l’ultima tendenza, l’ibuprofene.
Rigorosamente bandita l’aspirina, assolutamente nei bambini, ma meglio anche negli adulti, per il rischio di tossicità al fegato.
L’influenza di tipo A è sensibile ai farmaci antivirali, segnatamente al Valaciclovir (Zelitrex ©) e all’Oseltamivir (Tamiflu ©). Gli antibiotici, notoriamente antibatterici, non sono utili nelle infezioni virali se non nelle sovra-infezioni.
La terapia con antivirali non è priva di effetti collaterali per cui andrebbe riservata solo ai soggetti che presentano complicazioni polmonari o sistemiche.
Da quanto detto rampolla l’inutilità di acquistare e fare scorta di farmaci antivirali.
Prevenzione attiva – L’unica arma di prevenzione a breve e medio termine è un vaccino efficace.
Nel nostro caso per l’influenza A H1N1 un vaccino efficace è in fase di distribuzione durante le prime due settimane di ottobre.
Anche il vaccino più performante può rivelarsi un’arma spuntata se non è sostenuto da una campagna vaccinale ragionata e da una distribuzione mirata.
Il programma del Ministero della Salute prevede una vaccinazione di massa in tre tempi. Durante la prima fase, verosimilmente entro il mese di ottobre, verranno vaccinati gli operatori sanitari, medici, infermieri, addetti ai servizi essenziali, forze armate e donne gravide.
Subito dopo sarà il turno dei soggetti affetti da malattie respiratorie di età compresa fra i sei mesi e i sessantacinque anni; in questa fascia ci saranno anche i bambini con asma.
Durante la terza fase vaccinativa le dosi di verranno distribuite ai giovani fra i 6 mesi e i 27 anni.
Sembrerebbe deciso di non vaccinare i bambini l di sotto dei sei mesi in quanto in genere questa fascia non è inserita in comunità e comunque appare più vantaggioso immunizzare le donne gravide proteggendo in questo modo anche il nascituro sino almeno al sesto mese.
Al momento questo appare un programma di massima ed è verosimile che il Ministero della Salute apporti qualche modifica in itinere.
Il consiglio del pediatra - Non è ancora certo quando il vaccino contro l’ H1N1 sarà in vendita liberamente in farmacia. Alla luce di questa considerazione sarebbe opportuno iniziare a vaccinare con il vaccino contro l’influenza stagionale (il normale vaccino anti-influenzale) quanto prima almeno i bambini con asma allergico.
Devono essere considerati ad alto rischio anche altri gruppi di bambini, fortunatamente meno numerosi, ad esempio quelli affetti da sindrome di Down e quelli che nell’inverno precedente si sono ammalati di bronchiolite.
A gentile richiesta lo trascrivo per i 25 lettori.
Per questa influenza di tipo A H1N1 o “influenza suina” si sono già sprecati fiumi di inchiostro.
Dalle prime ingenue e isteriche reazioni che inducevano ad astenersi dal consumare carne suina si è arrivati al terrore della pandemia, passando per la rievocazione dell’”asiatica” di infausta memoria.
Nel marasma multimediale e nella tempesta mediatica non è difficile vedere comunque qualche interesse privato, commerciale o di parte.
Ma facciamo ordine ed esaminiamo razionalmente quanto “si sa” (abbastanza) per difenderci meglio dai “si dice” (troppi) ed evitare inutile panico.
L’influenza A H1N1 – E’ una classica influenza che causa malessere, febbre e sintomi respiratori. Il termine “pandemia” non connota un’epidemia più grave, ma solo una diffusione su tutto il pianeta.
Molto spesso le influenze stagionali hanno assunto carattere pandemico, senza che la cosa suscitasse particolare sensazione come avviene in questi ultimi mesi.
Usualmente decorre in modo non grave. Può colpire i polmoni o causare sovra infezioni batteriche, che costituiscono le complicanze più gravi e temibili.
Questa evoluzione, comune anche a tutte le passate e future influenze, colpisce prevalentemente soggetti defedati, indeboliti e immuno-depressi.
La maggiore rapidità di contagio non è una caratteristica nuova o peculiare del virus di cui parliamo, ma sembra essere legata alla presenza di un’alta percentuale di individui non immunizzati e quindi suscettibili.
Infatti questo ceppo è una variante della “spagnola” che non si presenta sulla scena da parecchie decine di anni. Per questo motivo risulterebbero scarsamente suscettibili i soggetti nati prima del 1950, che avrebbero già incontrato un ceppo simile, immunizzandosi, mentre sembrano essere particolarmente indifesi tutti i soggetti nati dopo il 1970, che non hanno conosciuto ceppi simili.
L’epidemia quindi colpirà prevalentemente i giovani e i bambini.
A causa della diffusione prevalente in soggetti giovani l’indice di letalità è piuttosto basso, ad onta di quanto diffuso sinora dai mass media.
Trasmissione e misure di prevenzione passiva – La trasmissione, come per tutte le malattie virali, è per contiguità.
Il virus non vive da solo, ma dentro le cellule; la tosse, lo starnuto, la stretta di mano sono i sistemi più comuni con cui ci si infetta fra persone vicine.
Nella vicina Svizzera sono uscite delle regole che proibiscono la stretta di mano e scoraggiano il bacio, quantomeno sui luoghi di lavoro. Senza ricorrere all’elvetica intransigenza sarebbe sufficiente applicare le più semplici norme igieniche.
La misura più semplice è il lavaggio delle mani più volte al giorno e dopo ogni contatto per il personale sanitario. Un sistema molto semplice per far lavare le mani ai bambini è quello di farli contare fino a 20con le mani sotto il rubinetto dell’acqua.
In presenza di febbre di durata superiore ai tre giorni, soprattutto se il soggetto ha soggiornato da poco all’estero, sarebbe sconsigliabile intraprendere viaggi.
Questa tuttavia è una norma di buon senso comune che dovrebbe valere sempre, indipendentemente dalle epidemie.
Inutile ricorrere a mascherine che servono solo a isolare i malati, ma non proteggono le persone sane dal contagio.
I soggetti a rischio sono ovviamente le persone più deboli e segnatamente i cardiopatici, i pazienti con scarse difese immunitarie come chi ha recentemente eseguito chemioterapia anti-tumorale, i soggetti affetti da AIDS, da tubercolosi e da insufficienza renale, oltre atutti i soggeti che presentano patologia respiratoria cronica, dall'asma alla bronchite cronica.
Terapia – Il trattamento, come per le altre influenze, dovrebbe essere limitato all’impiego di anti-febbrili come il paracetamolo o, secondo l’ultima tendenza, l’ibuprofene.
Rigorosamente bandita l’aspirina, assolutamente nei bambini, ma meglio anche negli adulti, per il rischio di tossicità al fegato.
L’influenza di tipo A è sensibile ai farmaci antivirali, segnatamente al Valaciclovir (Zelitrex ©) e all’Oseltamivir (Tamiflu ©). Gli antibiotici, notoriamente antibatterici, non sono utili nelle infezioni virali se non nelle sovra-infezioni.
La terapia con antivirali non è priva di effetti collaterali per cui andrebbe riservata solo ai soggetti che presentano complicazioni polmonari o sistemiche.
Da quanto detto rampolla l’inutilità di acquistare e fare scorta di farmaci antivirali.
Prevenzione attiva – L’unica arma di prevenzione a breve e medio termine è un vaccino efficace.
Nel nostro caso per l’influenza A H1N1 un vaccino efficace è in fase di distribuzione durante le prime due settimane di ottobre.
Anche il vaccino più performante può rivelarsi un’arma spuntata se non è sostenuto da una campagna vaccinale ragionata e da una distribuzione mirata.
Il programma del Ministero della Salute prevede una vaccinazione di massa in tre tempi. Durante la prima fase, verosimilmente entro il mese di ottobre, verranno vaccinati gli operatori sanitari, medici, infermieri, addetti ai servizi essenziali, forze armate e donne gravide.
Subito dopo sarà il turno dei soggetti affetti da malattie respiratorie di età compresa fra i sei mesi e i sessantacinque anni; in questa fascia ci saranno anche i bambini con asma.
Durante la terza fase vaccinativa le dosi di verranno distribuite ai giovani fra i 6 mesi e i 27 anni.
Sembrerebbe deciso di non vaccinare i bambini l di sotto dei sei mesi in quanto in genere questa fascia non è inserita in comunità e comunque appare più vantaggioso immunizzare le donne gravide proteggendo in questo modo anche il nascituro sino almeno al sesto mese.
Al momento questo appare un programma di massima ed è verosimile che il Ministero della Salute apporti qualche modifica in itinere.
Il consiglio del pediatra - Non è ancora certo quando il vaccino contro l’ H1N1 sarà in vendita liberamente in farmacia. Alla luce di questa considerazione sarebbe opportuno iniziare a vaccinare con il vaccino contro l’influenza stagionale (il normale vaccino anti-influenzale) quanto prima almeno i bambini con asma allergico.
Devono essere considerati ad alto rischio anche altri gruppi di bambini, fortunatamente meno numerosi, ad esempio quelli affetti da sindrome di Down e quelli che nell’inverno precedente si sono ammalati di bronchiolite.
21 settembre 2009
Mykonos & Tinos, le foto
A una settimana dal ritorno ho ammortizzato il colpo e recuperato il tempo perduto. Anzi, ho trovato dei ritagli di tempo per iniziare a riordinare qualche fotografia.
Si possono vedere su Flikr.
I commenti ovviamente sarebbero molto graditi.
14 settembre 2009
Tinos 2, la vendetta
Dopo una giornata uggiosa come il sabato ecco una radiosa domenica, ultimo giorno di vacanza nelle Cicladi ovviamente. Giornata iniziata male con il rifiuto del riottoso quad di avviarsi; prendo l’autobus fino in centro convinto di fare una strage di noleggiatori e scopro che alla domenica, fino alle 10, gli autobus passano solo ogni ora e con orario diverso dai giorni feriali.
Arrivo in ogni caso dal noleggiatore, che si presta molto gentilmente a spiegarmi che questi motori si “ingolfano” facilmente, grazie non si era mai capito. Comunque viene a prenderselo e lo riavvìa (dopo venti minuti di tentativi).
Poi scopro che a Myconos oltre alle comitive che scendono dalle navi da crociera ancorate nella rada sta calando l’ondata dei domenicali “mordi e fuggi” da Atene.
Rapida corsa fino in piazza e torno trionfante con due biglietti andata e ritorno per Tinos, moto compresa, e salpiamo verso l’isola dei santuari alle 11.10 spaccate.
Dopo una giornata fredda e nebbiosa come venerdì questo è il giorno della vendetta.
Sbarchiamo e ci avventiamo sulle pendici della sponda occidentale, nel vento. Naturalmente sbagliamo strada, scolliniamo sul versante orientale, e finiamo nei pressi di un villaggio fra le rocce, Volax, dove la strada finisce.
Alla ricerca di una piazzetta dove girare il mezzo incontriamo invece una stupenda taverna con tavoli traballanti, sedie impagliate e tovaglie a quadretti bianchi e verdi. Il posto è frequentato solo da greci e inglesi, comunque insalata greca mista, salsiccia alla griglie due birre ci costano la metà che a Mikonos.
Poi visitiamo il paesino che è un piccolo gioiello, un pezzetto di Grecia curato, mantenuto e pulito come in una valle austriaca.
Riprendiamo il quad e scendiamo per una vallata quasi verde, tutte le pendici circostanti sono aride, riarse e rocciose, sino alla baia di Kolimbithra. Non fossimo satolli sarebbe bello fare il bagno, tutto l’occorrente c’è, ma decidiamo invece di riprendere il giro di giovedì e ritorniamo sulla sponda occidentale.
A Tinos, come d’alto canto anche in quasi tutte queste isole, non esiste una strada litoranea ma solo alcune strade principali di costa o di crinale, da dove poi si scende ai paesi costieri.
Il versante occidentale, che ci sembrava selvaggio con la nebbia, in realtà è abbastanza ridente e comunque ci sono molti insediamenti. Superiamo il crinale presso un monastero, nei pressi del villaggio di Isternia poi scendiamo verso Pyrgos. Il tempo è tiranno e ci suggerisce di iniziare la strada del ritorno.
La strada che scende a sud lungo la costa orientale ci mostra il volto selvaggio dell’isola; valli rocciose e brulle, percorse da muri a secco senza fine, si susseguono e scendono verso il mare.
Giunti a Komi decidiamo di tornare brevemente a Kolimbithra per un bagno. L’acqua è pulitissima e il fondale sabbioso.
Ripartiamo con un po’ di rimpianto da quest’isola così selvaggia e arriviamo al porto giusto in tempo per vedere spuntare nella rada il catamarano velocissimo che ci riporterà a Mikonos in venti minuti.
Ultima cena, ci mancherebbe, all’Atlantida di Platis Yalos, questa volta con grigliata mista.
Da martedì si rientra in ospedale.
Arrivo in ogni caso dal noleggiatore, che si presta molto gentilmente a spiegarmi che questi motori si “ingolfano” facilmente, grazie non si era mai capito. Comunque viene a prenderselo e lo riavvìa (dopo venti minuti di tentativi).
Poi scopro che a Myconos oltre alle comitive che scendono dalle navi da crociera ancorate nella rada sta calando l’ondata dei domenicali “mordi e fuggi” da Atene.
Rapida corsa fino in piazza e torno trionfante con due biglietti andata e ritorno per Tinos, moto compresa, e salpiamo verso l’isola dei santuari alle 11.10 spaccate.
Dopo una giornata fredda e nebbiosa come venerdì questo è il giorno della vendetta.
Sbarchiamo e ci avventiamo sulle pendici della sponda occidentale, nel vento. Naturalmente sbagliamo strada, scolliniamo sul versante orientale, e finiamo nei pressi di un villaggio fra le rocce, Volax, dove la strada finisce.
Alla ricerca di una piazzetta dove girare il mezzo incontriamo invece una stupenda taverna con tavoli traballanti, sedie impagliate e tovaglie a quadretti bianchi e verdi. Il posto è frequentato solo da greci e inglesi, comunque insalata greca mista, salsiccia alla griglie due birre ci costano la metà che a Mikonos.
Poi visitiamo il paesino che è un piccolo gioiello, un pezzetto di Grecia curato, mantenuto e pulito come in una valle austriaca.
Riprendiamo il quad e scendiamo per una vallata quasi verde, tutte le pendici circostanti sono aride, riarse e rocciose, sino alla baia di Kolimbithra. Non fossimo satolli sarebbe bello fare il bagno, tutto l’occorrente c’è, ma decidiamo invece di riprendere il giro di giovedì e ritorniamo sulla sponda occidentale.
A Tinos, come d’alto canto anche in quasi tutte queste isole, non esiste una strada litoranea ma solo alcune strade principali di costa o di crinale, da dove poi si scende ai paesi costieri.
Il versante occidentale, che ci sembrava selvaggio con la nebbia, in realtà è abbastanza ridente e comunque ci sono molti insediamenti. Superiamo il crinale presso un monastero, nei pressi del villaggio di Isternia poi scendiamo verso Pyrgos. Il tempo è tiranno e ci suggerisce di iniziare la strada del ritorno.
La strada che scende a sud lungo la costa orientale ci mostra il volto selvaggio dell’isola; valli rocciose e brulle, percorse da muri a secco senza fine, si susseguono e scendono verso il mare.
Giunti a Komi decidiamo di tornare brevemente a Kolimbithra per un bagno. L’acqua è pulitissima e il fondale sabbioso.
Ripartiamo con un po’ di rimpianto da quest’isola così selvaggia e arriviamo al porto giusto in tempo per vedere spuntare nella rada il catamarano velocissimo che ci riporterà a Mikonos in venti minuti.
Ultima cena, ci mancherebbe, all’Atlantida di Platis Yalos, questa volta con grigliata mista.
Da martedì si rientra in ospedale.
Sabato 12 settembre
Giornata sostanzialmente vuota e noiosa. Ha piovuto sino a metà pomeriggio e sono finiti i libri da leggere, e sì che mi ero portato qualcosa di voluminoso.
Due sortite fra un acquazzone e l’altro sono servite solo ad aggiornare il blog e ad acquistare latte, pane e simili generi di conforto, si fa per dire.
Verso sera abbiamo fatto una puntata a nord del nuovo porto per propiziare il cambiamento del tempo e infatti la domenica mattina il cielo appare sgombro da nubi.
La signora che ci ha noleggiato il quad ci ha giurato che il tempo sarebbe migliorato e ci ha suggerito di proseguire il noleggio ancora per un giorno e mezzo. Se il mio lavoro fosse quello di dare a nolo quad, motorino e scooter certamente mi sarei espresso nello stesso modo, ovviamente, ma noi ci abbiamo aggiunto la speranza.
Serata all’insegna della carne alla griglia da “Lefteris” alla baia di Ornos; veramente un posto giusto, pulitissimo, cucina in piena vista; c’è solo l’imbarazzo della scelta e il prezzo è onestissimo. Qui è il tempio della griglia e dello spiedo; è vietato l’ingresso ovviamente ai vegetariani.
Due sortite fra un acquazzone e l’altro sono servite solo ad aggiornare il blog e ad acquistare latte, pane e simili generi di conforto, si fa per dire.
Verso sera abbiamo fatto una puntata a nord del nuovo porto per propiziare il cambiamento del tempo e infatti la domenica mattina il cielo appare sgombro da nubi.
La signora che ci ha noleggiato il quad ci ha giurato che il tempo sarebbe migliorato e ci ha suggerito di proseguire il noleggio ancora per un giorno e mezzo. Se il mio lavoro fosse quello di dare a nolo quad, motorino e scooter certamente mi sarei espresso nello stesso modo, ovviamente, ma noi ci abbiamo aggiunto la speranza.
Serata all’insegna della carne alla griglia da “Lefteris” alla baia di Ornos; veramente un posto giusto, pulitissimo, cucina in piena vista; c’è solo l’imbarazzo della scelta e il prezzo è onestissimo. Qui è il tempio della griglia e dello spiedo; è vietato l’ingresso ovviamente ai vegetariani.
12 settembre 2009
Tinos
Il museo archeologico di Mykonos non è ricchissimo; o almeno a me così appare, quindi ce la sbrighiamo in poco tempo.
Poi è la volta del negozietto di paccottiglia dove acquistare i regalini per i figli; naturalmente pagando in contanti c’è lo sconto quindi parto alla ricerca di un bancomat che mi fornisca i contanti.
Non è molto chiaro se la commissione applicata sul prelievo vanificherà lo sconto dell’astuto negoziante cicladico, ma il bancomat più vicino è stato bloccato da una stupida signora indiana che ha infilato nella fessura una carta di credito esotica.
Naturalmente aspetta che la fessura la restituisca e a nulla valgono le proteste della coda di gente inferocita che si è formata in piazza.
Decido stoicamente di cercarmi un altro bancomat, che logicamente e strategicamente è piazzato nel punto più alto della città, da cui si vede un panorama stupendo sul porto.
Salgo le scalinate con una felpa caldissima sulle spalle, destreggiandomi in una comitiva di napoletani sbarcati da un nave della Costa Crociere.
Verso le 13 ritorno al porto trionfante con la mia manciata di banconote; ripassando dal primo bancomat scopro la signora indiana, o pakistana, ancora in attesa, ma con in mano un beverone dal colore poco rassicurante.
La nave per Delos, dove dovrebbe esserci un sito archeologico importantissimo, è stracolma, complice il tempo incerto che scoraggia una discreta percentuale di vacanzieri dalla vita di spiaggia.
Decidiamo di fare un follia e acquistiamo un biglietto del traghetto per Tinos, e salpiamo alle 14 con il fedele quad per l’isola dei santuari.
Il tempo è sempre meno raccomandabile e allo sbarco la minaccia di pioggia è sempre meno fantasiosa. Visitiamo il santuario dell’Annunciazione, l’equivalente ortodosso di Lourdes, anche se molto meno commerciale.
L’atmosfera mistica è molto suggestva e osserviamo alcuni pellegrini che salgono dal porto in ginocchio sino alla chiesa, in cima alla città.
Breve visita della cittadina, poi partiamo per il nord.
L’isola è più grande di Mykonos; è selvaggia e pressoché disabitata. Le strade, strette, ripide e tortuose offrono ad ogni curva scorci sempre nuovi che le nuvole basse rendono drammatici.
La mèta è Pyrgos, famosa per le sue cave di marmo verde, per una scuola di scultura e per un museo sulla lavorazione del marmo.
Il museo è simpatico, inaspettato, interessante e completato da una galleria fotografica dedicata ai tempi dell’emigrazione nelle Americhe. Ci accolgono cordialmente; non credo che abbiano visto molti italiani da queste parti, almeno dal tempo dell’ultima guerra mondiale.
Le nuvole sono sempre più basse e ci inducono a tornare al porto per la cena con un’ora di anticipo.
Tutto il lungomare di Tinos è un susseguirsi di taverne, dal nome greco impronunciabile. Ne scegliamo una che dovrebbe chiamarsi Epineio o qualcosa di simile e mangiamo lo zaziki più piccante della mia lunga vita, polipo alla griglia e vitello stufato con cipolle.
Alitando aglio ci avviamo al porto per prendere il più serio acquazzone delle Cicladi da qualche decennio e qui si scoprono i limiti del povero quad.
Aspettiamo il traghetto, naturalmente in ritardo, sotto una tettoia, poi non c’è più storia e si rientra mestamente a Mykonos, inzuppati sino al midollo.
Mykonos povera
Sono incontentabile. Sono arrivato a questa conclusione dopo aver riconosciuto che mi lamento sempre.
Eppure anche quest’isola, come molte mète del turismo di massa, mi sembra rovinata.
Il paesaggio è distrutto da una speculazione edilizia capillare il cui unico merito è stato quello di rispettare, per ora, l’architettura tradizionale, almeno nella forma. Certo va un po’ meglio che in Sardegna, ma qui gli interessi verosimilmente sono minori.
Il capoluogo Cora, oppure Hora, è irrimediabilmente segnato. Sopravvivono la chiesa di Paraportiani e la fila dei mulini a vento sopra il porto; poi c’è un piccolo museo archeologico.
Tutto il resto sono negozi di paccottiglia, di finte taverne, di pub e locali notturni. La città si è piegata al turismo chiassoso di chi ha fatto della trasgressione e dello sballo legalizzato le mète delle proprie vacanze.
Del mercato del pesce sopravvivono due banchi di marmo che si vivacizzano due volte alla settimana. Sul porto si aprono bar dove il caffè costa come in Piazza Duomo però lo spettacolo è diverso.
Al posto dei piccioni sudici di Milano ci sono i passeggeri delle navi da crociera che scendono per le poche ore consentite dal turismo “mordi e fuggi”.
La vera essenza di Mykonos sopravvive nelle spiagge del nord battute dal vento, ma anche lì sta arrivando la costruzione a tappeto di case da affittare.
Il bilancio della mia vacanza non è comunque negativo. Abbiamo girato l’sola in lungo e in largo, la scorta di libri non mancava, e il paesaggio merita alla fin fine una settimana di vacanza.
Lo scaletta della giornata non è stata complicata. Dopo la scoperta di alcune spiagge a nord, suggestiva quella di Agios Sostis, ci siamo buttati a Kalo Livadi, complice il clima accattivante, per un bagno nella baia.
L’errore è stato quella di fermarsi a mangiare in uno dei ristoranti della spiaggia, il Sol y Mar, gestito da Frankestein e suo fratello, almeno a giudicare dai sorrisi di benvenuto.
Qui per quarantuno euro abbiamo assaggiato quattro fiocchi di zucca ripieni e due sfogliatine bevendo due birre!
Pomeriggio in spiaggia, da diligenti Milanesi in vacanza e finalmente cena simpatica all’Atlantida di Platis Yalos dove Alexandros ci ha deliziato con abbondanza di verdure alla griglia, zaziki, calamari fritti, cartoccio al forno di agnello, feta, patate e pomodori, chiudendo con un dolce offerto dalla casa. Due birre elleniche e la stessa cifra di mezzogiorno.
Una dimostrazione che la legge della relatività di Einstein si applica anche all’onestà degli osti.
Abbiamo evitato accuratamente la serata di Cora, dove le ragazze, in attesa della discoteca, non si truccano come da noi ma si dipingono letteralmente; manca solo il cartello “vernice fresca” sul reggiseno. Del resto è praticamente impossibile muoversi con il quad senza rischiare di travolgere qualcuno degli ossessi vocianti che spuntano da ogni angolo di strada.
Ora sono quasi le sei del mattino. Gli autobus hanno ripreso a girare; gli unici passeggeri sono i camerieri che vanno al lavoro. Durante la notte ha piovuto; nuvole basse non fanno presagire niente di buono. Ci dedicheremo al museo archeologico.
10 settembre 2009
Mykonos, varie ed eventuali
Il tempo non sente ragioni. Nuvole basse corrono e nascondono il sole che appare pochi istanti per volta.
Scendiamo al porto alla ricerca del mercato del pesce, ma sono le 8 del mattino ed è già tutto bell’ e finito; qualche pescatore si attarda sulla barca a riparare le reti.
Se quello del pesce è finito quello della verdura è molto vivace: poche bancarelle ma molto frequentate.
Torniamo a Platis Yalos, prepariamo una borsa capiente con l’indispensabile per la spiaggia, un buon libro, le macchine fotografiche e lanciamo, si fa per dire, il trabiccolo scoppiettante alla scoperta delle spiagge del nord di Mykonos.
Sono poche, fredde, sferzate dal vento e quindi sdegnosamente disprezzate da gay e nudisti.
Ad Ano Merà scendiamo a sinistra e ci inoltriamo per una vallata brulla, abbastanza scoscesa che dovrebbe scendere al mare. Costeggiamo un laghetto artificiale, di acqua dolce, dal nome impronunciabile e finalmente, dopo quattro chilometri di sterrato, arriviamo alla baia di Fokos.
La spiaggia è stretta, delimitata da due rocce scoscese da entrambi i lati; quella a destra forma un arco sull’acqua all’uscita dalla baia.
Per fortuna c’è un ristorante, la Taverna Fokos, dove ci servono tre ragazze molto gentili; ci sono diversi piatti tipici e pesce fresco; scegliamo un tris di insalate, zaziki, formaggio fresco e lenticchie e non abbiamo motivo di pentirci. Non è proprio a buon mercato ma la qualità del cibo è notevole.
Le nuvole continuano a rincorrersi ma con molta meno convinzione e infatti verso le quattro del pomeriggio il sole trionfa.
Ripieghiamo sulla solitaria, riparata e calda spiaggia di Kalo Livadi, nella parte meridionale dell’isola e mi ributto in acqua fino alle 6.
Rientriamo a Cora giusto per fotografare il tramonto e riempire di benzina il rumoroso mostriciattolo a quattro ruote.
Cena vegetariana a casa con una bottiglia di Assyrtico di Santorini, naturalmente bianco.
09 settembre 2009
Egeo!
Prima vera giornata nell’Egeo. Il tempo è bruttino; tira un vento terribile da nord-est, freddo, e le nuvole basse corrano coprendo quasi sempre il sole.
Giriamo coperti come si fosse in mezza montagna e il vento cerca di sollevarci il casco mentre noi cerchiamo semplicemente di guidare il quad.
Nauseati dalla vita serale di Chora e di quanti la popolano scappiamo presto di mattina verso nord alla ricerca del faro, sapientemente chiamato “Fanari”.
Il posto sarenbe suggestivo, a picco sulla scogliera di fronte all’isola di Delo, se non ci fosse il vento rabbioso.
Gironzoliamo a nord, alti sopra il porto, e incontriamo anche un vecchio che scende in città a cavallo. Sembra autentico e non una trovata per turisti, almeno spero.
Pomeriggio inizialmente all’interno, al monastero di Panagìa Tourliani ad Ano Merà. All’interno c’è un’iconostasi del ‘400 con dipinti di scuola fiorentina.
Questo è quanto afferma il monaco che ci accoglie, poi, scoperto che siamo italiani, passa a raccontarci le vicende di Dongo e la fine di Mussolini, che conosce bene.
Ripartiamo con il nostro rumoroso mezzo per scendere alla spiaggia quasi deserta di Kalo Livadi. Qui l’acqua sembra più pulita e quasi tiepida.
Sfido il destino e mi ci butto; scendo un po’ con la maschera per scoprire un fondo ciottoloso dove incrociano pochi pesciolini piccoli e grigi. L’acqua è veramente pulita e vale la pensa di farci una nuotata rilassante.
Serata gastronomica al ristorante Atlantida di Platis Yalos dove scopriamo che c’è anche chi cucina bene il pesce e non deruba i turisti com’era successo il giorno prima.
Speriamo che il tempo migliori.
08 settembre 2009
Mykonos - l'arrivo
All’alba, anzi prima, il volo è per le 7.50, partenza per Mykonos.
Lo stacco non è immediato.
Anche al bar della Malpensa riesco a trovare lavoro: una crisi epilettica di una ragazza ucraina mi anima la colazione; mentre la soccorro, per quel poco che si possa fare, intorno la gente continua imperterrita a consumare brioches e cappuccini.
Forse la malattia del 21° secolo è l’indifferenza.
Chiuso questo episodio decolliamo per Mykonos lasciando Natasha al suo destino, cioè la squadra del 118 finalmente intervenuta e atterriamo dopo un paio d’ore in questa isola riarsa e ventosa.
Il tempo è clemente al mattino; dopo l’attesa fregatura in un ristorante in riva al mare ci riposiamo nel monolocale per qualche ora in attesa di decidere per il meglio.
Il meglio del tardo pomeriggio si rivela il noleggio di un “quad” per i prossimi cinque giorni.
Strano mezzo, metà moto, di cui possiede il tipo di guida, metà automobile, di cui possiede solo il numero delle ruote, per il resto è un aggeggio divertente, faticoso e instabile. Nel complesso comunque molto divertente.
Lo inauguriamo per un giro alla ricerca del supermercato ma soprattutto per una passeggiata verso il nuovo porto, durante la quale facciamo conoscenza con il temibile Meltèmi, il vento fresco che spira dal nord.
Cena vegetariano e promessa di ripartire l’indomani alla scoperta dell’isola.
Il paesaggio è brullo, la speculazione edilizia imperversa ed è vero che Mykonos è l’isola dei gay. Numerosi e felici dilagano dai ristoranti ai supermercati, finalmente liberi di manifestarsi.
Vedremo se all’interno dell’isola ci sarà qualcosa di meno artefatto e turistico di quanto abbiamo visto oggi.
03 settembre 2009
Magia dell'Egeo
Settembre finalmente! Ho deciso di prendermi un’egea settimana di vacanza su un’isola greca.
Ma che isola? Mah.. vedremo; seguite il blog e ve ne accorgerete.
La cosa tragica è stata cercare notizie.
Mi sono messo di buona volontà su Google e ho digitato: Mykonos, diario di viaggio.
Mi sono uscite una ventina di pagine di diari di viaggio. Tutti descrivono le spiagge, l’affollamento, le occasioni di avventura etero e omo, il tipo di musica che si ascolta, i locali più in, le peculiarità di questo dj e di quel bagnino, il costo esorbitante di lettini e ombrelloni, i prezzi di ristoranti e pizzerie, le conquiste fatte (poche), le fregature prese (tante) e le sbornie smaltite (troppe).
Non c’è rigorosamente alcuna descrizione del paesaggio, della gente, dell’arte e del clima e dei colori.
Insomma l’atmosfera di Myconos non è poi così diversa da Colico by night.
Credo che potrei scrivere questi diari di viaggio comodamente seduto in poltrona, anzi ci porverò, affacciato al mio lago, con qualche sapiente copia/incolla. E magari in un italiano più scorrevole.
Sembra che le vacanze nell’Egeo debbano per forza essere passaggi a tappe forzata da una discoteca a un pub per sette brevi giorni e sette lunghe notti.
Con un bel berretto negligentemente portato con la visiera storta all’indietro, torvi su bicchieri di beveroni colorati, ben alcoolici, facendosi due canne e attenti all’espressione delle pollastre che entrano in cerca di avventura.
Bon Dieu ma perché rischiare la vita su un volo Aegean, Alitalia, Olympic o su un charter dalle ali instabili, spellandosi le mani all’atterraggio nell’ italico e becero applauso di chi non ha mai volato?
Tutto quello che si trova a Myconos è a portata di mano a Domaso e Nobiallo, forse con qualche fregatura di meno in pizzeria; se proprio ci vuole il sapore della trasgressione si può arrivare a Cesenatico in qualche ora.
Ma che isola? Mah.. vedremo; seguite il blog e ve ne accorgerete.
La cosa tragica è stata cercare notizie.
Mi sono messo di buona volontà su Google e ho digitato: Mykonos, diario di viaggio.
Mi sono uscite una ventina di pagine di diari di viaggio. Tutti descrivono le spiagge, l’affollamento, le occasioni di avventura etero e omo, il tipo di musica che si ascolta, i locali più in, le peculiarità di questo dj e di quel bagnino, il costo esorbitante di lettini e ombrelloni, i prezzi di ristoranti e pizzerie, le conquiste fatte (poche), le fregature prese (tante) e le sbornie smaltite (troppe).
Non c’è rigorosamente alcuna descrizione del paesaggio, della gente, dell’arte e del clima e dei colori.
Insomma l’atmosfera di Myconos non è poi così diversa da Colico by night.
Credo che potrei scrivere questi diari di viaggio comodamente seduto in poltrona, anzi ci porverò, affacciato al mio lago, con qualche sapiente copia/incolla. E magari in un italiano più scorrevole.
Sembra che le vacanze nell’Egeo debbano per forza essere passaggi a tappe forzata da una discoteca a un pub per sette brevi giorni e sette lunghe notti.
Con un bel berretto negligentemente portato con la visiera storta all’indietro, torvi su bicchieri di beveroni colorati, ben alcoolici, facendosi due canne e attenti all’espressione delle pollastre che entrano in cerca di avventura.
Bon Dieu ma perché rischiare la vita su un volo Aegean, Alitalia, Olympic o su un charter dalle ali instabili, spellandosi le mani all’atterraggio nell’ italico e becero applauso di chi non ha mai volato?
Tutto quello che si trova a Myconos è a portata di mano a Domaso e Nobiallo, forse con qualche fregatura di meno in pizzeria; se proprio ci vuole il sapore della trasgressione si può arrivare a Cesenatico in qualche ora.
02 agosto 2009
1° agosto - Festa Nazionale Svizzera
Dopo quasi tre settimane impegnato a montare la cucina, riprendere in mano il lavoro e aiutare il nonno del Mauro a finire la cucina che altrimenti sarebbe ancora a pezzi… siamo di nuovo in giro per il mondo.
A dire la verità non è che siamo andati molto lontano: Sion, nel Cantone Vallese, è solo al di là delle Alpi.
A Sion mi legano ricordi di lunghi viaggi in 1100 Fiat con nonno Cesare, che allora era solo papà Cesare, agli inizi degli anni ’60.
Oggi è però la festa nazionale svizzera e non mi è dispiaciuto tornare a Sion. Gli Svizzeri non sono nostri cugini, come i Francesi, però sono dei vicini simpatici.
Qualcuno li trova musoni, rigidi, presuntuosi. Quando sento questi discorsi penso alle fregature che ho preso dai taxisti romani e napoletani, alla sporcizia dei treni italiani, alla maleducazione di chi guida in Italia, alla corruzione delle nostre repubbliche… e gli Svizzeri tornano ad essermi subito simpatici.
Invidio la loro pulizia, l’asettica organizzazione dei loro ospedali, la serietà della loro polizia, la puntualità dei loro treni… però preferirei farmi curare negli ospedali italiani.
Vabbè per questa notte dormiano in Svizzera dopo un pomeriggio alle terme, una serata di fuochi d’artificio, bande musicali e raclette.
Domani incontreremo due amiche di fotografia, Martine e Pascale.
14 luglio 2009
Da Besigheim a Heilbronn e ritorno a Villingen
Riprendo per dovere di cronaca dopo il ritorno a casa.
Da Besigheim partiamo abbastanza presto; ci attardiamo nella speranza di qualche raggio di sole per le ultime foto, ma è un’attesa vana.
Gli ultimi trenta chilometri sono piacevoli, panoramici, ma devastati da una notevole salita proprio a cinque chilometri da Heilbronn.
L’arrivo invece è divertente perché finiamo in mezzo a una folle regata sul fiume in cui equipaggi di una ventina di vogatori si sfidano in una corsa per eliminatorie interminabili.
Su ogni piroga in prua c'è una bella ragazza che batte il tempo su un tamburo; dietro i vogatori, in file per due, si danno il ritmo vociando; in poppa un timoniere si agita e urla pure lui.
Dai ponti gremiti non manca l’incitamento; la birra scorre a fiumi e il fumo di griglie, spiedi, piastre roventi avvolge le rive del fiume.
Anche qui ci attardiamo per qualche ora poi affrontiamo il viaggio sul treno pieno di biciclette all’inverosimile sino a Villingen.
Per completare la discesa di tutto il fiume mancherebbero ancora 150 chilometri, ma le ferie sono finite.
12 luglio 2009
Da Bad Cannstatt a Besigheim
Dopo una giornata dedicata al riposo e alle terme la partenza sarebbe rilassante e piena di aspettative se non ci si mettesse la pioggia.
Dopo aver temporeggiato per qualche tempo infiliamo la cerata da marinaio e si parte; naturalmente smette di piovere dopo dieci chilometri e ci alleggeriamo del poncho.
Il tempo si mantiene variabile con sprazzi di sole e folate di vento traverso sino a Hoheneck dove si trovano altre simpatiche terme; qui lasciamo le biciclette dentro un box a disposizione, monumento all’organizzazione teutonica, e prendiamo l’autobus per salire sulla sponda della valle sino a Ludwigsburg, dove visitiamo a caro prezzo uno splendido giardino, ammiriamo il castello della residenza di Ludwig e torniamo a riprendere le biciclette quando la gente comune si metterebbe a tavola.
La valle del Neckar ora si allarga mentre il fiume percorre anse su anse.
Sul versante volta a volta esposto a mezzogiorno le vigne vengono coltivate a terrazzi, mentre il versante meno soleggiato è lasciato a frutteti; il fondovalle è tagliato a colori vivaci dall’alternanza del grano con la segale.
Breve sosta per un pranzo frugale a Geisingen in un chiosco abitato da una gigante biondo tinto e burbero; dopo qualche minuto diventa gentile, arguisce la nostra mèta e ci augura buon viaggio.
La valle è sempre più luminosa, a dispetto del tempo variabile, e assomiglia sempre più a come l’avevo vista la prima volta, tre anni fa durante un viaggio alla volta della romanica cattedrale di Speyer.
E infatti dopo un’altra manciata di chilometri compare Besigheim, dove avevamo fatto tappa durante il viaggio a Speyer. Naturalmente scendiamo allo stesso albergo, un po’ in disarmo per la verità.
Besigheim è una delle cittadine più suggestive della contea; un abile piano regolatore e di restauro l’ha restituita al secolo scorso con le case a graticcio e le stradine strette su cui si aprono piccoli ristoranti, negozi leziosi e botteghe di paccottiglia e sovenir come si conviene a ogni luogo turistico in ogni parte del mondo.
Il viaggio è agli sgoccioli.
Rimane solo da raggiungere Heilbronn e tornare in treno a recuperare l’automobile.
11 luglio 2009
Stuttgart
Stoccarda è la città della Mercedes Benz e, poco discosto, a Zuffenhausen, della Porsche. La cosa che colpisce di più è proprio il fatto che fra le automobili che circolano in questa città sei su dieci portano sul cofano la mitica stella a tre punte.
Abbiamo deciso che sarebbe stato un giorno di riposo e così è stato. L’abbonamento giornaliero ai mezzi pubblici è molto conveniente, a differenza dei singoli biglietti che costano il doppio che a Milano.
Ma non sono i tram di Milano: puntualità a pulizia sono il motto di tutti i mezzi pubblici in Germania.
Passiamo la giornata fra il mercato del pesce, quello dei fiori e una tappa obbligata al panorama della torre della televisione, a 150 metri dal suolo.
Facciamo anche una breve puntata a Esslingen a rivedere la chiesa di San Dionigi dopo l’arrivo del sole a metà pomeriggio.
Per concludere torniamo alla terme e, visto che c’è l’abbonamento ai tram, finiamo la serata in birreria davanti a un pantagruelico stinco di maiale con quattro contorni.
Abbiamo deciso che sarebbe stato un giorno di riposo e così è stato. L’abbonamento giornaliero ai mezzi pubblici è molto conveniente, a differenza dei singoli biglietti che costano il doppio che a Milano.
Ma non sono i tram di Milano: puntualità a pulizia sono il motto di tutti i mezzi pubblici in Germania.
Passiamo la giornata fra il mercato del pesce, quello dei fiori e una tappa obbligata al panorama della torre della televisione, a 150 metri dal suolo.
Facciamo anche una breve puntata a Esslingen a rivedere la chiesa di San Dionigi dopo l’arrivo del sole a metà pomeriggio.
Per concludere torniamo alla terme e, visto che c’è l’abbonamento ai tram, finiamo la serata in birreria davanti a un pantagruelico stinco di maiale con quattro contorni.
09 luglio 2009
Da Nurtingen a Bad Cannstatt
Questa volta il tempo non è stato clemente, freddo fin dal mattino, nuvoloso, ventoso e quando ha voluto anche piovoso.
Non avevamo grandi ambizioni, la mancanza di allenamento ha cominciato a farsi sentire. L’idea era di arrivare a Stuttgard, Stoccarda per gli amici, culla della Mercedes Benz.
Infatti ci siamo arrivati dopo una galoppata di quasi sessanta chilometri rallegrata da due grossolani errori di itinerario individuati dal fedele GPS Magellan, che ormai ha i suoi anni.
Il problema è che l’errore di itinerario in bicicletta a volte costa qualche centinaio di calorie non programmate.
L’unica cittadina degna di nota è stata Esslingen con il suo duomo tardo-romanico dedicato a S. Dionisio.
La pala dell’altare risale al seicento ma è tratteggiata con colori vivacissimi, assolutamente inconsueti in Italia a quell’epoca. E arriva la folgorazione: il duomo di Esslingen è protestante! A parte la rarità di un altare dipinto in quel tempo in una chiesa evangelica scopriamo quanto avrebbe potuto essere luminosa la pittura del seicento se non avessimo avuto la lugubre Controriforma.
Scomparso l’unico sprazzo di sereno della giornata ripartiamo alla volta di Stoccarda.
Come ci eravamo ripromessi andiamo a ritemprare il fisico provato alle terme di Bad Cannstatt e poco importa se ripariamo in un anonimo albergo vicino alla stazione dei tram.
L terme nella più stretta osservanza romana sono costituite da una vasca di acqua calda e salmastra a 36 gradi affiancata a una fredda e ferruginosa a 18 gradi. Il passaggio dall’una all’altra è un buon succedaneo della sauna; per chi non vuol rischiare ci sono anche due vasche tiepide, alimentate da entrambe le sorgenti, a 30 gradi circa, ma lì non ci si diverte.
La prossima giornata è di riposo con visita della città e pomeriggio di nuovo alle terme.
Non avevamo grandi ambizioni, la mancanza di allenamento ha cominciato a farsi sentire. L’idea era di arrivare a Stuttgard, Stoccarda per gli amici, culla della Mercedes Benz.
Infatti ci siamo arrivati dopo una galoppata di quasi sessanta chilometri rallegrata da due grossolani errori di itinerario individuati dal fedele GPS Magellan, che ormai ha i suoi anni.
Il problema è che l’errore di itinerario in bicicletta a volte costa qualche centinaio di calorie non programmate.
L’unica cittadina degna di nota è stata Esslingen con il suo duomo tardo-romanico dedicato a S. Dionisio.
La pala dell’altare risale al seicento ma è tratteggiata con colori vivacissimi, assolutamente inconsueti in Italia a quell’epoca. E arriva la folgorazione: il duomo di Esslingen è protestante! A parte la rarità di un altare dipinto in quel tempo in una chiesa evangelica scopriamo quanto avrebbe potuto essere luminosa la pittura del seicento se non avessimo avuto la lugubre Controriforma.
Scomparso l’unico sprazzo di sereno della giornata ripartiamo alla volta di Stoccarda.
Come ci eravamo ripromessi andiamo a ritemprare il fisico provato alle terme di Bad Cannstatt e poco importa se ripariamo in un anonimo albergo vicino alla stazione dei tram.
L terme nella più stretta osservanza romana sono costituite da una vasca di acqua calda e salmastra a 36 gradi affiancata a una fredda e ferruginosa a 18 gradi. Il passaggio dall’una all’altra è un buon succedaneo della sauna; per chi non vuol rischiare ci sono anche due vasche tiepide, alimentate da entrambe le sorgenti, a 30 gradi circa, ma lì non ci si diverte.
La prossima giornata è di riposo con visita della città e pomeriggio di nuovo alle terme.
08 luglio 2009
Da Hirschau a Nurtingen
Durante la notte ha piovuto e piove anche alla mattina presto. La nostra gasthof è frequentata da lavoratori, autisti e forse rappresentanti, quindi la colazione è servita a partire dalle 6.30.
E che colazione! Pensata certamente per chi lavora, ma si presta egregiamente alla bisogna di chi è atteso da una giornata sui pedali.
Quattro tipi di salumi appena affettati, uova, tre tipi di formaggio, quattro versioni di pane, marmellate, yoghurt, miele e caffè come si deve.
L’oste della sera prima ha lasciato il posto a due robuste signore; ignoriamo quale sia la moglie dell0oste, ma una delle due dovrebbe essere l’artefice sia delle marmellata di fragole che di quella di lamponi.
Il seguito è meno divertente perché la gomma posteriore della bicicletta di Laura è inservibile; la pompa si è rotta; camere d’aria di scorta ce n’è una sola e sono rimaste a casa le bombolette.
Tubingen è a soli quattro chilometri, sostiene la moglie dell’oste, mentre mi schizza la mappa per arrivare da un ciclista.
Così parto sotto la pioggia e scopro che Tubingen è sì vicina, ma a oltre sette chilometri. Comunque trovo tutto e per le dieci sono di ritorno.
Cambio rapido di camera d’aria e si riparte. Quanto meno ha smesso di piovere. Ci attardiamo per le strade di Tubingen, piccola e deliziosa città universitaria, assomiglierebbe a Pavia se non avesse almeno dieci volte più parchi, più verde, più piste ciclabili e più studenti, oltre ad essere decisamente più pulita.
Verso mezzogiorno arriva qualche minuto di sole a permetterci di scattare qualche fotografia carina.
Ripartiamo e torna nuvoloso; la pioggia rimane sporadica, in compenso si alza un vento gagliardo e freddo, fortunatamente in poppa.
Il tempo rimane uggioso e arriviamo in serata a Nurtingen. La città mi sembra sostanzialmente triste. Dopo qualche difficoltà raggiungiamo uno dei pochissimi alberghi di questa città.
Solo le automobili fiammanti la distinguono dalle meste città della defunta Germania comunista di triste memoria.
07 luglio 2009
Da Oberndorf alla periferia di Tubingen
Seconda tappa, tormentata. Non so come si potrebbe chiamare questo nostro giro che tocca alcune delle più grandi città universitarie della Germania del sud.
Sicuramente resterà nel nostro ricordo come il viaggio dei saliscendi.
La pista ciclabile è ben tenuta e ben segnalata, ma chi si illudesse di percorrere l’alzaia di un fiume deve ricredersi. Il percorso divaga a poca o tanta distanza dal Neckar ma in un continuo salire e scendere per poggi, boschi e collinette.
E il fiume? In questi giorni, in cui di notte diluvia, ma fortunatamente di giorno è variabile, il Neckar scorre limaccioso e minaccioso trasportando a valle tronchi, rami divelti e tracimando nei prati quando gli argini sono bassi.
Partenza abbastanza presto ma con sosta precoce in un centro commerciale: mi mancano le camere d’aria di scorta, le bombolette per gonfiarle in caso di necessità e alcuni ferri di scorta. Naturalmente troviamo solo l’acqua e i pomodori che ci serviranno da carburante.
Partiamo sperando di non forare. Il tempo è interlocutorio ma non piove.
Nell’alternarsi di nuvole, nuvoloni, minaccia di pioggia, gocce minacciose e sprazzi di sereno attraversiamo due incantevoli cittabine: Horb an Neckar e Rottenburg am Neckar.
In quest’ultima visitiamo rapidamente il duomo gotico di S. Martino e la chiesa abbaziale, altrettanto gotica, di S. Maurizio. Riesco a scattare qualche foto interessante, ma la mancanza del fido Photoshop sul netbook mi suggerisce di metterle on line al mio rientro.
La giornata si conclude alla Gasthof Leuwen di Hirschau, alla periferia di Tubingen.
Gli ultimi chilometri sono stati noiosi a causa delo sgonfiamento graduale ma inesorabile del pneumatico posteriore di Laura.
Alla Gasthof Leuwen sono rimaste solo camere senza bagno, ma dimentichiamo la disavventura di fronte al rumpsteak monumentale che ricorda felicemente una fiorentina ai ferri. In pratica veniamo messi all’ingrasso da un oste monumentale che è certo del nostro appetito dopo 60 km di saliscendi. Non possiamo dargli torto, ma siamo certi di aver demeritato nella sua reputazione nel momento in cui non siamo riusciti a concludere la cena come lui avrebbe voluto.
05 luglio 2009
Da Villingen a Oberndorf
Prima tappa, ma soprattutto si torna a viaggiare in bicicletta dopo una sosta forzata di quasi due anni.
Non c’è stato tempo per allenarsi quindi tutto appare più difficile.
Caricare le biciclette, ripartire il carico, provare altezza di sella e pedali, insomma,si parte verso le 10.30 del mattino.
E’ anche domenica, e ieri era sabato, quindi niente guida della pista ciclabile, niente di tutte quelle piccole cose, dalle batterie di ricambio a qualche ferro per la manutenzione e una sola camera d’aria di scorta.
Comunque chiediamo al padrone del mitico Hotel Romaeus e rubiamo qualche indicazione per la strada iniziale.
Come pensavo questa zone è tutta una collina, piena di saliscendi oltre l’immaginabile. Con qualche fatica e qualche dubbio sul percorso raggiungiamo Schwenningen prima di mezzogiorno.
Il nostro fiume, in realtà un rigagnolo piuttosto sporco, nasce poco distante dalla stazione ferroviaria, ma quanto meno da qui inizia la segnaletica chiara ed efficace per seguire la pista ciclabile.
Per una quindicina di chilometri tutto fila liscio in mezzo ai boschi alternati a campi di segale.
Verso le 13 rapida sosta a Deisslingen in un ristorante italiano, peraltro l’unico aperto e frequentato, dove ci accontentiamo di un’insalata con l’immancabile birra. Il padrone è italiano ma è nato in Germania e sostiene che qui deve pagare solo lo Stato, invece se tornasse in Italia dovrebbe pagare anche il pizzo, quindi torna solo per le vacanze.
Riprendiamo la strada dopo un’altra breve sosta davanti alla caserma dei vigili del fuoco dove è in corso una simulazione di soccorso.
Altri 10 chilometri e arriviamo a Rottweil dopo una salita biblica. Il centro storico è molto carino con le case a graticcio, i bow window e gli intonaci in tinte pastello.
Il tempo di scattare qualche fotografia e ripartiamo alla volta del fiume, che scorre molto più in basso. Non è così semplice e anche la discesa sino al greto del fiume è un’altra discreta serie di saliscendi.
La pista è ben segnalata e con un fondo eccellente. Finalmente si corre in fondovalle, fra la ferrovia e il fiume.
Raggiungiamo presto, verso le 16.30, la cittadina di Oberndorf; il contachilometri segna 50. Per oggi, con tutti i saliscendi e lo scarso allenamento, peso possa bastare.
Ci accoglie la pensione della famiglia Melber, quasi in riva al fiume.
Villingen & Schwenningen
Ieri sono tappa di trasferimento.
Appena entrati in Germania ci hanno accolto la pioggia e una lucente locomotiva a vapore in pressione pronta per un treno speciale.
Qui i treni sono un’istituzione; a un tiro di schioppo da Stoccarda sorge la mitica fabbrica di treni elettrici Marklin.
Comunque facciamo qualche foto sotto una pioggia, fortunatamente poco convincente e poi ripartiamo alla volta di Villingen. La cittadina fa coppia fissa con Schwenningen, dove nasce il nostro fiume. Peccato che fra l’una e l’altra ci sia una valletta che in bicicletta non promette nulla di buono.
Dopo l’arrivo all’ Hotel Romeus siamo usciti alla ricerca della sorgente del Neckar. Niente di più difficile nel momento in cui Schwenningen era in preda a un forsennata “notte di cultura”, una sorta di rumorosa notte bianca in cui la birra ovviamente scorreva a fiumi.
Abbiamo cenato con bistecche, wurst, insalata di rafano, crauti e patate e naturalmente weissbier, la mitica Furstemberg weissbier che si produce alle sorgenti del Danubio, a nove chilometri da qui. Quindi abbiamo dormito sullo spartiacque fra Mar Nero e Mare del Nord.
Oggi si dovrebbe partire; l’uso del condizionale riposa sulla presenza di minacciose colline coperte di boschi, ricche di micidiali saliscendi per le gambe poco allenate.
04 luglio 2009
Partenza!
Dopo un paio di giorni di duro lavoro, interrotto da pesanti sedute di ecografia, la cucina ha preso forma.
Manca la sagomatura e il taglio dei piani di lavoro, ma per questo avrei deciso di rivolgermi per aiuto al nonno di Mauro, come gentilmente suggerito dalla Signora Liliana.
E poi?
E poi abbiamo deciso di partire per la nuova avventura: la discesa in bicicletta del fiume Neckar, nella Germania del sud.
La bici sono caricate; mi sono fornito di un netbook con chiave modem ADSL per aggiornare la cronaca di viaggio sera per sera.
Queste sono le ultime note prima di affrontare lo Spluga e la valle del Reno. Contiamo di raggiungere Schvenningen, dove nasce il Neckar, in serata. Ieri, con uno sforzo sovrumano sono riuscito a prenotare la camera all’Hotel Romaus di Villingen.
Non è stato molto difficile perché ho trovato un albergatore che conosceva l’inglese come me quindi ci siamo intesi telefonicamente… a gesti!
30 giugno 2009
Onomastico in cucina
29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo. Ringrazio con affetto tutti quelli che mi hanno spedito gli auguri in forma multimediale.
Ma un ringraziamento particolare a Maddalena, che ha deciso che mi chiamo nientedimenocchè San Paolo. Beh qualche volta lo dice anche la mia caposala. Per chi non la conoscesse Maddalena Maddy è la bambina più bella dell’Alto Lario Occidentale e il suo valore aggiunto è che ha un cromosoma in più.
Per quanto mi riguarda, a parte una breve scampagnata in ospedale per qualche ecografia, ho concluso la seconda giornata a montare la cucina del monolocale prossimo venturo.
Ho scoperto che montare una cucina è un po’ come un bel viaggio in bicicletta e quindi la prendo con filosofia.
Come in bicicletta parto alla mattina con grande entusiasmo e arrivo alla sera stremato, senza più neanche appetito.
Come in bicicletta molta gente mi guarda con degnazione e compatimento e mi chiede sempre la stessa cosa: “ma chi te l’ha fatto fare?”
Come in bicicletta ho le gambe piene di lividi: oggi mi sono fatto cadere sui piedi prima un trapano elettrico e poi un cassetto in costruzione.
Come in bicicletta ti sembra di avere percorso chissà quale distanza oggi e poi scopri che sono venti minuti di treno.
Con questa riflessione comincio a realizzare che il viaggio nella valle del Neckar si allontana e la bicicletta prenderà un supplemento d polvere.
28 giugno 2009
Novità attorno al solstizio
Dopo oltre cinque anni di viaggi quotidiani e di investimenti in gasolio e, più recentemente, in benzina, ho deciso “autonomamente” di acquistare un bilocale a Gravedona.
L’ho trovato in basso, da buon laghèe, non proprio sul lago ma con una finestra vista lago da cui si vede la punta di Bellagio.
La scelta dei pavimenti, delle tinte alle pareti, della tonalità del parquet e di altre amenità è stata avocata da donna Laura a sé stessa medesima, e senza appello.
Qualche piccola imperfezione nella tinteggiatura e nei colori è stata solo colpa mia, della mia ignavia e dei perfidi “pittori”, che vengono a pitturare a tradimento e nelle ore più impensate.
Fino ad oggi io non pensavo alla casa, preso dal lavoro e dalle mamme.
Oggi c’è stata un’inversione di tendenza. Il signore ecuadoregno che avrebbe dovuto montarci la cucina dell’Ikea ha deciso di raddoppiarsi il compenso.
E’ stato gentilmente invitato a tornare donde era venuto e poi quindi anche il povero pediatra è tornato utile per iniziare a montare la cucina con l’aiuto del suocero.
Il problema sarebbe anche che dopo due anni di digiuno si era deciso di partire giovedì mattina per un’incantevole pista ciclabile che si snoda lungo le rive del fiume Neckar…
L’ho trovato in basso, da buon laghèe, non proprio sul lago ma con una finestra vista lago da cui si vede la punta di Bellagio.
La scelta dei pavimenti, delle tinte alle pareti, della tonalità del parquet e di altre amenità è stata avocata da donna Laura a sé stessa medesima, e senza appello.
Qualche piccola imperfezione nella tinteggiatura e nei colori è stata solo colpa mia, della mia ignavia e dei perfidi “pittori”, che vengono a pitturare a tradimento e nelle ore più impensate.
Fino ad oggi io non pensavo alla casa, preso dal lavoro e dalle mamme.
Oggi c’è stata un’inversione di tendenza. Il signore ecuadoregno che avrebbe dovuto montarci la cucina dell’Ikea ha deciso di raddoppiarsi il compenso.
E’ stato gentilmente invitato a tornare donde era venuto e poi quindi anche il povero pediatra è tornato utile per iniziare a montare la cucina con l’aiuto del suocero.
Il problema sarebbe anche che dopo due anni di digiuno si era deciso di partire giovedì mattina per un’incantevole pista ciclabile che si snoda lungo le rive del fiume Neckar…
06 maggio 2009
Mercoledì d'ordinaria follìa.
Dice la signora Liliana: ma non abbiamo più notizie della Pediatria…
Eccovi serviti con la cronaca di questa giornata.
Entro in reparto alle 7.30; sembra presto, ma oggi dovrò tenere un corso di aggiornamento e non potrò seguire il lavoro di routine sino a metà pomeriggio.
Da alcuni giorni sono stato costretto a spegnere il cellulare “pubblico” che sembra diventato quella del Barbiere di Siviglia.
La dottoressa giovane è a Varese; il giovane di studio giace nel suo letto di dolore afflitto da una faringite dolorosissima.
La dottoressa sicula è già in reparto; sorride, beata lei, e mi confida che non ha dormito per tutta la notte, comunque è pressoché da sola e ha già quasi finito il giro, interrotto da 2-3 visite di pronto soccorso.
Beviamo il caffè poi scendo all’aula dei congressi dribblando con poco successo la caposala e la pila di carte che dovrei firmare ogni mattina.
Al sotterraneo è già arrivata Anita, la giovane infermiera che mi affiancherà nel corso di aggiornamento.
Ci sono anche altri figuri amministrativi che mi presentano carte da firmare e controfirmare; il microfono non funziona; le batterie sembrano scariche e chiamo l’elettricista; invece era solo la rotella del volume chiusa alla consolle; grazie e io come facevo a saperlo? Comunque il proiettore funziona e miracolosamente non mi hanno cancellato le slides durante la notte.
Finisco la prima relazione e salgo in reparto a vedere se hanno bisogno di me: naturalmente e fortunatamente no.
Ridiscendo e iniziamo le esercitazioni pratiche; il cellulare, quello privato, è scarico e devo lasciarlo in reparto così non mi trovano più; è un illusione: compare l’infermiera del Pronto Soccorso con il mio cercapersone; ha il numero 57.
Nei ritagli di tempo cerco di parlare con il rianimatore per un problema della prossima settimana; il suo telefono non funziona e quando finalmente risponde si inkazza; cosa posso fare se ha un cordless scarico?
Finalmente arriva la pausa pranzo; decido per un panino con la capo-ostetrica che partecipa al corso d’aggiornamento; salgo in reperto a cambiarmi e mi bloccano; la capo-ostetrica va a mangiare con altre due infermiere e a me non resta che la mensa; c’è pasta ai quattro formaggi; orrore per la mia dieta; sto diventando una mongolfiera; mi accontento di un po’ di riso in bianco, due arance e un mandarino.
Torno a concludere il corso d’aggiornamento poi di corsa in reparto che alle 15 iniziano le ecografie.
Finisco giusto alle 18 per fare una visita allergologica che aspetta dalle 16; d’altra parte Marco, giacendo sempre nel suo letto di dolore, non ha potuto eseguirla.
Alle 17.30 arriva la reperibile mentre in sala parto si apprestano a concludere un’induzione perigliosa.
Ora sono solo le 20. Alle 20.30 c’è la cena per festeggiare un collega che diventa primario in un ospedale vicino; poveretto! Non sa cosa lo aspetta.
Spero di riuscire a leggere almeno qualche pagina dell’ultimo libro che ho iniziato, ma forse crollerò prima.
Eccovi serviti con la cronaca di questa giornata.
Entro in reparto alle 7.30; sembra presto, ma oggi dovrò tenere un corso di aggiornamento e non potrò seguire il lavoro di routine sino a metà pomeriggio.
Da alcuni giorni sono stato costretto a spegnere il cellulare “pubblico” che sembra diventato quella del Barbiere di Siviglia.
La dottoressa giovane è a Varese; il giovane di studio giace nel suo letto di dolore afflitto da una faringite dolorosissima.
La dottoressa sicula è già in reparto; sorride, beata lei, e mi confida che non ha dormito per tutta la notte, comunque è pressoché da sola e ha già quasi finito il giro, interrotto da 2-3 visite di pronto soccorso.
Beviamo il caffè poi scendo all’aula dei congressi dribblando con poco successo la caposala e la pila di carte che dovrei firmare ogni mattina.
Al sotterraneo è già arrivata Anita, la giovane infermiera che mi affiancherà nel corso di aggiornamento.
Ci sono anche altri figuri amministrativi che mi presentano carte da firmare e controfirmare; il microfono non funziona; le batterie sembrano scariche e chiamo l’elettricista; invece era solo la rotella del volume chiusa alla consolle; grazie e io come facevo a saperlo? Comunque il proiettore funziona e miracolosamente non mi hanno cancellato le slides durante la notte.
Finisco la prima relazione e salgo in reparto a vedere se hanno bisogno di me: naturalmente e fortunatamente no.
Ridiscendo e iniziamo le esercitazioni pratiche; il cellulare, quello privato, è scarico e devo lasciarlo in reparto così non mi trovano più; è un illusione: compare l’infermiera del Pronto Soccorso con il mio cercapersone; ha il numero 57.
Nei ritagli di tempo cerco di parlare con il rianimatore per un problema della prossima settimana; il suo telefono non funziona e quando finalmente risponde si inkazza; cosa posso fare se ha un cordless scarico?
Finalmente arriva la pausa pranzo; decido per un panino con la capo-ostetrica che partecipa al corso d’aggiornamento; salgo in reperto a cambiarmi e mi bloccano; la capo-ostetrica va a mangiare con altre due infermiere e a me non resta che la mensa; c’è pasta ai quattro formaggi; orrore per la mia dieta; sto diventando una mongolfiera; mi accontento di un po’ di riso in bianco, due arance e un mandarino.
Torno a concludere il corso d’aggiornamento poi di corsa in reparto che alle 15 iniziano le ecografie.
Finisco giusto alle 18 per fare una visita allergologica che aspetta dalle 16; d’altra parte Marco, giacendo sempre nel suo letto di dolore, non ha potuto eseguirla.
Alle 17.30 arriva la reperibile mentre in sala parto si apprestano a concludere un’induzione perigliosa.
Ora sono solo le 20. Alle 20.30 c’è la cena per festeggiare un collega che diventa primario in un ospedale vicino; poveretto! Non sa cosa lo aspetta.
Spero di riuscire a leggere almeno qualche pagina dell’ultimo libro che ho iniziato, ma forse crollerò prima.
03 maggio 2009
La Dottora dei Pacchi
Molti dei 15 lettori si sono lamentati che il blog non venga aggiornato.
Sarà vero ma, tornato da un viaggetto di due giorni nel Vallese, ho trovato solo un messaggio della Dottora dei Pacchi.
Non vuol dire nulla; non sono in cerca di messaggi di conferma, ci mancherebbe. Forse però non ho mai parlato di Lei.
Dopo due anni di sterile fatica, cercando di insegnare come funziona un reparto a quattro successivi assistenti, di tre dei quali è meglio dimenticare, era arrivata Lei.
La Dottora mi aveva affascinato per il curriculum: invece di enfatizzare sciocchezze, come alcuni predecessori, aveva messo solo l’essenziale.
Fu amore a prima vista.
Giunse sulle rive del lago dopo una delle poche nevicate dell’inverno lariano e ne rimase perplessa, ma accettò comunque di lavorare con me.
Ogni mattina arrivava di pessimo umore. Al mio sorriso mattutino e contagioso (ho ancora l’entusiasmo del dopo laurea, dopo 32 anni) rispondeva con un sorriso forzato che resisteva fino al primo caffè, per aprirsi poi in una risata.
Risata che assumeva riflessi cangianti a seconda di quanto passava il convento.
E’ stata l’assistente che ha dato una sterzata al reparto.
Con Lei l’organizzazione è migliorata e il suo “controgiro” è diventata la costante con cui scandire la fine di ogni mattino.
Niente pranzo come tutti i cristiani, solo uno yoghurt, però mangiato in mensa, assieme ai comuni mortali.
Ogni settimana riceveva dalla Sicilia lo “scatolo”, poi evoluto nel “pacco” di cui allo pseudonimo.
Dallo “scatolo” estraeva ogni bendiddìo che mamma e papà spedivano da Spadafora.
Bendiddìo che Lei divideva con tutti e con me in particolare.
Poi, come da accordi, da programmi e da profezìa se n’è andata lasciando nella Pediatria di Gravedona un vuoto da colmare.
Il Peppino non aveva ancora un barca, ma Lei non sarebbe stata un marinaio di prua, avrebbe voluto il timone senza mai confessarlo, ma non per ambizione, sinceramente per non affaticare il suo primario.
Grazie Giusy! Mi manca anche il tuo sorriso storto, ma sincero, ogni mattina.
Sarà vero ma, tornato da un viaggetto di due giorni nel Vallese, ho trovato solo un messaggio della Dottora dei Pacchi.
Non vuol dire nulla; non sono in cerca di messaggi di conferma, ci mancherebbe. Forse però non ho mai parlato di Lei.
Dopo due anni di sterile fatica, cercando di insegnare come funziona un reparto a quattro successivi assistenti, di tre dei quali è meglio dimenticare, era arrivata Lei.
La Dottora mi aveva affascinato per il curriculum: invece di enfatizzare sciocchezze, come alcuni predecessori, aveva messo solo l’essenziale.
Fu amore a prima vista.
Giunse sulle rive del lago dopo una delle poche nevicate dell’inverno lariano e ne rimase perplessa, ma accettò comunque di lavorare con me.
Ogni mattina arrivava di pessimo umore. Al mio sorriso mattutino e contagioso (ho ancora l’entusiasmo del dopo laurea, dopo 32 anni) rispondeva con un sorriso forzato che resisteva fino al primo caffè, per aprirsi poi in una risata.
Risata che assumeva riflessi cangianti a seconda di quanto passava il convento.
E’ stata l’assistente che ha dato una sterzata al reparto.
Con Lei l’organizzazione è migliorata e il suo “controgiro” è diventata la costante con cui scandire la fine di ogni mattino.
Niente pranzo come tutti i cristiani, solo uno yoghurt, però mangiato in mensa, assieme ai comuni mortali.
Ogni settimana riceveva dalla Sicilia lo “scatolo”, poi evoluto nel “pacco” di cui allo pseudonimo.
Dallo “scatolo” estraeva ogni bendiddìo che mamma e papà spedivano da Spadafora.
Bendiddìo che Lei divideva con tutti e con me in particolare.
Poi, come da accordi, da programmi e da profezìa se n’è andata lasciando nella Pediatria di Gravedona un vuoto da colmare.
Il Peppino non aveva ancora un barca, ma Lei non sarebbe stata un marinaio di prua, avrebbe voluto il timone senza mai confessarlo, ma non per ambizione, sinceramente per non affaticare il suo primario.
Grazie Giusy! Mi manca anche il tuo sorriso storto, ma sincero, ogni mattina.
24 aprile 2009
L' Acqua Cheta
Forse sono diventato un’acqua cheta. Nel senso che non scrivo più nulla sul blog. In molti si lamentano. Non è proprio così; il più delle volte scendendo al lavoro di mattina mi ripropongo di aggiornare queste quattro pagine, e gli spunti non mancano, ma poi prevale l’accidia, la routine e il centinaio di seccature che allietano la mia giornata lavorativa.
Bene. Ora si cambia. Questa mattina ho deciso di rimanere a casa e riordinare foto e blog.
Siamo tornati questa notte dalla Toscana. La scusa di portare dei campioni per una ricerca all’Università di Siena è stata la molla che ci ha spinto a far vela sul Senese.
Tappa d’obbligo l’Osteria dell’Acqua Cheta a Montepulciano.
Dopo quattro o cinque visite non mi ha mai deluso. L’oste finto burbero adagio adagio si scioglie e si rivela sempre più simpatico.
Le carni alla brace, i primi robusti, il pane sciocco mi sono indispensabili per sentirmi veramente in Toscana.
La folla dei turisti di bocca buona non ha ancora rovinato questa osteria, che peraltro credo sia una piccola miniera d’oro per il nostro oste.
Speriamo non si rovini e non ceda alle lusinghe dell’omologazione.
06 marzo 2009
Ulrich
Dopo aver rinnovato il sito della Pediatria di Gravedona e quello della Simeup Lombardia, dopo aver caricato altre foto su Flikr, dopo essermi definitivamente stufato di Facebook, ho deciso di aggiornare anche questo povero blog.
E iniziamo dei miei 15 lettori.
Alcuni sono fedelissimi, lo vedo dal counter. Ci sono fra questi le sorelle Liliana e Zia Ale, la Dottora dei Pacchi e Veronica.
Perse le giovani Chiara, Sara e Anna.
Poi c'è Ulrich.
Dopo un silenzio di alcuni mesi, ma ovvìa è diventato nonno di Anna, ora è tornato prepotentemente alla ribalta.
Ma sapete che anche Ulrich ha un blog (http://www.ulrich-schwendke.de) in italiano?
Ulrich è uno dei grandi amici, non ce ne possono essere molti nella vita, al massimo cinque.
E' uno di quegli amici che magari non senti per mesi e mesi, come Giovanni da Firenze, ma sai che sono lì se ne hai bisogno.
Così vive Ulrich nella sua Straubing sulle rive del Danubio assieme a Hilde.
Forse è il grande fiume che gli suggerisce la saggezza, la tranquillità, lo studio meditativo dell'arte.
Consensuale la sua vulcanica attività in capo sociale che lo porta in giro per tutta la Germania con la Unione dei Seniori della città di Straubing.
L'unica cosa che mi lascia perplesso è il suo amore per l'Italia: provi a venire a viverci!
15 febbraio 2009
Siena
Dopo quasi due mesi di lavoro ininterrotto e, diciamolo pure, bestiale, mi sono preso un week-end.
Non è vera vacanza, è semi-lavoro perché lunedì sarò al Policlinico di Siena a discutere un progetto, comunque è meglio di niente; anzi.
Per mille motivi non ci sono né biciclette né cani, quindi possiamo dedicarci a tempo pieno a fotografia e sloow-food.
Poi si smaltirà nei prossimi due mesi senza requie.
01 gennaio 2009
Buon Anno
A Capodanno, finiti i botti, tutti più o meno tiriamo le somme. C’è chi fa discorsi alla nazione, chi si abbandona alla nostalgia cullato dalle libagioni di mezzanotte, chi lavora e chi dorme il sonno del giusto.
Non faccio eccezioni e a mia volta il pensiero corre, sempre più al passato, sempre meno al futuro, nonostate l’anno alle porte.
Questa sera voglio ricordare i miei tanti Colleghi: quelli che mi sono stati maestri e quelli che mi sono stati un po’ allievi.
Da tutti ho imparato.
Quindi Buon Anno, in ordine sparso a: Gianni, un altro Gianni ormai grigio, Giuseppe, due Paoli, uno giovane e uno anziano, i due Marco, Mariarosa, Elena, Gisella, Antonio, Giovanna, Maria, Paola, Gilberto, Giusy, altri tre Giuseppe, Gianna, Gigi, Pasquale, i due Rino, Miriam, Marina, Ciro, Adele, Salvatore, Andrea, Rinaldo, Alberto, Cristiano, Pina, Marlis, Herold, due Roberti, Carlo, Isabella, Mario, Stefania, Maria Rita, Antonio, Giorgio e Loretta, Fabrizio, Donato, Eugenio; ma sono molti di più.
Buon Anno ai genitori di tutti i bambini che ho accompagnato nell’ultimo viaggio e che mi guidano, ora che sono nella Luce.
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