20 luglio 2013

Aegean sea 18 luglio 2013 - Viaggio indimenticabile



Ignaro del futuro destino prima di salpare da Naxos
Il Seajet 2  è un velocissimo  catamarano; nella sua livrea bianca e fucsia parla di velocità e di mare Egeo. Ovviamente tutti i posti, nuerati, sono all’interno e non si può uscire sui ponti striminziti neppure durante le manovre di attracco.
Il viaggio non si presenta dei più simpatici: per arrivare a Milos alle 9 di sera si salpa da Naxos verso le 16 e si  farà tappa a Mikonos, Koufonissi, Amorgos, Santorini e Folegandros.
Ci si mette anche il Meltemi, il vento del nord che alza onde di due/tre metri  in mare aperto .
Saliamo comunque e subito dopo la partenza iniziano un rollìo impressionante e un beccheggio fragoroso.
Il sibilo delle turbine è inframezzato ai tonfi paurosi quando lo scafo ricade pesantemente fra un’onda e l’altra.
Mi ricordo odiosi viaggi verso la Sardegna  sulle “Navi veloci” della Tirrenia; me la cavavo a malapena, ma dignitosamente, chiudendo gli occhi e convincendomi di essere su un’amaca, sotto la pianta di caki del mio giardino, cullato dalla breva del pomeriggio.
E infatti ce la faccio abbastanza bene; aani di trasporti in ambulanza e in elicottero saranno ben serviti a qualcosa.
Una bella ragazza tedesca tenta di rinfrescarsi la fronte con una bottglia di acqua gelata sulla fronte poi, pallida e madida, vomita senza ritegno.
Fortunatamente mi addormento fino a Mikonos dove il catamarano si svuota; è passata solo un’ora.
Soffoco la preoccupazione in qualche risatina di circostanza e mi rassegno alla prossima tappa.
Sorpresa! Si torna a Naxos... Ma allora perchè non si poteva partire due ore dopo? Misteri della fede e delle prenotazioni on line su Greeka.com.
Viaggiamo fino a Naxos e ripartiamo per Koufonissi.
Peccato non poter uscire sul ponte almeno durante le manovre di ormeggio per fare qualche fotografia e respirare un po’ di aria fresca.
Bisogna dire che il mare è migliorato, poi riesco a recuparare l’ipad e posso leggere qualcosa.
Ad Amorgos abbiamo già accumulato due ore di ritardo; ad ogni porto scende un bel gruppetto di persone e ne sale sconsolatamente una più grosso.
Scopro che la destinazione finale del Seajet 2 non è Milos, ma Pireo. Sfido io... Qui salgono tutti quelli diretti ai voli di ritorno del primo mattino.
Infatti si comincia a sentir parlare sempre più tedesco, francese e soprattutto italiano.
Il Seajet2 salpa da Naxos
Un gruppo numeroso di ragazzi sale ad Amorgos:  sono in vacanza, stufi di Santorini hanno deciso di concedersi una giornata diversa e ritornano accaldati ai campeggi e ai villaggi turistichi di Thira e di Oja.
Il sole muore all’orizzonte prima di Santorini, dove arriviamo al crepuscolo, con almeno due ore e mezzo di rittardo.
Qui sale una torma vociante e numerosa; quasi tutti Italiani diretti verosimilmente al Pireo.
Qualche sedile di fianco a me arrivano due coppie sulla cinquantina.
Le signore ingioellate sorridono, lo sguardo fisso nel vuoto davanti a sè; i mariti, abbronzati e brizzolati sorridono sicuri, dialetto brianzolo e comasco, con un po’ della strafottenza degli arricchiti di seconda generazione, i figli di quelli che hanno lavorato duro durante il miracolo economico degi anni ’50 per salire molti gradini.
Storcono un po’ il naso all’odore di vomito, cui noi ovviamente e fortunatamente ci siamo assuefatti nelle ore precedenti.
Stiamo sottovento per qualche decina di minuti poi il Meltemi si prende la sua rivincita verso Folegandros.
Sono due ore di incubo e la pila di sacchetti di carta appoggiata sul bancone del bar chiuso si assottiglia sempre più.
Facce pallide e sudate aspettano sconsolate l’arrivo in porto.
Con molta presunzione durante l’ultima sosta ero sceso al piano inferiore, dove il bar è aperto, ed ero risalito con acqua gelata e un beverone che chiamano caffè freddo o frappè al caffè; per non sfidare la sorte me l’ero fatto preparare senza latte.
I brianzoli sorridono sempre strafottenti e in prima fila.
Sorrido a mia volta e penso a chi dovrà rimanere fino al Pireo.  
Dopo Folegandros il Melmemi si scatena.
Il Seajet2  balla nelle tenebre sulle onde come posseduto da un demonio marino maligno. Gli unici sicuri devono essere i piloti su in plancia, accigliati davanti agli schermi dei radar e dei navigatori satellitari che ci guidano  nella notte.
Noi  sotto  ormai siamo assuefatti, solo un po’ di cefalea, ma riesco ancora a leggere il mio libro, mentre le signore ingioiellate, persa l’aurea indifferenza e sicurezza, si alzano barcollando alla ricerca dei terribili sacchetti di carta.
E’ il turno  dei mariti, strafottenti e firmati, di guardare davanti a sè nel vuoto, pallidi.
Con un po’ di maligna soddisfazione recupero il mio zaino in vista di Milos e scendo verso lo sbarco liberatorio mentre quel che rimane dell’arroganza lombarda si svuota rumorosamente  nei  sacchetti di carta robusta. 
Sbarchiamo a mezzanotte, speriamo di trovare qualche taxi.

02 luglio 2013

Madrigale di Giulia Alberico



Più riguardo a MadrigaleQuattro stellette Anobii?
Sì, e pienamente meritate per questi tre racconti che non sempre scorrono leggeri alla lettura e aprono continui squarci a volte poetici, a volte impietosi, sui nostri ricordi.
Ne emergono ritratti di un secolo con lampi della memoria che illuminano con luce improvvisa, violetta come lampi sul mare, brandelli della storia di tante nostre famiglie.
L'emigrazione, la morale, il perbenismo alternante, l'ipocrisia strisciante, la meschinità del quotidiano in paese e in città, il fascismo, insomma tutto quello che ha fatto la storia della prima metà del XX secolo, e che ne ha condizionato la seconda fino all'inizio del XXI.
E' splendido il viaggio nella la memoria raccontato in prima persona dalla vecchia casa.
Nell'ultimo racconto, dissonante, ruvido come carta vetrata, c'è il quadro della depressione, del male oscuro degli ultimi decenni, pervaso da un vento leggero di assoluzione che aleggia sopra vincitori e vinti, sopra madre e figlia trascinate fino all'ultimo da un vortice di incomprensione .

01 luglio 2013

Scansioni della memoria: il ciliegio



Lo zio Silvio (1915-1921) attorno al 1920
Credo l’abbia piantato il nonno Martino verso il ’30.
Nessuno mi ha chiarito la data, ma se il nonno era partito nel ’36 non poteva essere molto dopo il 1930.
Nella memoria sta con un altro albero immenso, che raggiungeva il secondo piano ed era un pero.
Non so perchè le pere le raccogliesse solo il Guglielmo, forse aveva una pertica speciale per le pere, forse era un diversivo per dimenticarsi, per qulache ora, di riparare le biciclette di un intero paese.
Dalle case e dai cortili vicini questi alberi li ammiravano. Oggi chiederebbero, ed otterrebbero, di abbatterli per l’ombra e per l’invidia.
Il pero se n’era andato presto, a metà degli anni ’50, prima che la millecento grigia potesse riparararsi sotto i suoi rami.
Invece il ciliegio rimaneva a dividere la vigna.
Di quà c’erano i filari che prendevano sole tutto l’anno, di là i filari più freddi, che rimanevano all’ombra da novembre a febbraio, nella brina che durava tutta la mattina e a volte di più.
Il ciliegio fioriva ogni primavera e si vedeva da lontano.
Aveva per compagni e vicini un alberello magro di marasche, stento e macilento, morto giovane, e uno più piccolo di amarene, basso, tozzo, trasudante resina tenace, che produceva amarene amarissime e precoci.
Quando le ciliegie maturavano si saliva, dopo la scala a pioli, di ramo in ramo.
Strano che nessuno temesse che cadessi, e in effetti non è mai successo.
Superando terrore e vertigini, e lo confesso solo ora, arrampicavo a dieci metri da terra.
I frutti maturi, duri e cupi, mi annoiavano presto.
Dall’alto però di vedeva il Lago.
Quel Lago che ho sempre proonuciato con la maiuscola, qul Lago da dove venivamo.  Non era il Lago di Como dell’atlante nè il Lario del libro di geografia di mia sorella; era il Lago di Lecco del papà, del nonno, del bisnonno, della nonna salita bambina dalla Toscana alle sue rive e che parlava il vernacolo di Pistoia con la stessa fierezza del dialetto di Pescarenico.
Era il Lago delle motociclette rosse che uscivano a Mandello e percorrevano le strade dell’Europa che rinasceva dalle ceneri.
Il ciliegio c’è ancora.
Non c’è più nessun’altro a fargli compagnia.
Qualche stentata pianta di pesche e di mele dal prato sconnesso che era stato la vigna del nonno Martino.
Qualche pianta è di quà, dove c’ erano i filari che prendevano sole tutto l’anno, qualche pianta è di là, dove c’erano i filari più freddi, che rimanevano all’ombra da novembre a febbraio, nella brina che durava tutta la mattina e a volte di più.
Il ciliegio fiorisce ogni primavera.
Nessuno può raccogliere le ciliegie cupe, turgide, alte, all’altezza di un albero che non vuole morire sfidando la legge della natura.
Ora sono andati tutti e il ciliegio è mio; per anni mi sono chiesto per chi fiorisse il mio ciliegio.
Per qualche donna che prometteva di vivere sotto la sua ombra e con me.
Ho smesso di chiedermelo e anche quest’anno non ci sono stato quando è fiorito.