23 settembre 2014

Nemours - Cherbourg

Secondo giorno di viaggio; ce la prendiamo calma, mancano solo 450 chilometri, e partiamo verso le 10.30.
Dire che piove a catinelle è un eufemismo e saltiamo volentieri la visita alla cittadina che ci eravamo ripromessi alla sera.
Per arrivare a Cherbourg bisogna passare Parigi; purtroppo dobbiamo lambire la città e così, alle 12.30, abbiamo percorso solo 100 chilometri.
Proseguiamo prima sull'autostrada a pedaggio, poi sella statale, che è la stessa cosa dell'autostrada ma senza pedaggio e verso le 15.30 entriamo trionfanti nel porto di Cherbourg.
Il tempo è decisamente migliorato e splende il sole tiepido dell'Europa quasi nordica.
Parcheggiamo nella corsia dell'imbarco e sbarco preferenziale, lusso previdentemente previsto da Chris per l''irrisorio esborso di €10.
Dentro il porto per i bisogni primari ci sono solo delle toilettes quasi abbandonate e infatti sono molto simili a latrine da caserma.
Cerchiamo qualcosa da mangiare ma dentro il porto di Cherbourg non c'è nulla da mettere sotto i denti.
Fortunatamente abbiamo ancora un po' di pane toscano, cioè fatto a Gravedona ma senza sale, e qualche avanzo di formaggio e prosciutto.
Dobbiamo aspettare che termini l'imbarco di un traghetto rugginoso, poi la nostra fiammante Oscar Wilde, che attende alla fonda, è pronta a mettersi in posizione.
Imbarchiamo in modo sbrigativo, raggiungiamo la nostra cabina, e cominciamo a studiare la nave dove trascorreremo circa 16 ore.
Ci sono tre ristoranti, sostanzialmente costosi, 3 o 4 caffè. Sugli schermi trasmettono partite di calcio gaelico, una mix improponibile di rugby e calcio in cui l'unica cosa sicura è che i giocatori si picchiano come all'uscita di un pub.
Scegliamo il ristorante intermedio, che offre carne bovina a caro prezzo, metre pollo e porco hanno prezzi abbordabili.
Scelgo una bistecca di porco; mela portano completa di cotenna morbidissima, patate fritte con la buccia, come negli States, e intanto mi tolgono destramente il piattino del pane. Mah...
Qui si serve solo birra tedesca e americana, e infatti molti vanno al bar vicino e tornano con pinte di scura Guinness o fulva Murphy.
La notte è senza storia, un po' di rollìo e molto beccheggio sulla Manica dove tira vento gelido, ma almeno il cielo è sereno.

21 settembre 2014

Morbegno - Gravedona - Nemours



In coda al S. Gottardo
E' il primo dei tre giorni che ci serviranno per arrivare a Dublino.
Cristiano ha iniziato questa sua nuova avventura professionale da qualche mese ed è tornato per portare la vecchia Golf rossa a concludere onorevolmente la sua carriera in Irlanda.
Così partiamo da Morbegno e Gravedona per questo viaggio in Europa con sapore d'altri tempi.
Da anni non trascorrevo così tanto tempo con mio figlio, ma sembra tutto naturale, anche se da anni viviamo la nostra vita.
Una delle eredità avute dai miei genitori è la consuetudine a lasciare grande autonomia ai figli.
Fino a Basilea il viaggio è monotono.
Queste strade le ho battute per tante volte che oramai mi colpiscono solo gli imprevisti.
E gli imprevisti sono due code infernali.
La prima è all'imbocco del tunnel del S. Gottardo e non ci possiamo fare nulla, imbottigliati sull'autostrada.
La seconda è all'ingresso di Basilea, ma mi ci ribello. Ricordo abbastanza i luoghi per avventurarmi fuori dall'autostrada lasciando in coda nel lungo tunnel che porta sul Reno il popolo tedesco che ritorna dal Bel Paese.
Imbocchiamo decisi l'autostrada francese che ci porterà a Parigi e a Cherbourg dove domani sera ci aspetta il traghetto.
La povera Golf è stipata quasi all'inverosimile e ci sentiamo un po' emigranti.
Autogrill svizzero
La cosa non sfugge a un'ineffabile pattuglia della polizia francese che ci insegue a sirene spiegate poco dopo Mulhouse e ci invita, peraltro cortesemente, ad accostare in un'area di sosta, dove ci aspettano altri poliziotti.
Il dubbio che siamo strani trafficanti li porta a perquisire tutti i nostri bagagli, stivati con cura.
Ovviamente non trovano nulla di sospetto.
Intrattengo amabilmente il capo della pattuglia con il mio francese scolastico e miracolosamente ci aiutano a ricaricare l'auto come e meglio di prima.
Non abbiamo perso molto tempo, però fra code e perquisizioni dobbiamo ridimensionare la nostra mèta.
Poi ci lanciamo sull' autostrada che chiamano, “du soleil” (del sole), e il solo in effetti si abbassa inesorabile sull'orizzonte a occidente e ci abbaglia a tratti.
Fortunatamente forse per abituarci al clima irlandese le nuvole francesi ogni due ore ci regalano un acquazzone.
Arriva la notte e attraversiamo una regione coperta da boschi, e pascoli. Rare luci in lontananza occhieggiano ogni 3 o 4 chilometri.
Mi chiedo chi terrà così pulita e coltivata questa distesa coltivata e deserta.
Alice, l'alce che ci accompagna...
Tutto sembra rimasto come quando l'attraversavo all'inizio degli anni '70, con la fidata e mitica Autobianchi A112 alla scoperta di Parigi.
Ci fermiamo a Nemours, poco lontano da Fontainebleu, nella regione parigina, dopo più di 800 km.
Sono già le 22 e temo che non troveremo molto per cena.
La cittadina è semideserta nonostante sia sabato sera.
Provincia francese profonda.
Rimediamo un ristorante ancora affollato ma ci cacciano senza neppure un sorriso di circostanza.
Meditiamo su una pizzeria polverosa e un kebab deserto, poi troviamo un altro Kebab rumoroso, ancora affollato da giovani per lo meno alternativi.
Cristiano mi rassicura e in effetti con una tale guardia del corpo entriamo spavaldi. Tutto sommato si mangia un buon kebab, certificato alal, ma gestito da Francesi e infatti c'è anche la birra insperata.
11.50 euro in due? Tariffa popolare per una cena meritata!
Ripieghiamo sull'Ibis Hotel, che TripAdvisors classifica primo di 5, ma la camera, a parte i due letti, assomiglia alla cella di un convento cluniacense, non fosse per il prezzo non particolarmente popolare.
Pazienza. Per Cherbourg mancano solo 400 chilometri.

Sostiene Antonio


Partiamo all'alba per Pavia. A quest'ora di solito parto per Catania, riesco a parcheggiare a Malpensa, a prendere il primo AirOne e a varcare la Pediatria del "Vittorio Emanuele" verso le 9.30.

Ma, sostiene Antonio, dobbiamo arrivare a Milano prima delle 7 del mattino altrimenti è un casino.

Sul piccolo Suv siamo in tre: Laura, che guida ed è moglie di Antonio, Alfie, mia fidata collaboratrice, ed io.

Laura viene da Pisa; Alfie da Trecastagni, cintura etnea, io sono lombardo.

A Milano ovviamente arriviamo alle 6.

Per arrivare a Pavia la strada logica sarebbe la tangenziale est, poi la provinciale che passa da Opera, Pieve Emanuele, Lardirago etc etc.

Laura imbocca decisa la Venezia Torino.



io - Nooo, questa è più lunga!

Laura - No, questa è giusta perchè noi facciamo sempre questa, sostiene Antonio.

io - Ma Antonio è calabrese!

Laura - Insomma io conosco questa e poi sull'altra mi perdo...

io - Ma io sono lombardo, conosco la Lombardia, da lì fai tutto il giro di Milano in senso antiorario...

Laura - Ormai ho preso questa, la prossima volta si farà come dici te!

Io - Va bene, te lo ricordi che devi prendere per Genova?

Laura - No, sostiene Antonio che devo uscire a Bereguardo!

io - Ma Bereguardo viene dopo, intanto devi prendere per Genova.

Laura – Sostiene Antonio che devo fare questa strada!



E così, complice l'orario antelucano mi addormento e Laura, alla disperata ricerca di Bereguardo perde l'imbocco dell'autostrada per Genova.

Mi risveglio a S. Donato appena in tempo per fare deviare Laura su Opera.

Abbiamo fatto tutto il giro di Milano in senso antiorario; Pavia è lontana; io sostengo che potremmo scrivere la guida delle tangenziali di Milano



Io – Questa strada è una provinciale, ma almeno arriveremo a Pavia senza essere tornati a riprendere l'autostrada di Genova...

Laura – Oddio e come faremo a trovare il Policlinico? Sostiene Antonio che il Policlinico si raggiunge agevolmente arrivando da Bereguardo.

Io – Va bene, comunque Pavia non è molto grande; io ci venivo spesso quando mia figlia faceva l'università; tranquilla, il Policlinico te lo trovo io.

Laura – Ma Antonio sostiene che si doveva arrivare da Bereguardo.

Io – Ma guarda lo spettacolo della pianura padana nella foschìa...



E intanto attraversiamo Opera, Pieve Emanuele, Lardirago, Landriano e Vidigulfo.

Poi imbocchiamo la tangenziale di Pavia e ci arrestiamo trionfanti davanti al Policlinico S. Matteo alle 7.15. Il convegno inizierà alle 9.30.

Propongo una bella colazione nell'attesa, in centro a Pavia.



Laura – Ma poi come torniamo? Sostiene Antonio che ci si può perdere...

Alfie, che non aveva mai parlato – Insomma, andiamo a fare colazione, io sostengo che Antonio se la stia ridendo alle nostre spalle!

07 settembre 2014

Riflessioni pediatriche - 2° tempo



Domenica pomeriggio. Sono in ospedale un po’ per caso, un po’ per necessità. E’ un problema filosofico: caso o necessità?
Chiacchieriamo con il giovane medico che prende molto sul serio la sua domenica di lavoro.
Arriva un’adolescente caduta da cavallo.
Vista in Pronto Soccorso, visitata anche dal Neurochirurgo. Eseguita una tac del cranio con esito normale. Vengono da Bergamo, spero siano contenti delle prestazioni eseguite con sequenza subentrante nonostante sia domenica pomeriggio.
La ragazza non ha un trauma grave, la terremo in osserazione fino a lunedì.
La sistemiamo con la mamma in camera singola, due letti e bagno privato, come tutte le camere della pediatria. La mamma è molto contenta del trattamento e dice che siamo come in albergo.
Nel frattempo in corridoio arrivano due “signori” che entrano in una camera dopo l’altra e poi anche nello studio dei medici.
Mi permetto di alzare la voce e di ricordare loro che in casa d’altri si usa chiedere permesso, almeno io faccio così quando entro in casa d’altri.
Non l’avessi mai fatto.
Il più anziano mi mette le mani sulle spalle gridando e l’altro urla che questo è un posto pubblico, pagato dai contribuenti come lui e che quest’ospedale è un “lager”.
Si tratta del nonno e dello zio della ragazza caduta da cavallo.
Potrei chiamare i Carabinieri e invocare l’oltraggio a pubblico ufficiale, avrei dei testimoni.
Poi lascio perdere.
Questo non è più il mio mondo, non è più il mio ospedale, non è più il mio Paese.
Dopo 38 anni di pediatria spero solo di andare in pensione presto.

03 settembre 2014

Riflessioni pediatriche - 1° tempo


L'italiano medio preferisce il cane al bambino.

L'italiano medio è molto orgoglioso dell'educazione del proprio cane ed è altrettanto orgoglioso della maleducazione del proprio bambino. Cane batte bambino 1-0.

L'italiano medio non ama che il suo cane abbai perchè potrebbe disturbare i vicini, ma se lo fa il figlioletto lo difende a spada tratta. E siamo 2-0.

L'italiano medio non raccoglie la cacca del suo cane, però cambia subito il suo bambino. Il bambino ha la meglio sul cane; il risultato è sul 2-1.

L'italiano medio ha grande stima per l'istruttore del suo cane mentre in genere trova mille difetti a tutti gli insegnanti di suo figlio. Cane batte bambino 3-1.

L'italiano medio pretende obbedienza dal proprio cane, ma lascia il proprio bambino allo stato brado. Ulteriore goal del cane. Il risultato è 4-1.

L'italiano medio acquista un sacco di porcherie per alimentare suo figlio; spesso al cane toccano gli avanzi. Cane-bambino sono pari. Risultato finale 4-2.

Aspettiamo il secondo tempo.

08 agosto 2014

Caro pediatra ti scrivo



Caro Dottore,
volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me.
Sono quel bambino di dieci anni, cicciottello, forse qualcosa di più, che hai conosciuto alcune notti fa.
Io mangio sempre tanto, soprattutto troiate, e non faccio mai la cacca.
Quella sera l’ho fatta tre volte. La mia nonna si è spaventata e mi ha portato in ospedale, non nel tuo, in quello grande che sta in fondo a quel ramo del Lago di Como che volge a mezzogiorno.
I miei genitori erano a Milano, io stavo con la nonna in villeggiatura.
In quell’ospedale hanno detto che non avevo niente e che avrei dovuto mangiare meno troiate.
La nonna si è adirata e allora mi hanno fatto gli esami del sangue e hanno ancora detto che non avevo niente e che andassi a casa tranquillo.
Ma a casa volevo rivedere la mia mamma e allora ho detto che avevo male al pancino (beh, si fa per dire, a me piace mangiare...) e allora la mia nonna ha chiamato il 118 ed è arrivata un’ambulanza.
La mia nonna ha detto che non voleva tornare in quell’ospedale che sta laggiù dove c’è quel ramo  del lago di Como che volge  a mezzogiorno e allora quelli dell’ambulanza, un po’ sbuffando, mi hanno portato nel tuo ospedale che sta sull’altra sponda.
L’ambulanza ha corso tanto nella notte e non vedevo niente fuori  e la nonna piangeva.
Poi sono arrivato nel tuo ospedale e tu hai detto che non avevo niente, però mi hai fatto anche un’ecografia perchè non si sa mai.
Però l’hai detto sorridendo e la nonna era contenta e ha cominciato a raccontarti tutte le sue malattie, che sono tante, però la nonna sta meglio di tutti noi e rompe il cazzo.
Allora tu mi hai messo una flebo e io mi sono addormentato perchè il pancino non mi faceva più male.
Ma la nonna aveva chiamato i miei genitori che sono arrivati da Milano di corsa, ma non troppo perchè non hanno la sirena e neppure i lampeggianti.
E tu aspettavi.
E tutti erano contenti e io dormivo.
E tu hai pensato che bello spendere tanti soldi per mandare un’ambulanza da una sponda all’altra del lago di notte, però sei gentile e non l’hai detto, ma io mi sono divertito con la sirena, le luci e tutto.
Poi sono andato a casa perchè stavo bene e non avevo niente  e i miei genitori erano arrivati a trovarmi.
E ti hanno chiesto cosa avrebbero dovuto fare se io fossi stato male ancora e tu hai risposto che era meglio chiamare il prete ma essi non ne conoscono.
Grazie dottore, spero di tornare un’altra volta.

07 agosto 2014

Scansioni di vita d'ospedale



L’ambulanza corre nella notte sulla Valeriana, un tempo consolare romana che portava in Alemagna.
I lampi azzurri degli stroboscopi rendono livide case contadine addormentate.
La sirena ripete incessante l’alternanza delle due note fa e la che hanno sostituito i fischi laceranti in voga nella prima repubblica e oltremare.
Nell’ambulanza un piccolo arabo con la febbre.
Da poche ore ha eseguito un vaccino.
La sorella, che ha studiato in Italia, ha letto su internet che dopo un vaccino può succedere ogni cosa nefasta e ha visto l’ombra della morte allungarsi sulla famiglia marocchina.
E così, misurata la febbre a 38.5° (centigradi, of course), ha chiamato il numero dell’emergenza.
L’ambulanza corre nella notte sulla Valeriana verso l’ospedale che si allunga pigro sul lago.
Il medico di guardia in Pronto Soccorso è preoccupato.
Febbre dopo un vaccino! Veramente sarebbe febbricola, ma il terrore fa per tre. Forse è un esordio febbrile dell’autismo, lo spettro che incombe sui sinistri vaccini che le potenze demoplutocratiche impongono ai lattanti inermi.
Forse sono inermi perchè non hanno ancora il sistema immunitario, chissà che con il vaccino qualcosa si combini, ma il terrore e l’ignoranza sommati fanno per sei, e comunque non danno cecità come chi fa da sè.
Il medico di guardia è veramente preoccupato e chiama il primario della pediatria, che si precipita nella notte.
E’ freddo, è buio, non ci sono lampi stroboscopici a fendere le tenebre ma solo una rispettabile bicicletta, ma il primario pedala comunque, felice di questo silenzio che sarà violentato fra poco dalle due note famose.
Se fosse più giovane sognerebbe una giovane donna e altre tre note (si la do) ma è anziano e assonnato, comunque pedala nella notte; l’ospedale non è lontano e ci arriva facilmente.
Sale quattro piani a piedi canticchiando “la pancia non c’è più”.
Il corridoio è tranquillo, silenzioso nella penombra della notte tranquilla, ma si anima, si accende, si illumina, si desta, rivive nelle infermiere che preparano febbrili l’ossigeno e l’adrenalina, veramente c’è anche un’ostetrica simpatica per solidarietà.
Arriva l’ambulanza che ha corso nella notte; ha abbandonato l’ex strada consolare Valeriana per imboccare con le gomme fumanti la litoranea Regina.
Gli stroboscopi lampeggiano incessanti anche dopo che la sirena ho smesso il suo lamento sincopato.
In reparto arriva trionfante un piccolo arabo incazzato con l’otite.
Gli fa male l’orecchio, porcudighel, e non ha potuto nemmeno toccarselo perchè l’hanno legato sulla barella regolamentare.
Il primario della pediatria ha una crisi d’identità. Non si sente più medico ma contribuente frustrato che paga la tasi, la tares, l’irpef, l’imu, la tassa di proprietà anche sull'autombile che non usa e questi portano in giro un’otite in ambulanza perchè hanno letto che il vaccino può portare all’autismo, di cui notoriamente la febbricola è la prima temibile avvisaglia.
E pensa al dottor Tissot che per molto meno minacciava solo la cecità, non l’autismo, ma non aveva a disposizione internet e nessuno l’ha mai preso sul serio.

(1 - Continua)