31 agosto 2013

Sigüeiro - Santiago de Compostela


Ultimo giorno d'agosto e ultima tappa, si tratta degli ultimi 16 chilometri.
Poco dopo la partenza, verso le 8, entro subito nel bosco; dalla nebbia dei colli galiziani assisto all'alba ed è uno dei momenti più suggestivi di questo mio percorso.
Per circa 10 chilometri proseguo fra saliscendi anche aspri, quasi sempre dentro una boscaglia che si alterna ai pascoli.
A sei chilometri dalla cattedrale arrivo in una zona industriale, la attraverso e all'improvviso scompare ogni segnalazione.
Mi aiuto un po' con l'intuito, un po' con il senso dell'orientamento e molto con il gps Garmin, che infine non si rivela un inutile gadget.
Gli ultimi chilometri sono lunghi, poi confluisco con il flusso dei pellegrini che giungono dagli altri Cammini.
E' un altro momento suggestivo, giovani in gruppo, ciclisti e vecchi camminano parlando a mezza voce. I più commoventi sono le coppie di anziani, mano nella mano, un po' ingobbiti dal peso e dall'età si avviano verso la meta.
Arrivo sulla piazza alle 12.30 spaccate, i chilometri sono stati 17.1.
Questa atmosfera l'ho già respirata dentro il santuario di Tinos, dentro la chiesa di Santa Sofia a Istanbul, ora moschea, e in un santuario induista fra i monti di Bali.
Ci sono i soliti negozi di paccottiglia, che rasentano il blasfemo esibendo persino taglia-unghie con l'immagine della cattedrale.
Mi metto diligentemente in coda per ritirare la "compostella" la pergamena in latino che attesta l'avvenuto pellegrinaggio. Arrivo al banco con una preside di Lucca; non so perché, ma bisogna dichiarare mestieri e professioni.
E' la prima persona italiana che incontro dopo essere atterrato a La Coruna.
Poi bisogna depositare lo zaino, se si vuole entrare nella cattedrale; alla fine la funzione è terminata e delusa l'anima non mi resta che obbedire al corpo. Ma rimango frugale, in fondo sono anche a dieta neh, e mi accontento di sanguinaccio con riso, patate e peperoni.
Nel tardo pomeriggio mi avvio alla stazione per il treno che mi riporterà a La Coruna; ho impiegato sei giorni per il viaggio di andata mentre per il ritorno basteranno 28 minuti di treno ad alta velocità.




Bruma - Sigüeiro



Marcel ed io
Impossibile dormire questa notte all'albergue di Bruma.
Ancora una volta mi è capitato un vicino di letto che russa. E' una situazione che sconvolge ogni principio di carità cristiana. Vorrei scendere a scuoterlo, fargli esplodere raudi sotto il letto, schiaffeggiarlo; cerco solidarietà nella camerata ma sembra che tutti riescano a dormire come angioletti.
Alla fine, rassegnato, mi rifugio in soggiorno aspettando che il sonno venga a prendermi, poi, improvviso, ecco il pensiero laterale.
Il mio cellulare è anche un ricevitore radio fm. Mi metto d'impegno, trovo una stazione che trasmette musica classica, infilo gli auricolari e risolvo (quasi) finalmente il problema.
Infine la quinta tappa, dovrebbe essere la penultima.
Ci alziamo tutti abbastanza presto. La prima a partire è la ragazza graziosa di Regensburg che ieri sera mi ha regalato il vino rosso di cui aveva improvvidamente ordinato mezzo litro.
Poi parte l'avanguardia dei Bretoni, poi io; gli altri Francesi partiranno più tardi.
Alle 7.30 sono già in cammino.
La tappa non è terribile, circa venticinque chilometri.
Il pezzo forte dovrebbe essere un rettilineo di cinque chilometri alla fine della giornata.
Inizio una serie di falsopiani e brevi salite; il problema è che c'è molto asfalto e i talloni non  lo amano.
Dopo due ore prima sosta per un caffè, consueto doppio, forte e un po' zuccherato, ed ecco che anche gli ultimi partiti mi superano.
Pulpo a la gallega
In realtà io cammino piano, ma praticamente non mi fermo se non per bere, poi alla sera arriviamo sostanzialmente insieme.
Dopo la sosta della quarta ora resisto stoicamente sino alla sesta sordo ai richiami dei talloni che supplicano qualche minuto di requie.
Ed ecco improvviso il rettilineo, verso le 14. L'avevo previsto più tardi, si vede che il ritmo di marcia è migliorato, ad onta della notte "brava".
Però è un rettilineo sterrato per almeno 4 dei 5 chilometri, quindi è percorribile, al costo di non guardare mai l'orizzonte davanti.
L'arrivo a Sigueiro è tranquillo. il tempo è splendido.
Mentre cerco l'albergue mi chiamano i Bretoni dai tavolini di un bar. Hanno trovato un piccolo albergo e mi propongono di dormire con loro. Dividerò la camera con Marcel, speriamo che non russi.
La serata fnisce al ristorante con un pulpo a la gallega che è ancora più buono di quello della scorsa sera a Mino.
Domani, sabato, arriverò a Santiago di Compostela.







30 agosto 2013

Betanzos - Bruma


Ieri sera era finita in gloria con un piatto rispettabile di baccalà con patate e due bicchieri di vino rosso Rioja, il primo per me e il secondo alla salute del Sciur Peppino che ha sempre il timore che io diventi astemio.
Poi addio alle scarpe: le vecchie e logore scarpe da trekking, quelle che avevano iniziato la loro carriera in Corsica, avevano esordito durante la prima tappa mettendo a repentaglio qualche dito del piede destro. Ancorché a malincuore hanno finito la loro carriera a Betanzos alleggerendo il mio bagaglio di ben 750 grammi.
E veniamo a oggi: per aspera ad sidera - questa è la madre di tutte le tappe; circa ventotto chilometri di saliscendi con una salita di almeno un'ora nella seconda parte.
Cambio di programma nutrizionale; colazione equilibrata ma sostanziosa e poi solamente acqua e isotonica gluco-salina fino a sera.
La scelta è vincente e riesco a camminare quasi nove ore con soste di pochi minuti ciascuna.
La prima metà del percorso mi scivola via senza che me ne accorga nonostante i saliscendi, prima delle 13.
Durante le prime ore di marcia si cammina poco lontano dall'autostrada dell'Atlantico e il rumore, ora un rombo, ora un fragore, mi tiene cattiva compagnia.
Per un'ora cammino con due coppie di Bretoni. Hanno più o meno la mia età e sono in pensione. Sono arrivati a Ferrol da Brest su una goletta d'epoca.
Dopo Santiago arriveranno fino all'Atlantico a Fisterra, da dove ripartiranno con la loro goletta per la Bretagna.
Io sono decisamente più lento nelle salite e li esorto a proseguire
Al pomeriggio la musica cambia. Ogni salita spero sia quella importante, invece ci sono ancora molti saliscendi.
Incontro un piccolo bar; ci penso e ripenso e poi entro per un caffè, doppio, caldo e un po' zuccherato.
C'è un ragazzo Down che mi guarda torvo. Lo saluto, vorrei dirgli che mi sono occupato di tanti come lui, ma niente.
Quando arriva il caffè me lo allungano pensando che mi allontani, invece mi siedo al banco alla sua sinistra e gli sorrido. Nulla; poi si alza e se ne va con un signore anziano, forse suo padre, che borbotta la sua disapprovazione per il peso del mio zaino.
Il caffè si rivela provvidenziale perché la salita inizia improvvisa.
Prima asfaltata, poi sterrata, sempre più ripida.
Il nemico non è più lo zaino, ormai sono uno sherpa, ma il sole implacabile delle 13.30. Salgo per un'ora e mezza. Mi riprendono due dei Bretoni che si erano fermati a mangiare.
Con l'allenamento non temo le salite, ma le discese sull'asfalto che martoriano le dita dei piedi.
Infatti il tratto più duro è il lunghissimo falsopiano, con altre salitine asfaltate, fino all'albergue.

[Bruma non esiste sulle mappe, mi ricorda Sheniko, la città fantasma nell'Oregon, sul 45° parallelo, nel '92, in un'altra vita.]

Bruma sono 4-5 case, per metà disabitate, di agricoltori che salutano in  una lingua aspra. Qui si unisce il cammino che viene da La Coruna.
L'albergue è presenziato da un ospitaliero molto gentile e simpatico, che mi assegna il posto superiore di un letto a castello.
Ritrovo i miei compagni di viaggio francesi; sono in 12 e ci sono anche persone più anziane di me.
E' tutto ben organizzato, posso scegliere fra 4/5 primi e secondi che una trattoria ci porterà alle 20.
Domani ci sono altri trenta chilometri, anche se in falsopiano, ma decido di rimanere leggero e opto per zuppa di pane e un piatto di prosciutto. Va a finire che i miei yogurt con muesli arriveranno fino a Santiago.
Aspetto la cena in riva a un ruscello che scorre poco lontano, con il sottofondo del chiacchiericcio dei Francesi.




28 agosto 2013

Mino - Betanzos


Betanzos - Chiesa di Santa Maria de Azogue
Oggi una pausa. Solo una decina di chilometri fino a Betanzos dove domani partirà la tappa più importante.
Non è stata comunque una passeggiata, con continui saliscendi, ma più o meno è andata come atteso.
Sulla guida appena acquistata c'era scritto che a Betanzos non ci sono albergue, quindi ho prenotato in un piccolo hotel.
Appena entrato in città ho scoperto che l'albergue naturalmente c'era.
Naturalmente dormirò più comodo, ma durante un pellegrinaggio l'albergue è più funzionale.
E' più semplice fare il bucato, ci sono spazi dove stendere la biancheria bagnata e c'è l'uso della cucina; poi si fanno incontri interessanti o si osserva questa umanità pellegrinante sorridente e pacifica.
Dopo aver fatto sommariamente un bucato che non asciugherà mi dedico alla visita di questa deliziosa cittadina con chiese sospese fra il tardo romanico e il primo gotico. 
E' una visita attraverso cui si potrebbero studiare agevolmente tre secoli di storia dell'arte.
Poi torno a cose più prosaiche.
Domani sembra che ci siano solo tre possibilità di ristoro in trenta chilometri; attento al peso ho deciso di partire con la borraccia piena, due bottigliette di Isostar, una pagnotta e quattro yogurt.
Questa sera la cena sarà frugale, ma di qualità.


27 agosto 2013

Neda, Pontedeume e Mino


Ieri sera sono arrivati due signori della mia età, non molto simpatici. La signora ha massaggiato a lungo piedi a gambe sue e del marito con un olio balsamico pestifero. Poi hanno scelto il letto vicino al mio e si sono messi a russare per buona parte della notte.
La vita dell'albergue ha i suoi inconvenienti..
Questa mattina levata mattutina e alle 7.20 mi sono messo in cammino. Dopo un'ora e mezza prima sosta a Fene per caffè e croissant.
Qui mi raggiungono e superano alcuni compagni di camerata. Indubitabilmente sono il più anziano sul Cammino.
Il piede destro dà qualche problemino quindi cambio di scarpe, sembra con beneficio.
Fa un po' sorridere parlare di piedi su questo blog, ma durante il Cammino ci sono anche questi problemi.
Oggi è un altro giorno.
Lo zaino non sembra più così pesante, il ritmo della marcia è migliorato e affronto le salite con una certa scioltezza.
Due/tre belle salite e dopo un'altra ora lascio l'Atlantico per iniziare a camminare fra i boschi.
L'odore di salmastro e putredine lascia il posto al balsamo degli eucalipti.
Poi inizia la discesa.
Cammino con vigore e per mezzogiorno e mezzo raggiungo Pontedeume, la prima delle mie tappe... che si trova in riva al mare.
Altro braccio di mare, altro fiordo, altro estuario, insomma questa cosa che si chiama "ria", e sono ancora in riva all'Atlantico.
C'è un simpatico mercato coperto e all'esterno i contadini vendono le loro verdure; ne approfitto.
Pranzo frugale, una variante moderna del pranzo del legionario romano: pane e pomodoro (al posto della cipolla), per rimpiazzare il potassio perso in cammino.
Riparto gagliardo e la musica cambia: due salite micidiali, una discesa a metà e altre due salite, una nel bosco e una sotto il sole!
Per fortuna, si fa per dire, nel pieno della salita nel bosco incontro quattro ragazzini sui dieci anni, tre femmine e un maschietto che ha rotto il freno della mountain bike. Glielo aggiusto, così tiro il fiato, e riparto fra ringraziamenti un po' in castigliano e un po' in gallego.
Per il programma che mi sono proposto mancano ancora una decina di chilometri, a fanno trenta in tutto.
Avevo previsto di arrivare verso le cinque e infatti arrivo verso le cinque e un quarto.
Salto il paese di Mino e mi dirigo all'albergue e scopro con sorpresa che è chiuso.  Chiamo il numero che c'è sulla porta e vengo insultato in castigliano da qualcuno della protection civil; nessun problema, lo insulto in lombardo e in inglese ma riattacca prima lui.
Gambe in spalla ritorno, meglio risalgo al paese di Mino. L'ufficio del turismo è ancora  aperto e una simpatica e prosperosa ragazzona mi suggerisce di scendere verso il mare.
Davanti a una spiaggia bianchissima trovo finalmente un hotel a due stelle. Ho percorso 30 km di saliscendi.
La camera è grande e, meravigliosa eccezione in Spagna, c'è anche il bidet! Ci metto a lesso i piedi finchè decidono di dare un segno di vita, dopo una ventina di minuti.
Poi non c'è più storia: tramonto sull'oceano e un "pulpo alla gallega" con due belle birre.
E' il polpo più buono della mia vita, bollito e servito con olio, sale grosso e peperoncino.
Su quest'apoteosi pagana si conclude il secondo giorno del mio pellegrinaggio.
Domani solo dieci chilometri e yoga. Giovedì mi aspetta la tappa più dura, da Betanzos a Bruma, senza punti di ristoro intermedi e tutta fra i monti della Galizia.
Anticipo una critica: mancano le fotografie, ma ho solo un tablet e problemi insormontabili di interfacciamento.
Le aggiungerò al ritorno, assieme al rimaneggiamento dei testi.

26 agosto 2013

La Coruña, Ferrol e Neda


La Coruna - Lungomare
La Coruña è una bella città con un lungomare suggestivo di palazzotti liberty in prima fila, mentre dietro troneggiano palazzi costruiti dopo gli anni '70.
Il mio albergo è giusto dietro il porto, in un vicolo che pullula di taverne e piccoli ristoranti che questa mattina sono rigorosamente chiusi.
Mi avvio a piedi, come si deve, sperando segretamente di trovare un bus. Niente da fare, ma tutto sommato la stazione delle corriere non è per nulla lontana, chissà che strada avrò percorso ieri sera.
C'è da aspettare mezz'ora per Ferrol e ne approfitto per una colazione, visto che ieri sera ho voluto saltare la cena. Chiedo un caffè e mi arriva un cappuccino; chiedo un sandwich e mi arriva un toast.
Ferrol - da dove parte il Camino Ingles
Devo ancora imparare qualcosa.
E poi Ferrol. Ci arrivo verso le 10 del mattino. La stazione delle corriere è vicina a quella ferroviaria, ma entrambe distano un bel pezzetto dal porto e quindi la mia camminata, un'oretta in più, inizia da qui.
Usando un po' il naso, un po' il senso dell'orientamento e un vigile urbano per gli ultimi duecento metri arrivo al porto.
La signorina dell'ufficio turistico è gentile e mi parla in un discreto italiano. Mi porta a vedere la pietra dove inizia il Camino Ingles e mi augura buona fortuna.
Naturalmente avevo dimenticato a casa la credenziale, ma me ne hanno data una spagnola fiammante per un euro e venti centesimi.
Un po' emozionato e vergognoso, mi sembra che tutti mi osservino, mi incammino. Sono le 11.39, non farò molta strada.
La partenza del Camino Inlges
E' veramente poco frequentato e camminerò solo fino a Neda.
Costeggio l'Atlantico per oltre un'ora, passando davanti all'arsenale, al centro sportivo della marina, alle caserme dei marines spagnoli e al museo navale.
Poi iniziano cantieri navali e finalmente esco da Ferrol.
Lo zaino, con la borraccia piena d'acqua, pesa sui dieci chili. Sembravano pochi invece mi strappano le spalle.
Sarà la linea non perfetta che mi impedisce di tirare le cinghie e aiutarmi con il cingolo pelvico, fatto sta che se spalline mi strappano a terra e mi costringono a camminare gobbo.
Bassa marea verso Neda
Ho deciso che ogni ora mi fermerò a bere. Ho preferito le vecchie scarpe da trekking, quelle che hanno fatto il Sentiero dei Doganieri in Corsica, e forse non è stata una scelta sbagliata.
C'è bassa marea e dal mare sale un misto di salmastro, alghe e putredine. La barche dei pescatori sono in secca nella melma nerastra.
Ogni salita è un'ascensione oggi, speriamo di migliorare domani. Decido di proseguire senza mangiare e finalmente al pomeriggio riesco a tirare le cinghie e dare un po' di sollievo alla spalle.
Solo due signori anziani mi augurano "buen camino, peregrino", poi penso che forse sono più giovani di me.
E' strano e buffo, ma mentre cammino mi sento ancora giovane, anche se le articolazioni ogni tanto mi sussurrano la mia età anagrafica.
Il tempo, come atteso, è variabile e mi regala una spruzzata di pioggia, poi rimane sostanzialmente clemente.
Il ponte di Neda
Dopo 4 ore e mezza circa, fra una sosta e l'altra arrivo a Neda.
Il paese è di case multicolori che anche oggi mi sembrano vagamente scandinave o baltiche.
L'"Albergue" è su un bel prato, sulle due  rive di questo incrocio fra un fiordo e un estuario, tutti in miniatura.
L'albergue è pittoresco, 24 posti in un'unica camerata di letti a castello, per la modica cifra di 6 euro con coprimaterasso, federa e uso di cucina.
l'albergue di Neda
Tutto sommato è divertente, sono il quinto ad arrivare, e posso scegliermi un letto d'angolo.
Rapido bucato e mi butto sul letto. Mi rotolo nel dormiveglia fino alle 18.30.
Al risveglio i capi "tecnici" sono già asciutti; bisogna dire che il prezzo non è ingiustificato.
Ora sono quasi le 20, fame e sete stanno diventando una cosa seria. Ho visto una trattoria economica non lontana dall'albergue e ho scoperto che ha il wi-fi, così potrò mettere on line queste note di viaggio.









Gravedona - La Coruña - 25 agosto 2013


Fiumi serpiginosi si alternano a colline brulle.
Partenza con  mezzi pubblici, come si conviene a un pellegrinaggio, quindi sveglia all'alba e corsa verso la stazione di Colico. Laura e Dolly mi accompagnano silenziose.
Il treno arriva subito e corre sicuro verso Milano. 
È domenica, poca gente, qualche famigliola scende a Lecco per prendere il treno domenicale per Venezia che passa davanti a Gardaland.
La stazione di Milano Centrale è semideserta alle 8 del mattino. 
Mi avvio verso l'avveniristico Malpensa Express che si rivelerà un omnibus dell' hinterland, ancorché  confortevole e costoso.
Poi Malpensa. 
L'aeroporto è movimentato da un bel numero di vacanzieri festanti, molti di rientro, e mi sembra strano passare i varchi con i pantaloni da trekking, lo zaino rosso, niente bagaglio a mano, niente ecografo.
Tutto il mio bagaglio, tutto quello che dovrà bastarmi per una settimana, pesa nove chili e mezzo.
Miracolosamente sono in anticipo e aspetto paziente l'imbarco. 
Di fronte a me una coppia di mezza età, italiana.
l'Airbus plana sopra Ferrol
Lui è anonimo, suda copiosamente; lei è una bella signora, curata e prosperosa. 
Legge  con attenzione "Visto", poi l'abbandona e spiega "Novella 2000", ma c'è un altro tabloid piegato, sotto, in agguato con la sua protervia di nostrani pettegolezzi.
Decollo puntuale, un po' di Provenza e dopo il mare sorvoliamo la Spagna. Zone industriali lasciano il posto a campi coltivati, poi una pianura riarsa e rossastra, campi forse coltivati a grano, si stende mentre ci avviciniamo a Madrid e fiumi serpiginosi si alternano a colline brulle.
L'aeroporto di Mardid Barajas è sterminato, ma la mia coincidenza non è lontana.
Pasto gustoso e frugale, prosciutto crudo spagnolo e squisito, un pezzo di frittata e un bicchiere di rosso alla salute di chi si lamenta che sia diventato astemio.
Sul volo per La Coruña mi trovo di fianco la coppia dei "Novella 2000"; il tabloid che prima era piegato si rivela "Oggi".
Mi assopisco e  mi risveglio giusto per guardare dal finestrino i boschi e i pascoli della Galizia, una scandinavia in minore, mentre l'Airbus plana sopra Ferrol e  sopra l'Atlantico.





25 agosto 2013

Lourdes nella notte del 900


1961 - La Fiat 1100 era nuova fiammante, non so come chiamassero i due colori, mi sembra creme e testa di moro, e noi si viaggiava nella pianura francese, dopo aver varcato forse il Monginevro.
Ero con i miei genitori e la mitica zia Angelina, che però era molto alta.
Da tempo la zia aveva espresso il rammarico di non poter vedere Lourdes e mio padre, laico come me, ma come me appassionato di viaggi, aveva deciso di esaudire il suo desiderio.
Le autostrade erano rare, due o tre in tutta Italia e nessuna conosciuta in Francia.  Così il viaggio sarebbe durato molti giorni.
I genitori pregustavano le città d'arte che avrebbero incontrato, Sète, Albi, Toulose, Carcassonne.
Io vivevo lunghe ore afose sulla panca posteriore, con la zia che respirava fazzolettini imbevuti di Chanel n.5 per contrastare il mal d'auto.
Ricordo all'andata Lione, St. Etienne nera del carbone delle sue miniere, Puy en Velay e la salita al Mont Ventoux con la targa che ricordava la salita del Petrarca e l'aura di Bartali e Coppi che questa salita l'avevano corsa durante innumerevoli Tour de France.
Poi caldissime città del Midi de France. 
Nelle trattorie incontri casuali con operai e minatori italiani emigrati che ci guardavano stupiti, compiaciuti e un po' riverenti.
Le strade erano diritte e proseguivano fino all'orizzonte, salendo e discendendo dossi e colline su cui la 1100 arrancava per poi riprendere fiato nell'abbrivio. 

[L'immagine sarebbe tornata trent'anni dopo correndo da Oakland verso il Lake Tahoe, prima di salire la Sierra Nevada, con il sole  implacabile del deserto californiano a combattere con il condizionatore sfiancato di un'asmatica Ford Sierra.]

Poi Lourdes, ai piedi dei Pirenei.
Interminabili teorie già di negozi di souvenirs, santini e paccottiglia. Per ogni dove comitive multicolori e lunghe teorie di carrozzelle per invalidi con una capottina di tela grigiastra per riparare dal sole e dalla pioggia questi infelici.
Erano i tempi della poliomielite, della talidomide, della guerra d'Algeria e tutte queste tristezze si embricavano nei discorsi dei miei genitori, nei titoli dei giornali e si dispiegavano davanti ai miei occhi prepuberi. 

[Il treno corre nella Brianza verso Milano Centrale, è partito dalla Valtellina e mi ha raccolto a Colico, in cima al lago. Sfilano dal finestrino paesaggi che hanno visto corrieri, pendolari, studenti, su treni che puzzavano di sigarette e umanità dolente.]

Poi alla grotta, con la zia che riempiva un fiasco impagliato di acqua benedetta, infermi calati nell'acqua gelida senza un grido, sole estivo temperato dal clima dei Pirenei oltre ai quali c'era la lugubre Spagna di Franco.
E il ritorno verso la costa, con la speranza di fermarci sul mare, sempre delusa da mio padre che lo odiava e ci portava a dormire nell'entroterra della Provenza.
Forse qualche sprazzo di autostrada la incontrammo in Liguria, con il nome retorico e trionfante di 'Autostrada dei Fiori'. Non so se il ricordo si confonde con altri viaggi su viadotti con l'azzurro abbacinante a destra e le distese delle serre a sinistra, con Ospedaletti che si stagliava in alto e nomi che evocavano delitti famosi come Arma di Taggia.
Io rimanevo annoiato a morte sul divano posteriore con la zia al fianco che non aveva mai smesso un giorno di annusare il suoi fazzoletti profumati. 

24 agosto 2013

Vigilia

Ora Van Loon si sta preparando
piano al suo ultimo viaggio:
i bagagli già pronti da tempo
come ogni uomo prudente,
o meglio, il bagaglio, quello consueto
di un semplice o un saggio,
cioè poco o niente,
(Francesco Guccini, Van Loon)



Adesso è ufficiale. A meno di colpi di sfortuna dell’ultimo minuto domani, domenica 25 agosto partirò per una viaggio complesso.
Cercherò di arrivare a Santiago di Compostela attraverso il percorso inglese, partendo dalle rive dell’Atlantico.
E’ uno dei percorsi più antichi, praticato da pellegrini che venivano dal nord, dall’Islanda, dalla Scandinavia, dall’Irlanda e, ovviamente, da Canterbury.
In realtà l’ho scelto perchè è sostanzialmente breve e dovrei riuscire a terminarlo in una settimana o poco più.
La lunga inattività, l’allenamento sommario e l’età mi costringono a usare per ora il condizionale.
Poi le domande; io, laico da sempre, perchè ho deciso di intraprendere un cammino che viene percorso alla ricerca della fede?
Non ho la presunzione di affermare di credere nell’uomo e non in Dio, come qualche mio collega più famoso.
Per intanto il mio cammino ha lo scopo di confrontarmi con me stesso.
Spero di avere il tempo, valicando i monti della Galizia, per ripercorrere l’altro cammino, quello professionale, che volge al termine e che ha segnato tutta la mia vita.
Le domande sono tante. Lungo il mio cammino precedente ho perso qualcosa? Il senso etico, quello della famiglia, l’altruismo che dovrebbe essere alla base della professione del medico?
Mi sembra già un buon numero di domande, senza bisogno di aggiungerne altre.
Viaggerò e camminerò da solo.
Sto scoprendo, ma è una conferma, che ogni viaggio importante si fa in solitudine.
L’unica differenza è fra la solitudine interiore e quella esteriore. La scoprirò.

14 agosto 2013

Syros - Paros




Nave da crociera Orient Queen in rada a Syros
Syros è stata generosa; è ora di salpare per Paros.
Il traghetto non è più la lussosa Blue Star Delos, ma la modesta Aqua Spirit della Nel Lines.
A Rodi si è navigato su traghetti rugginosi e con la tappezzeria a brandelli quindi non ci si formalizza.
Appena messo piede sulla rampa siamo invitati a lasciare i bagagli in un gabbione nel garage.
Salpiamo e il Melthemi ci saluta sollevando onde gagliarde; rotta su Tinos e il traghetto sfila poco a sud del capoluogo, con il suo santuario lassù in alto, poi la rotta volge decisamente a sud,verso la mondana Mikonos.  
Passiamo sotto il faro di Armenistis che fa la gardia alla ventosa e rocciosa costiera settentrionale
In rada ci sono le solite navi da crociera.
Ci sono navi da crociera lussuose, come la “Celebrity Reflection” da cui sbarca un’umanità annoiata che si trascina con degnazione per i vicoli con i negozi di paccottiglia o sosta, sempre annoiata, a sorseggiare mohjitos alle taverne del lungomare.
Nave da crociera Celebrity Reflection in rada a Mikonos
Ci sono navi da crociera dimesse, come la “Orient Queen”, versione talassoterapica delle scampagnate dell’oratorio, che sbarcano un’umanità geriatrica e sciancata che si trascina meravigliata per i vicoli con i negozi di paccottiglia o sosta, sempre parsimoniosa, a sorseggiare beveroni di caffè freddo alle taverne del lungomare.
L’attracco a Mykonos è rapido e lo scalo breve; scendono torme di giovani chiassosi con zaini, capelli di paglia, sacchi-a-pelo arrotolati e grandi aspettative, poi si salpa di nuovo e un paio d’ore dopo arriviamo in vista di Paroikia, il capoluogo del’isola di Paros.
Dicono che l’isola sia frequentata soprattutto da Francesi, e i loro più famosi attori televisivi vi ci si sono acquistati ville da sogno.   
Non so se sia per i Francesi, ma qui l’organizzazione è tutta un’altra cosa.
Appena sbarcati ci contattano gentili signore che ci offorno “chiavi in mano” il noleggiodi auto, bici e moto.
Trovo un “quad” fiammante di fabbrica, con un gagliardo quattro tempi da 150 cc, retromarcia dolce e portapacchi virile.
Nella fretta di concludere il contratto non ritiriamo i caschi, pazienza, sarà per la prossima volta.
Se i Vigili di Paros sono come quelli di Gravedona ed Uniti non rischiamo nulla se non la vita.

02 agosto 2013

Syros


Il faro di Kea

Ci si può arrivare dall'aria, dopo aver preso terra a sud di Hermoupolis, il capoluogo, sbarcando dal biturobelica dell'Olympic, oppure dal mare.
Noi si è salpati all'alba dal Pireo su un traghetto ceruleo dall'omerico e pelagico nome di Delos.
Presto il Melthemi, il vento del nord ha suggerito ai passeggeri di riparare nei saloni condizionati, davanti al bancone del bar dove camerieri trafelati distribuiscono senza sosta acqua gelida e beveroni di caffè o cappuccino ghiacciati.

[A differenza di altre plaghe turistiche l'acqua costa cinquanta centesimi dovunque, nei distributori, sulla nave e nei bar sul lungo mare. E pensare che sulle rive del Lario si può arrivare a due euro per la bottiglietta, al litro insomma più del doppio di un generoso Barbera nell'Oltrepò Pavese.]

E così quasi tutti si sono persi il faro dell'isola di Kea, doppiato da poche decine di metri fendendo un Egeo blu notte.
E dopo Kea appare Syros alla prua, che spunta dalla foschia.
L'arrivo è suggestivo. Prima si costeggiano piccole insenature rocciose e deserte a cui scendono dalle colline sino al mare muretti a secco a separare prati magri e sassosi, poi compare Hermoupolis, il capoluogo dai due colli.
In cima a ciascuno stanno le due chiese, quella cattolica e quella ortodossa.
Un cantiere navale sproporzionato inganna sulla reali dimensioni dell'isola e ricorda anni di splendore marinaro che non torneranno.
Hermoupolis e i due colli
Gli alberghi più importanti stanno sul porto e dalla finestre si assiste allo sbarco dai traghetti che attraccano e salpano per Naxos, Myconos e Tinos, l'isola del grande santuario ortodosso dietro al quale sorge il sole estivo.
Non ci sono Italiani sul lungomare, qualcuno guarda incuriosito dai ponti dei traghetti che fanno tappa prima di ripartire per Mykonos.
I vicoli dietro al porto, come negli altri capoluoghi cicladici, imbiancati di un bianco accecante, ospitano trattorie, ristoranti più pretenziosi e negozi di paccottiglia multicolore, ma tutto è meno caotico rispetto a Mykonos e Thira.
Il ristorante Arkontariki, trovato su Trip-Advisor non tradisce.

[La guida Routard mi serve giusto di riferimento. Racconta di un porto che sarebbe il più trafficato delle Cicladi, mentre i traghetti che vanno e vengono sono solo tre o quattro al giorno. Forse hanno fatto confusione con Paros; nel dubbio decido di nn fidarmi dei loro suggerimenti gastronomici e non  me ne pento.]

Il noleggio di un "quad" si rivela  indaginoso e alla fine rimedio solo un rugginoso trabiccolo di cilindrata ridicola, che costa una miseria e con cui comunque riesco ad arrancare quasi dappertutto.
Per i ristoranti e sul lungomare incontro suonatori di strada e mendicanti. Non ci vuole molto a capire che sono solo tre o quattro e che ritornano ciclicamente, a pranzo e a cena, girando tutte le taverne del circondario.
Una famigliola, padre, figlio e zio, suona veramente bene però appena gli si allunga qualche moneta se ne va.
Il nord dell'isola, desertico
La sera successiva li lascio suonare a lungo, poi cedo, gli metto in mano un euro e immediatamente se ne vanno verso il ristorante vicino, però abbiamo ascoltato della bella musica popolare.
A sud dell'isola, riparate dal Melthemi, stanno le spiagge più frequentate, che evitiamo accuratamente. Il nord, battuto dal vento, è abitato solo da pastori e agricoltori che si dedicano a magri vigneti.

[L'unica taverna dell'entroterra, naturalmente segnalata dalla guida Routard, è desolatamente chiusa.]

In compenso troviamo una spiaggia poco frequentata sulla costa occidentale, Delfini, sovrastata da una taverna ventilata e deliziosa nella sua spartanità.
Dopo tre giorni si parte, la prossima tappa è Paros.