18 febbraio 2010

Grotta di S. Caterina, da Bagoga, a Siena.

Dopo le disavventure dell’ultima volta, patite solo ed esclusivamente per causa della mia distrazione, abbiamo rifatto la pace con le trattorie di Siena.
Ma torniamo un attimo indietro; l’ultima volta a Siena c’era anche il Sciur Peppino. Nella fretta di partire avevo dimenticato la fidata guida Slow Food.
Avevo vicariato temerariamente con una guida Routard da Feltrinelli e mal me ne incolse. In tre successivi locali avevo rimediato due fregature e un battibecco.
Quindi questa volta, buttata al macero la guida Routard con la speranza che nel riciclo si salvino almeno due pioppi, sono tornato alla gialla e fidata guida Slow Food.
Così siamo finiti nella Grotta di S. Caterina a Siena, da “Bagoga”, al secolo Pierino Fagnani, che era un fantino del Palio.
La cena è simpatica e di ottimo livello. Il collo ripieno e il “tonno” dei colli senesi sono un antipasto superbo. La qualità scende un po’ con la ribollita, un po’ troppo classica, come di chi è troppo sicuro di sé, ma la bandiera viene tenuta alta dai tortelli di patate in salsa rosa. Onesti secondi di carne, come ci si attende dovunque in Toscana e dolci da manuale.
Dovendo guidare al ritorno nessuno ha esagerato sui vini, eccellenti e a prezzi onesti, a patto di non chiedere la luna, che c’è pure quella, come il Brunello, e viene fatta giustamente pagare.
Bagoga sta in cucina; a metà della cena fa capolino in sala e saluta; dopo il secondo fa un altro giro e passa a salutare tavolo per tavolo, evitando con sapiente tatto le coppiette in trattativa per il dopocena.
Ce lo ritroviamo sulla porta che saluta cordialmente e a testa alta perché il conto è stato onestissimo in rapporto alla qualità e all’atmosfera.

Voto: Cucina 8, ambiente 9, vini 9. Media 9/10 circa.

16 febbraio 2010

Toscana, come sempre a carnevale

Complice un corso dell’Università di Firenze, iniziato ieri e che proseguirà sino a domani, da qualche giorno sono in Toscana.
All’inizio è stata Siena, dopo un sonno ristoratore al Ceppo. Ma non è il caso di dire dove si trova.
Non so come definirla, forse locanda con alloggio sui colli a pochi chilometri da Siena; mi sembra che a parlarne e a farla conoscere meglio possa rovinarsi la sua atmosfera fuori dal tempo.
Le sue ore sono quelle del secolo scorso; apre presto al mattino e chiude presto alla sera.
A guardia di un bivio, dalle prime ore del mattino è tappa e sosta per caffè, panini robusti, brioches calde e tabacco per postini, autisti, soldati, fattorini, cacciatori e perditempo.
Le segretarie e le impiegate che ti guarderanno impassibili e lo sguardo ostentatamente fisso per tutto il giorno per le strade di Siena qui incrociano gli occhi con gli altri avventori e con gli ospiti occasionali.
Dalla prima volta mi sono sentito a casa e la prima notte in Toscana la passo qui.
La domenica il tempo è grigio; vaghiamo inquieti fra Duccio e Lorenzetti; poi ci avviamo verso Firenze attraversando il Chianti.
Ci si ferma allo spoglio monastero di S. Lucchese e poi alla volta di S. Gimignano alla ricerca del Giudizio Universale di Taddeo di Bartolo.
Ma è inutile; c’è la sfilata di carnevale ed è l’unico giorno dell’anno che il duomo chiude inesorabilmente i battenti.
Nelle strade a raggiera che salgono al centro del borgo i carri hanno iniziato a diffondere musica riprodotta e amplificata da impianti nutriti con gruppi elettrogeni a rimorchio dei trattori. Aspettarsi invano le bande musicali dei paesi è come distillare nostalgia nell’indifferenza.
Ci attardiamo per i vicoli in attesa che carri di cartapesta sciamino rumorosamente verso il centro, con il loro corteo di genitori in maschera e nonni ringalluzziti che trascinano bambini tristi, capricciosi e stralunati in costumi improbabili.
All’uscita dal paese è rimasto un caldarrostaio che mi sconta due sacchetti di caldarroste profumate in attesa che ritorni la folla dal centro.