27 luglio 2010

La Barrocciaia a Livorno

Dal porto al mercato, due luoghi dove guardare la vita che fluisce a Livorno.
Dopo che il pilota è salito all’imbocco del porto la nave rallenta e manovra maestosa fra le banchine e i moli. Non ci sono navi da crociera ma solo gru e mucchi di pietrisco e sale sui moli. Carri merce neri di grasso sotto e grigi di polvere e salsedine sopra dormono sulla banchina.
Bob Dylan rauco canta nelle cuffie in un’incisione rara con Paul Simon rubata su Emule.
Scendo indolenzito e accaldato dal traghetto che mi riporta dalla Corsica.
Prima di affrontare l’autostrada è tradizione tentare la piazza del mercato.
Il mercato è lo specchio di una città, di un paese, di una comunità; il suo termometro. Trascinandomi nell’afa fra una bancarella e un’altra dove risuonano sempre più rare le grida in toscano raggiungo “La barrocciaia”.
Cosa sia è difficile dire: un po’ trattoria, un po’ osteria, un po’ ritrovo, un po’ antro. Qui si mangiano i panini più buoni d’Italia ma non chiamiamola paninoteca, per carità e per rispetto.
Forse qui si può gavazzare e bere sino a tarda notte e se Francesco Guccini fosse stato toscano lo si sarebbe potuto trovare qui.
Dove trovare un posto dove mangiare un panino di 35 centimetri con roast beef, verdure crude, salsa verde e un bicchiere di Chianti vero a 7 euro?
Ma il valore aggiunto è sedersi fuori, su due o tre tavolacci unti guarniti di sedie impagliate rigorosamente targate Ikea. I tavoli de “La barocciaia” sono rispettati dai marocchini che tentano un approccio solo con me, tradito dalla vecchia reflex Nikon, simbolo e vanto di viandante curioso e intemperante, e infatti negligentemente appoggiata sulla sedia accanto.
Insomma se volete mangiare pesce a Livorno ci sono dei gran bei posti, più o meno rispettabili, ma se ci piace prendere il polso alla città, al mondo, all’Italia che ci circonda, a quella che scompare guardando nello stesso tempo negli occhi all’Italia che sarà, non c’è osservatorio migliore di questo angolo di mercato e di mondo.

I voti: qualità 10, servizio 9, vini 9; la media è 9+, scusate se è poco.

21 luglio 2010

Elogio della gratitudine

Come ieri sera sono un po’ depresso e rischio di scrivere ancora più sciocchezze e banalità di sempre.
La mia depressione: forse non è il caso di scomodare una parola così grossa, forse è solo delusione frammista a malumore, per capire tutto questo dovrei raccontare le mie disavventure degli ultimi dieci anni, ma mi ci vorrebbe ancora un po’ di coraggio e di sincerità.
Poi alla fine non ci sono soluzioni e quindi rimandiamo a tempi migliori.
Motivi di depressione vera ce ne sarebbero.
Nonostante quello che si pensa non capita spesso ad un medico di salvare veramente una vita.
A me è successo di recente e in segno di gratitudine mi sono preso una denuncia per negligenza.
Forse è giunto il momento di gettare il camice alle ortiche e partire per la Corsica.

14 luglio 2010

Pediatria, dalle 8.30 alle 15.30

Vorrei dire un giorno qualunque invece era ieri.
Verso le 8.30 arriva un bimbo di otto anni, preveniente dal Pronto Soccorso, che avrebbe avuto un’otite esterna circa dieci giorni prima e ora la mamma vorrebbe una visita di controllo.
Non mi sembra ci sia molto pronto soccorso né qualche urgenza, ma non sottilizziamo, dice la giovane Maddalena, astro nascente della nostra Pediatria, e comincia a visitarlo.
Ma no, dice la mamma, io voglio una visita ORL! Oddìo l’ORL è una specialità chirurgica e questa mattina, guarda caso, i medici sono in sala operatoria e allora come facciamo?
Un’infermiera del PS suggerisce di tornare dopo le 16, ma come si fa? chiede la mamma - io voglio una visita di controllo prima, poco importa che a Milano ci vogliono tre mesi e a Como un mese e a Sondrio un mese e a Lecco due mesi, io la voglio oggi! E anche gratis e attraverso il Pronto Soccorso, che noi paghiamo le tasse.
Maddalena è piena di entusiasmo e umilmente si offre di vedere se la visita si potrà fare prima delle 16 e prende i numeri di telefono.
Purtroppo i medici ORL non hanno tempo, insomma è luglio, la sala operatoria è piena, vedremo dopo le sedici e comunque fino alle 17 noi ci siamo.
Ma la mamma non demorde e inizia a chiamare Maddalena a ripetizione; Maddy alle 15 non ce la fa più e mi coinvolge.
In effetti io ho da fare un po’ di ecografie, ci sono almeno due pazienti veramente gravi, devo telefonare al chirurgo pediatrico, devo firmare una pila di cartelle per la Direzione Sanitaria, inveire per l’aria condizionata che non c’è e dove c’è non funziona, e poi è caldo, e poi il telefono squilla in continuazione e domani ci sarà la visita per l’accreditamento di qualità, e due medici partiranno per le ferie la settimana ventura e una pediatra è in gravidanza e io non posso fare ferie, e la mia bicicletta è rimasta a Morbegno, e fa caldo, fa caldo e poi fa caldo.
Vabbè, mettiamoci una pezza: provo a chiamare io la mamma e spiegare che non può pretendere una visita di controllo in giornata e soprattutto una visita ORL, che noi siamo la Pediatria.
Mal me ne incoglie.
La mamma si adira e inizia ad inveire e poi è ridicolo che non si possa avere una visita ORL in giornata e come posso io non rassicurarla che la visita l’avrà per davvero alle 16 e lei come può fare?
In tutta sincerità mi verrebbe da mandarla a dar via il culo, ma non è possibile, io sono solo un pediatra, non sono né uno psicologo né un consulente famigliare, ma sopratutto non sono un medico ORL.
Faccio già molto fatica a mandare avanti il mio reparto, figuriamoci se penso anche lontanamente a rompere le palle ai colleghi ORL.
Mi faccio forza, rispondo gentilmente e pazientemente alla signora, passatemi la minuscola, e le propongo di parlare con i colleghi dell’ORL per perorare la sua causa di una visita di controllo in giornata per un bambino sano che dieci giorni prima ha avuto un’otite esterna ed è pure guarito e ora sta anche bene.
Sotto sotto spero che accetti, anche perché sono sicuro di come risponderanno in ORL, invece no! Dopo l’ennesimo fiero rifiuto la signora finalmente mette giù il telefono indignata.
Cerco di non incazzarmi, senza molto successo, ma poi penso che questa signora forse ha ancora un marito se non è scappato e che quindi c’è sempre qualcuno che sta peggio di me!

06 luglio 2010

Cap Corse

Esistono dei posti che sono un po’ sempre esistiti nei nostri sogni. Non necessariamente sono dei bei sogni. Spesso sono immagini che ci costruiamo inconsciamente mettendo insieme con pazienza fantasie di letture giovanili, luoghi della memoria ingigantiti dal ricordo, frammenti di viaggi compiuti in momenti particolari della nostra vita.
Queste immagini lievitano nella nostra fantasia fino a raggiungere un limbo sospeso fra il deja vu e il ricordo e iniziano a seguirci nei nostri viaggi reali costringendoci a confronti continui e impossibili.
Fra questi luoghi immaginari si è insinuato da tempo il paesaggio del Cap Corse, il “dito” che dalla Corsica si protende a nord verso quella Liguria sospesa per i Corsi fa amore e odio.
Sono arrivato per la prima volta a Macinaggio nel ’90. Mio padre era mancato da pochi mesi. Mia madre passava il tempo cercando disperatamente in me quello che aveva perso e che non sarei mai stato.
Io mi dibattevo nella solitudine di chi percepisce un matrimonio finito e si aggrappa disperatamente ai suoi brandelli sospeso fra la pigrizia, la disperazione e la rassegnazione.
Non amavo ancora il mare, o almeno non me lo ero ancora confessato. La cosa più difficile non è confessarsi la verità ma accettarla e assolversi liberandoci da tutti i condizionamenti patiti.
Ora so che in quel momento è iniziato il mio amore cieco per il Cap Corse, per i suoi traghetti che scorrono silenziosi scendendo dal faro della Giraglia fino a Bastia.
Incrociano sornioni poco lontano dalla costa nella foschia oppure lottano con il mare scosso dal maestrale mentre il rumore delle macchine arriva a tratti sovrastando quello del vento.
Non so se riuscirò a comprare casa in Cap Corse, ma quello sarebbe un buon posto per tornare a vivere.