12 giugno 2010

Ristorante "Il mare" a Rio Marina

Da due anni capito all’Elba in questo periodo e ormai più d’una volta sono venuto a mangiare da Laila.
Io la chiamo signora Laila, ma so che fa più effetto dire “da Laila” a Rio Marina.
Laila è sempre premurosa e mai sbrigativa, neppure al sabato sera, se si ha avuto il buon senso di prenotare.
Laila ha sempre il ristorante pieno e il valore aggiunto è che non si tratta solo di villeggianti, ma anche di gente del posto.
In effetti la prima volta ci ero arrivato su indicazione di un farmacista stagionale che faceva la stagione estiva proprio a Rio Marina.
Il locale si apre sul porto e sul traghetto che instancabile fa la spola da Piombino. L’arredamento è casual ma si mangia quasi sempre fuori.
La carta del menu è accattivante, ma io suggerisco di consultare sempre la lavagna del menu del giorno, di fianco alla porta d’ingresso.
Qualche esempio: maltagliati con polpo e fagioli, spaghetti neri con ricci di mare, gallinella all’acqua pazza, stoccafisso con olive e patate.
Non mancano dei piatti più fantasiosi come i ravioli di mare con purea di melanzane o gli gnocchi con l’astice.
Per i più tradizionalisti, o per chi è scarso di fantasia, ci sono comunque sempre risotto alla marinara, spaghetti ai frutti di mare oppure frittura mista (croccante, leggera e morbida).
Personalmente ho lasciato il cuore sui maltagliati con polpo e fagioli, ma capisco che avendo l’età giusta si potesse lasciare il cuore anche per la signora Laila.
I prezzi sono onestissimi, l’unico appunto è sulla scelta dei vini, un po’ limitata.


I voti: qualità 10, servizio 10, vini 7; la media sta comunque sul 9.

09 giugno 2010

Fuentes

Quando si sbuca dall’ultima galleria della nuova statale 36 l’attenzione dell’automobilista è attratta dalle montagne che fanno corona all’ingresso della Valchiavenna e al centro commerciale che apre l’imbocco della Valtellina.
Il centro commerciale è Fuentes. Una collega siciliana credeva che questo fosse il nome di una catena di supermercati.
Per conoscere questo nome spagnolo bisogna tornare a metà del secolo scorso e partire dalla stazione ferroviaria di Colico.
Nessuna nostalgia. I ragazzi che arrivano a Colico, o che sfrecciano sulla piana di Fuentes diretti alle stazioni sciistiche non sanno nulla dei prati che coprivano la campagna.
Sono nati dopo i primi insediamenti industriali e sono abituati alla pila dei containers di fianco e sul retro dei capannoni industriali prefabbricati che segnano il confine fra le tre provincie di Como Sondrio e Lecco.
Chi esce a piedi dalla stazione ferroviaria di Colico può imboccare la vecchia statale dello Spluga e avviarsi a piedi verso nord.
Poco dopo si trova una strada a sinistra che passa sotto la ferrovia e le indicazioni sono suggestive: Forte Montecchio, Forte di Fuentes e sentiero dei forti.
La segnaletica è appena stata rifatta dalla sezione di Colico del Club Alpino Italiano.
Mi incammino con il buon passo che consente l’ora del mattino che precede il sorgere del sole.
La strada asfaltata sale la collinetta del Montecchio per finire al cancello del forte omonimo, costruito durante la grande guerra; le sue torrette conservano ancora intatti i cannoni che fortunatamente non hanno mai sparato un colpo.
Cavalli di frisia e cartelli imperiosi segnalano il “limite invalicabile” della zona militare; passo oltre un po’ infastidito da questi retaggi burbanzosi di un esercito che fortunatamente è stato riformato.
La strada diviene sterrata e scende dolcemente dal Montecchio.
A sinistra si apre qualche scorcio sul lago, sull’ultimo tratto dell’Adda e su qualche agriturismo travestito da azienda agricola manageriale.
A destra la prospettiva dei campi di allontana verso la ferrovia e il vecchio tracciato della statale 36 segnati da file di capannoni.
Fra il Montecchio e li Monteggiolo, la piccola collina che si alza poco più a settentrione, c’è qualche vera azienda agricola e le acque quasi limpide di un canale scolmatore scorrono lente verso il lago.
Arriviamo al Monteggiolo, ai cui piedi c’è un’omonima contrada. Le case sono state ristrutturate ad uso di milanesi e tedeschi in vacanza e un cartello mi segnala che la salita porterà al forte di Fuentes.
Allora è il Monteggiolo la collina di Fuentes!
Nel 1603 il forte è stato voluto dal conte di Fuentes, governatore della zona nell’epoca di dominio tedesco di manzoniana memoria.
Non stiamo a raccontare la storia dello sfortunato forte di Fuentes, costruito per difendere il Ducato di Milano… dagli Svizzeri.
Sembra comunque che anche qui non ci siano mai state grandi operazioni militari e si sia trattato di un “buen retiro” per raccomandati, imboscati e sfaccendati che ci sono sempre stati in tutti gli eserciti.
Salendo lo sterrato che porta alle rovine del forte il panorama si amplia a destra sull’alto Lario e a destra sulla zona industriale che si stende con i suoi capannoni, stabilimenti, pile di containers fra Colico e Piantedo, alle porte della Valtellina.
Salendo vediamo il retro dei capannoni con il loro rugginoso retaggio di carrozzerie, macchinari e rottami che iniziano a soccombere alla vegetazione pioniera.
Scendo dal forte, attraverso la ferrovia e riprendo il vecchio tracciato della statale 36.
Dei fasti di un tempo sono rimasti vecchi e bassi capannoni che ospitano attività di frontiera: uno sfasciacarrozze fa da pendant a una carrozzeria.
L’ex caserma della Polizia Stradale pare è alloggio per extracomunitari e ospita nel retro un magazzino di materiali edilizi.
Lo spazio asfaltato, sproporzionato, appare ancora più desolato dall’assenza di traffico.
Là dov’era il trivio di Fuentes le strade ancora si dividono e un passaggio a livello, uno degli ultimi rimasti, attraversa ancora la ferrovia che sale a Sondrio.
Un bar, gloriosamente chiamato Bar Fuentes, ha il tetto a uno spiovente e la facciata che si arrotonda al lato settentrionale ispirata forse all’architettura razionalista, forse ai primi caselli autostradali degli anni ’50 del secolo scorso.
Qualche auto parcheggiata all’esterno documenta ancora un’attività.
L’altro locale, separato dal questo dal ponte di raccordo su cui sfreccia il traffico per la Valchiavenna, appare inesorabilmente in disarmo ad onta dell’insegna luminosa che campeggia sul tetto.
Prosegue e mi incammino per l’ultimo tratto della veccia “36” costeggiano terreni incolti che sempre accompagnano quella terra di nessuno che si stende in mezzo ai raccordi autostradali.
I cantieri di questo raccordo sono stati aperti più di quarant’anni fa e non sono ancora chiusi.
Qualche vecchio macchinario stradale è stato abbandonato al suo destino ingrato e si sta ricoprendo inesorabilmente di morchia e ruggine, anche se quest’ultima non ha dubbi su chi vincerà la battaglia finale.
Qualche centinaio di metri ancora e siamo sulla nuova statale.
A sinistra è un piccolo centro commerciale, uno dei primi sorti a segnare la porta della Valtellina. Davanti ora c’è un bar-ristorante-edicola-tabaccheria, sosta quasi obbligata per i pullmann granturismo che scendono e salgono nelle valli ma anche comodo punto di incontro per chi scende in città di primo mattino da Valtellina e Valchiavenna.
Pochi i camionisti, che avranno altri punti di sosta, come vedremo.
Attraverso le corsie della statale e mi incammino su una strada che la fiancheggia.
I grande centro commerciale di Fuentes, quello che a tutti gli effetti si è impadronito del toponimo, giganteggia oltre le barriere.
La strada che fiancheggia la statale fiancheggia anche molte attività commerciali e industriali fra cui un importante cantiere nautico a ricordare che il lago non è ancora molto distante.
Qualche centinaio di metri e arriviamo alla curva della “Veronesa”.
La mitica curva della statale “38” è ormai a qualche decina di metri dal tracciato rettificato.
Sulla curva di apre un caffè di storica memoria, con cui il tempo e le gestioni sono stati impietosi.
Il nome indica l’origine della mitica moglie di un padrone quando l’osteria era tappa quasi obbligata per chi saliva in Valtellina.
Vino, tabacco, petrolio e carburo per le lampade ad acetilene impregnavano del loro fortore questo locale.
Ora si ferma qualche motociclista e qualche sfaccendato di Piantedo o qualche extra-comunitario illuso entrano a tentare la sorte nella ricevitoria del superenalotto.
Da qui parte il lungo rettilineo della statale dello Stelvio che porta a Delebio.
Questa è la vera porta della Valtellina, almeno fino a quando il nuovo tracciato della statale non la relegherà a un destino incerto.

06 giugno 2010

Viaggiare nella terra di mezzo

Finora ho viaggiato, e molto, appena possibile, sin dalla più tenera età. Questa è l’eredità più importante che ho ricevuto.
Fino ho viaggiato descrivendo quello che vedevo, e fotografando.
Ma ho sempre fotografato solo quello che mi piaceva o quello che detestavo: c’era un vizio di forma.
Ho deciso di cambiare e di provare a viaggiare descrivendo e fotografando quello che vedo; tutto.
E’ chiaro che non può essere così. Descrivere e fotografare significa comunque filtrare ed elaborare quanto ci circonda attraverso il bagaglio cognitivo, emotivo e di esperienza.
Però facciamo una prova.
Voglio provare a viaggiare in modo nuovo. Al di sotto del paesaggio che tutti vediamo superficialmente e, se possibile, all’interno di quello che ci sfugge.
Chi viaggia in automobile viaggia da punto a punto, da Milano a Bormio o da Monza a Courmayeur.
Sa va male viaggia in autostrada, attraversando il paesaggio dall’interno di un’auto, con l’aria condizionata, con la percezione fastidiosa ci qualche odore estraneo che supera i filtri del particolato.
Va un po’ meglio sulle strade statali; si possono aprire i finestrini e qualche paese si attraversa cioè non si passa da Via Carlo Cattaneo ai campi di sci direttamente.
Ma c’è anche chi viaggia in camper, portandosi appresso un pezzo di casa e precludendosi gran parte del contatto con flora, fauna e cemento.
Ho deciso che proverò e insisterò a viaggiare a piedi e in bicicletta, come cerco sempre più spesso di fare, per conoscere ancora la terra che attaverso, che muta incessantemente e che rischierebbe di rimanere un concetto platonico e lontano dalla realtà del viaggio.
Da dove cominciare?
Ma è chiaro, dalle porte della Valtellina, il viaggio che vedo fare ogni settimana dai Milanesi che sciamano verso Madesimo, Bormio, Aprica, e sfrecciano verso la strada statale dello Stelvio dopo essere usciti dalle gallerie interminabili della nuova statale 36 che li vomita assieme alle loro auto sulla spianata di Fuentes.
Alla metà del secolo scorso la vecchia 36 andava a imboccare la Valchiavenna al trivio di Fuentes, per tutti il Trivio.
Da quell’aiuola triangolare, illuminata di notte da lampioni ad arco, fra un caffè dalle linee audacemente razionaliste e un distributore di benzina Caltex, partiva la statale 38 o dello Stelvio.

05 giugno 2010

Tangenziali

Ho appena finito due libri di Salvatore Niffoi, un autore sardo che sto scoprendo o riscoprendo. Forse è uno dei più famosi e a me era sfuggito.
Sta di fatto che ho acquistato un cofanetto con i suoi primi romanzi. Dopo i primi due credo sia opportuno prendermi una pausa. Questo sia per evitare la crisi di rigetto, sia per librarmi un po’ sopra qual modo barbaricino un po’ cupo, come tutta la Sardegna è cupa nel suo interno e nel suo intimo.
Però non sapevo cosa leggere e così ho buttato negligentemente sul comodino “Il vampiro” di Mino Milani, “Il ranch della giumenta perduta “ di Simenon e “Tangenziali” di Biondillo e Monina.
Dopo aver sfogliato svogliatamente e superficialmente le prime pagine di tutti e tre i libri sono stato catturato definitivamente da “Tangenziali”.
Si tratta della cronologia di un viaggio a piedi, durato dieci tappe e circa cento chilometri, attorno, sopra, sotto e nelle vicinanze delle tangenziali di Milano.
Scritto da due matti, due scrittori diversi, anche se Gianni Biondillo non è nuovo a simili exploit.
L’inizio è in sordina. Gli autori scrivono un capitolo ciascuno in sequenza, quindi due introduzioni, due prime tappe, due seconde e così via.
Per ora sono arrivato alla quinta.
Si possono leggere in tanti modi. Fondamentalmente Michele Monina è un “non milanese” quindi guarda tutto in modo disincantato e spesso cinico, ma qui sta la sua capacità di sdrammatizzare e di banalizzare il pathos con cui il viaggio è descritto dal “milanese” Gianni Biondillo.
E alla fine emerge Milano. Forse non la Milano più viva ma la Milano più viva e attuale, che non è più la grande Milano di Biondillo ma è la disincantata e banale periferia di Monina.
Mi viene quasi voglia di attraversare la Valtellina a piedi, dalla brughiera di Fuentes attorno al centro commerciale alla sorgente dell’Adda.
Ma qualcuno leggerebbe questo racconto?

04 giugno 2010

Capolinea?

Pochi giorni fa erano vent’anni che mio padre è scomparso.
Mi è mancato e mi manca, come tutti i padri soprattutto dopo che si sono persi.
I suoi ultimi anni, ammalato, non mi sembrava più il padre che avevo conosciuto.
Non ha visto i miei traguardi professionali più importanti, e me ne dispiace. Non ha visto il naufragio del mio matrimonio, che aveva previsto, e la deriva che ne sarebbe seguita. Ma di questo molto non mi dispiace anche se l’avrei voluto vicino in quegli anni difficili e di sostanziale solitudine.
Ha fatto a tempo a vedere il naufragio del comunismo, che assieme aspettavamo da anni.
Però non ha visto il terzo millennio le miserie, le violenze, le guerre, le cadute dei valori che ne sono seguite.
Ora a volte mi sento pronto a mia volta a partire.
Basta traguardi, basta progetti, basta fatiche. Per cosa o per chi? Per chi non ha più valori?
Forse sono arrivato al capolinea.