Ier l’altro
sembrava che non si potesse uscire neppure per una passeggiata, un po’ come
questa mattina che piove.
Falsa ortica-ibrida - Pian di Spagna (Como) |
Dopo una diecina
di ore chiuso in ospedale, dieci ore di ordini, contrordini, ipotesi fantasiose,
nuove porte e altri cartelli non sapevo come sgranchire i muscoli.
Ho trovato
nel ripostiglio due pesetti abbandonati da tre kilogrammi e su youtube una serie
di esercizietti per rassodare seno e cosce.
Mi ci sono
dedicato a porte chiuse sperando che nessuno di casa salisse a vedere cosa
stessi combinando.
Noia
mortale!
Io non riesco
a pensare cosa pensi chi dedica ore e ore alla palestra; forse tutti a seno e
cosce, ma dopo un po’ diventa noioso anche per un settantenne come me.
Rincorrendo
pensieri e letture dell’ultima ora mi sono ritrovato in terza media, fra pochi compagni
pensionati che ho rivisto su facebook per un recente compleanno multimediale.
Vivevamo il “miracolo
economico” che
iniziava a impallidire, confrontandoci le automobili del papà che
dieci anni prima sarebbero state impensabili.
Eravamo
amministrati da una classe politica che pochi anni dopo sarebbe stata sepolta
solo perché la cremazione era difficile e proibita ai cattolici.
Eravamo
imbottiti di buonismo, perbenismo e paternalismo, anche se non ci piacevano i "terroni" che arrivavano con le valigie legate con lo spago e il vino denso e il pane duro e buono.
Poi è
arrivato il ‘68, sulla scia del maggio francese e la Primavera di Praga.
Poi gli anni
del terrore, le stragi, il rosso e il nero, no non quello di Stendhal.
Poi il
razzismo, la tentazione della secessione, il crollo del muro, la scomparsa dei comunisti
e la loro resurrezione non tre giorni dopo ma poco più.
E ora volevano contrabbandarci il fascismo camuffato, subdolo, a volte maleodorante a volte profumato e contaffatto o pitturato sui muri con le bombolette nere.
“Invece è
bastato un virus con una particolare corona, un insignificante frammento di RNA
di pochi nano-micron, un essere che non ha neppure la dignità di un DNA
proprio, ma deve sfruttare quello dell’ospite che infetta, per mandare tutto
all’aria. Le nostre certezze sono improvvisamente crollate, sgretolate o
svanite, e questo ci fa sentire impotenti perché culturalmente siamo
impreparati ad affrontare la dimensione dell’incertezza. [Giorgio Baratelli]”
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