Algarve, Portugal - mattino a Praia da Luz |
Stiamo
vivendo un’emergenza, la prima che ci tocchi da vicino dopo la fine dell’ultima
guerra.
Ora capisco
sempre più il mio papà che parlava di questa sua guerra, che gli aveva tolto
gli anni più belli della vita, dai venticinque ai trenta e non gli aveva
consentito di proseguire gli studi all’università, anzi, non l’aveva neppure
potuta iniziare.
Gli anni
della guerra li ho sempre visti tristi e grigi, invece anche allora ci saranno
state giornate radiose come questa prima di primavera e ci è consentito respirare
solo dai davanzali e dai terrazzi.
Anche adesso
combattiamo una guerra silenziosa.
Da prima che
spunti il solo sono attaccato al pc, davanti a uno schermo che mi tiene in
contatto con colleghi lontani e con quelli in prima linea. Poi andrò in
ospedale.
La mattinata
trascorre lentamente, scrivendo, progettando e sperando; perché ci sarà un
domani.
A volte
vengo assalito dalla rabbia, sì, rabbia per chi anche di questi tempi continua
a credere, scrivere e diffondere storie di complotti e fake news.
Arrivano per
sms, per e-mail, allarmi, proclami e interviste.
Le caratteristiche
sono le stesse, un italiano approssimativo, infarcito di idiozie che purtroppo
molti non hanno gli strumenti per distinguere, discernere, leggere con
serenità.
L’ultima
notizia, arrivata questa mattina per sms, mi raccomandava di non usare l’ibuprofene,
un antinfiammatorio; nei giorni scorsi qualcuno raccomandava di usare alte dosi
di vitamina C; da tempo gira la bufala che il virus sia “artificiale” e
scappato di mano a scienziati che preparavano la guerra biologica.
Basta
leggere fra le righe e ragionare per capire che si tratta di idiozie, ma mi
domando chi e perché senta il bisogno di diffondere queste fake news. La
risposta è semplice: perché c’è chi le prende sul serio.
Frustrazione?
Ignoranza? Invidia? Odio?
Di tutto un
po’, un cocktail micidiale; ma siamo in guerra.
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