29 novembre 2012

Vita d'ospedale - 3



Ho lavorato in molti ospedali. Ho iniziato a Verona e ho finito a Gravedona, ma fra queste due tappe ci sono state Topolinia, Paperopoli, Avarinia e Spreconia.
Uno dei più divertenti è stata Topolinia, ci ho resistito poco.
La città era piccolina, anche se la qualità della vita era molto buona e le serate sempre divertenti.
Eravamo una grande famiglia; ci si dava facilmente del “tu”.
I primari erano per lo più simpatici, salvo qualche lodevole eccezione, e avevano potere di vita e qualche volta di morte.
La direzione amministrativa era affidata a un imbecille che militava nel giusto partito, allora scudocrociato.
La direzione sanitaria toccava invece a un primario di ostetricia, ovviamente dello stesso partito.
Tutto era immutabile dal tempo dei tempi,  la farmacia, la portineria, il pronto soccorso, il parcheggio e la camera mortuaria.
Era più facile far passare un topolino dalla cruna di un ago che apportare una variazione al prontuario terapeutico e in farmacia si preparavano ancora galenici.
La parola d’ordine era “occupare i letti” e quando la morbilità si riduceva, almeno in pediatria, i ricoveri si allungavano.
Per una broncopolmonite si poteva languire in una linda cameretta per 25 giorni, o almeno così ci informano le statistiche del tempo.
In altri reparti i letti venivano occupati anche in modo più ludico, ma statisticamente meno quantificabile.
Il problema di ridurre i costi era relegato alla solita invocazione: comincino al sud (dell’Italia ovviamente)!
C’era già una divisione di Ostetricia a 25 chilometri? Ma noi siamo più bravi e poi la strada è brutta, ci sono i camion della Sangemini.
C’era già una divisione di Pediatria a 25 chilometri? Ma noi siamo più simpatici e un bambino deve  stare vicino ai nonni, alle zia e alle figlie della sorella, ch’era gobba pure quella.
C’era già una divisione di Ortopedia  a 30 chilometri? Ma noi siamo più belli e quelli sanno trattare solo il ginocchio.
E così in questa provincia, grande come un quartiere di Milano, ci stavano quattro/cinque ospedali  con tanti dottori e altrttanti amministrativi.
Qualche anno più tardi fu giocoforza unire le amministrazioni ospedaliere e ci si trovò con un numero esorbitante di medici e di amministrativi.
I medici, soprattutto i molti precari, finirono sistemati tutti: qualcuno perse il lavoro, qualcun’altro lo perdette. L’Accademia della Crusca permetteva e permette tutt’ora entrambe le azioni.
Per gli amministrativi, fra i quali c’erano ben pochi avventizi, non c’era soluzione. Il lago, dove buttarli impietosamente, era lontano e il fiume, ridotto a un rigagnolo puzzolente dallo sfruttamento idroelettrico, non era praticabile.
Si pensò allora di dividere il carrozzone in un’Azienza Sanitalia Locale e un’Azienda Ospedaliera Provinciale.
Così gli amministrativi, circa il doppio dei medici, trovarono giusta collocazione.
Ora Mario Crudelio Monti dice che non ci sono i soldi per garantire un’adeguata assitenza pubblica:  indubitabilemente si tratta di persona ignorante e priva di fantasia. 

27 novembre 2012

Vita d'ospedale - 2

Nei telefilm americani con ci si annoia mai. Nell'ospedale qualcuno muore, ma non si vede.
Quasi nessuno soffre e langue sul letto per malattie croniche, debilitanti o terminali.
Quasi tutti hanno malattie acute e violente, da cui comunque in genere escono abbastanza bene.
Tutte le camere sono luminose e profumate. I cattivi odori li lasciamo alle corsie degli ospedali italiani.
La ambulanze sono grandi, confortevoli, piene di luci lampeggianti come un abete natalizio a Berlino; hanno la sirena a fischio e la suonano anche per andare a bere quel loro caffè annacquato.
Però hanno cattivi gommisti perchè le gomme stridono ad ogni curva anche se rispettano i limiti di velocità.
I medici sono quasi tutti giovani e belli, c'è qualche primario anziano, presbite e con l'aspetto del buon nonno-che-non-capisce-un-cazzo e questa volta tutto il mondo è paese.
Tutti i medici sanno fare interventi chirurgici lunghissimi che reggono encomiabilmente bevendo solo a canna un po' d'acqua gelida, senza mangiare e senza mai fare la pipì.
Ma il valore aggiunto di questi ospedali americani sono le infermiere!
Belle, sempre truccate, non sudano, non mestruano, però ogni tanto aspettano un bebè il cui padre è un giovane medico di Marin County, mentre qua ci va bene se viene da Olgiate Molgora e la sua mamma era di Gonnosfanadiga ma ha sempre votato lega.

26 novembre 2012

Vita d’ospedale – 1



Il medico è giovane, abbronzato, palestrato, pettinato, profumato, pulito, il camice immacolato, il fonendo Littmann negligentemente al collo, tre penne e una matita (temperata) nel taschino.
L’infermiera ha lunghi capelli neri, ma ce n’è in turno anche una uguale con i capelli biondi, bella, truccata, profumata, depilata (forse anche rasata), mai sudata.
Spinge un lettino su cui esanime giace un signore anziano, intubato, con due fleboclisi, un catetere vescicale che non si vede; dal torace spunta un drenaggio collegato a un Bulau.
E’ gravissimo.
Sopra il lenzuolino sta una lastra.
Il dottore corre in senso contrario e incrocia gli occhi dell’infermiera, si salutano, lei sorride, lui no, è accigliato, prende la lastra, la guarda controluce e sentenzia: c’è una lesione del tricipite celiaco nella tasca di Morrison, presto! In sala operatoria!
Credevate fosse un radiologo? invece no!
Entra in sala operatoria, non si lava, non ne ha bisogno, infila i guanti, quelli sì sterili, poi la mascherina, no, quella la infila prima e il cappellino se l’era già calcato sulle orecchie.
Tutti l’aspettano, l’anestesista sorride (ma dove siamo?) e solleva il pollice.
Il dottore afferra il bisturi. Niente klemmer, niente kocker, niente pean, niente di niente, solo il bisturi!
Dopo sei ore l’intervento è terminato.
Il dottore è affaticato, ma non è sudato, toglie il lungo grembiule e infila il camice immacolato.
I medico più giovane, invariabilmente con i capelli rossi, le lentiggini e l’aria del giovane calciatore brianzolo, finisce gli ultimi punti di sutura.
Il paziente dopo molte ore di intervento non passa dalla rianimazione, viene portato in una linda cameretta, profumata e con l’aria condizionata; dopo pochi minuti apre gli occhi e sorride.
Il dottore, il primo, quello bello, entra in camera si congratula, gli dà una pacca sulla pancia, che ovviamente non duole più, e si allontana.
L’infermiera, quella dei lunghi capelli neri, lo aspetta. Insieme escono e salgono su un’automobile scoperta, già decapottata e con le chiavi nel cruscotto, il cambio automatico a lasciare maggior libertà alla mano destra, notoriamente esperta; lei lo accarezza (ma cosa?) con la sinistra.
Entrambi sono puliti, profumati, già rasati, palestrati, mai sudati, l’alito delicato anche dopo ore di sala operatoria. Eh, bella la vita del dottore!
Poi si dileguano e il finale è tutto da immaginare: ristorante? casa di lei? casa di lui?

14 novembre 2012

Cos'è? Un ecografo, Sciura...

Arriva a Malpensa scendendo dallo shuttle di un parking di Cardano al Campo che frequenta da otto anni.
Un po' gobbo, spelacchiato, stempiato e canuto, sulla sessantina, con le orecchie a sventola, trascina più o meno stancamente due trolley, uno nero che sembra pesantissimo e uno grigio, sciupato e rigato come se avesse trasvolato le Americhe otto volte.
Anche se piove non porta ombrello, ma sempre e solo qualche giubbotto sommariamente impermeabile, l'ultimo è rosso e viene da un outlet di Fidenza. Le scarpe sono invariabilmente vecchie comode Timberland scamosciate.
Guarda compunto il tabellone degli orari poi si avvia ai varchi con il passo strascicato di chi ha già fatto il web-check-in e sa che dovrà sottoporsi alle forche caudine dei varchi.
Qualche volta si attarda al bar per un caffè e le chewing-gum alla menta di chi teme sempre di ammorbare il vicino di posto con l'alito mattutino di chi ha lasciato il letto alle quattro del mattino.
Ai varchi è veloce: rapido estrae dal trolley pesantissimo e nero una attrezzo elettronico che attira gli sguardi curiosi degli addetti, ma dopo la spiegazione laconica abbozzano comprensivi.
La vaschetta si riempie di un ipad, di un telefono, di una fotocamera finta compatta, degli occhiali da presbite e di un portafoglio pesantisimo che trabocca di tessere magnetiche e biglietti di tram di mezz'Italia.
Si ricompone con calma, infila la cintura e si avvia con passo tranquillo all'imbarco, dove evita la coda, tanto ha scelto il suo posto da casa imprecando, window seat nelle prime otto file, salvo contrattempi informatici.
Le sonde dell'ecografo viaggiano in stiva.

12 novembre 2012

Ryanair!

e infine l'Argentario...
Stavolta mi tocca Roma. I tempi ristretti, improvvisati, intuiti, intempestivi, inaccettabili e inattesi di Raffaele mi costringono a un volo improvvisato a moderare una sessione di Congresso inattesa, insensata, intempestiva, immeritata e imprescindibile come l'ineluttabilità dei crediti inesigibili.
Per una volta l'ecografo non mi fa compagnia e quindi prenoto con Ryanair, che oltretutto arriva a Ciampino, molto meno blasè ma infinitamente più comodo di Fiumicino.
Volare con Ryanair è anche divertente.
L'incipit non è entusiasmante con la corsa ad accaparrarsi i posti nel più puro stile assalto al treno o più prosaicamente alla metropolitana rossa alla fermata Duomo a Milano.
L'hostess a terra giudica con occhio esperto la regolarità dell'unico bagaglio e in caso di dubbio costringe alla misura borse flosce e zaini sospetti.
L'aeroporto dell'Urbe
E' un po' come stare davanti a Minosse, ma mi evito lo spettacolo della signora supertruccata, sguardo vitreo nel vuoto, che incede sulla scaletta con nonchalance e mentre trascina il trolley tiene a tracolla una capace borsa e in mano un iphone, un ipad, un galaxy next e l'ultimo libro di Stephen King mentre messaggia furiosa e distante del popolo.
Io ho le me manie, come quella del posto-finestrino, ma siccome odio l'assalto al treno cerco di individuare la classica persona-che-ha-paura-di-volare e che occupa solo poltrone rigorosamente di corridoio. Poi la seguo.
Quasi sempre mi va bene e così anche questa volta.
Il volo è perfetto, in perfetto orario e sembra che siamo decollati da Zurigo e non da Orio al Serio.
Sono controluce e sul mare color champagne rosè si succedono Capraia, Gorgona, Elba, Pianosa, Montecristo, Il Giglio e infine l'Argentario ci annuncia la discesa sull'urbe.
Che bello essere stati figli di un maestra che ti ha insegnato la geografia fin dalle elementari.
Ryanair non intrattiene i suoi passeggeri e nega persino il bicchier d'acqua di Alitalia, e questo si sa, ma anche AirOne fa la stessa cosa e il volo costa il doppio.
Ma qui è tutto più allegro.
I panini offerti a pagamento sono annunciati come appetitose occasioni di merenda, i gratta e vinci come imperdibili occasioni per non lasciar sfuggire la fortuna dalle nostre mani, i biglietti del bus per raggiungere il centro città costano veramente poco anche se a Madrid si può raggiungere il centro con un comune biglietto del metro.
E finalmente, finiti gli annunci e le offerte strepitose, planiamo sui Castelli e il profumo di campagna ci accoglie in quello che era un tempo l'Aeroporto dell'Urbe.