19 febbraio 2011

Back home

L’Airbus dell’AirOne rulla pigramente a Fontanarossa. Presto il ronzio delle turbine si trasformerà repentino nel sibilo che mi accompagnerà nel decollo verso nord.
Nella fila dietro la mia il cretino di turno annuncia, con dovizia di decibel, al cellulare e a tutta l’inclita di essere un medico. L’accento è nordico, allegria!
L’unico che si impressiona è lo steward che accorre e lo prega di spegnere il suo cellulare (del cazzo).
Nonostante il ventunesimo secolo imperversi, qualcuno continua a ignorare che qualunque cellulare possiede un compressore di dinamica che ci permetterebbe di sussurrare anche frasi d’amore nel rombo di un uragano.
L’Airbus si lancia sullo Jonio mentre la luna illumina la costa fino ad Augusta. A settentrione l’orsa maggiore gioca a nascondino con uno strato di nuvole che presto si stenderà argenteo sotto di noi.
Sono in pista da diciotto ore e cedo al sonno fino alla verticale di Sestri Levante.
In genere mi fermavo a dormire a Catania, ma  la tristezza di un’eventuale Villa Cibele in solitaria, una delle mie basi, mi convince a tentare il ritorno a casa e gli inevitabili colpi di sonno connessi.
In ospedale è un delirio.
In questi giorni si susseguono casi interessanti, sconsolanti e routinari; da qualche tempo ci siamo arresi all’influenza in tutte le sue varianti.
Non mancano casi bizzarri: Gabriele ha meno di un mese ed è al secondo ricovero in due diversi ospedali.
Safira ha dolori addominali da quattro anni; forse abbiamo trovato la sua terapia.
Matteo attende la chiamata al Centro di Auxologia inossidabile sotto l’angelo giustiziere, che forse è inossidabile a sua volta se non è dorato.
Ogni sera ci illudiamo di liberare qualche camera e ogni notte la riempiamo.
Qualcuno ha scritto una lettera a un giornale lamentando di essere rimasto in Pediatria sei ore in attesa dei risultati degli esami del sangue, però dimentica che il bambino è stato visitato tempestivamente.
Passo un po’ di tempo a meditare una replica poi decido di lasciar perdere: a Milano la gente aspetta ore ed ore in corridoio e non fa nemmeno notizia.

17 febbraio 2011

Catania!


Prima seduta ecografica a Catania nella Divisione di Pediatria del “Vittorio”.
Per ora lavoro non molto, ma tanta simpatia e trionfo della tavola con scorpacciata di pesce.
Grazie ad Arturo, che mi ha fatto da autista/guida/cicerone, grazie a Raffaele, mitico primario e grazie a Francesco, presidente della Simeup sicula; poi saluti al telefono con Luca, con Annette e con tanti altri.
Grazie alla dolce caposala Sara, che non mi fatto rimpiangere la Gabriella del Lago..
Credo che tornerò presto, per lavorare un po’ di più e mangiare un po’ di meno.
Per oggi è stata una tirata mitica con andata e ritorno in giornata; la prossima volta mi prenderò più tempo.

11 febbraio 2011

Ecografia d'urgenza

Questo corso è entusiasmante, nulla da dire né da eccepire.
Sto imparando la sconvolgente utilità dell’ecografia toracica, la difficile eco-cardiografia e l’utilissimo accesso vascolare eco-guidato.
E’ strano provare tutto questo entusiasmo all’età in cui tutte le persone di buon senso dovrebbero cominciare a pregustare una serena pensione all’ombra di un pergolato, con un vecchio cane fra i piedi e qualche nipotino in braccio.
Invece no.
Ci sono ancora un sacco di cose da imparare e qualcuna ancora da insegnare. Domani si ricomincia come il primo giorno!

10 febbraio 2011

Padova, anzi Abano Terme

Grazie a un amica, si fa per dire, che è riuscita a farmi saltare il corso di Ginecologia Pediatrica di Firenze.
Sono riuscito invece ad iscrivermi all’ultimo momento a uno splendido corso di ecografia d’urgenza a Padova, anzi, ad Abano Terme.
Per tema di nebbia ho deciso di viaggiare in treno, come d’altro canto scritto nel post precedente,
Quindi tre treni, tre treni diversi, tre tipi di compagni di viaggio.
Sondrio-Milano: salgo a Colico; il treno non è molto affollato. Dopo breve ricerca trovo quattro posti liberi e mi ci adagio sparpagliando giacca, borsa e il mitico trolley compagno di ogni viaggio; pregusto un’oretta di lettura tranquilla.
Il destino decide altrimenti e nei quattro posti dall’altra parte del corridoio atterrano quattro studenti delle superiori che tornano a Lecco.
Il realtà sono una dozzina, ma solo quattro si piazzano vicino a me, due maschi e due femmine.
Gli ormoni sono stati devastanti per i maschietti, che soprannomino subito Brufoloso e Brufoletti. Gli ormoni sono stati generosi anche con le femminucce ma in altra direzione; entrambe hanno un’aria piuttosto vissuta.
Brufoloso porta un berretto calato sugli occhi; Brufoletti se lo toglie per mettere meglio le cuffie; poi però decide di farci tutti partecipi della sua musica Rap.
Il volume non è fastidioso; a tratti il volume delle voci si alza per invocare genitali maschili e femminili. Brufoloso e Brufoletti invocano con par condicio; le ragazze preferiscono decisamente invocare il volatile simbolo maschile.
Cullato dalle urologiche invocazioni mi addormento fino a Lecco.
I quattro, accompagnati dagli altri otto, scendono rumorosamente e torna la pace; mi riaddormento fino a Monza mentre il treno accumula il ritardo canonico .
A Milano mi precipito ai distributori automatici per ritirare il biglietto acquistato su internet, e infatti mi va abbastanza bene, poi mi avvio verso la Freccia Bianca Eurostar e Intercity che sul binario 11 attende di partire per Trieste.
Ho il posto prenotato; il treno è pieno; mi piazzo al finestrino, vecchia abitudine di trasvolatore atlantico, in mezzo a tre silenziose fanciulle; una legge, una tortura l’Iphone e la terza sonnecchia.
Il destino è in agguato. Specularmente al mio posto siede un rampante quarantenne con completo gessato da bancario in trasferta ufficiale.
Invece è il titolare di un’Agenzia di Viaggi. E’ armato di un notebook che non guarda, e anche di un micidiale auricolare connesso a un cellulare che non si scarica mai.
Inizia una serie di telefonate con voce sui 90 decibel con un numero impressionante di amici, colleghi e amiche a cui racconta quanto gli sta costando la crisi in Egitto; descritta in modo pittoresco con riferimenti anatomici maschili e femminili, con diversioni sull’onanismo, cui peraltro non si decide nonostante i taciti suggerimenti di tutto lo scompartimento.
Arriviamo in qualche modo a Padova, dove scende anche il cretino, finalmente spento il cellulare.
Non mi resta che prendere il locale sino a Terme Euganee, dove arrivo in tarda serata. Il viaggio, di pochi minuti, è senza storia, su un treno lurido, di fronte a una studentessa triste che annega le sue amarezze nella Settimana Enigmistica.
C’è un solo taxi ad Abano Terme e mi costa 18 euro per quattro chilometri; non male; per una pizza e una birra me la cavo con molto meno.
Finalmente il meritato riposo all’Alexander Palace.

09 febbraio 2011

Andrea e la camera 2

La camera 2, che era stata di Silvia, poi di Amela, poi di Mauro, era diventata da qualche mese la camera di Andrea.
Da questa mattina la porta è chiusa.
Andrea ci ha lasciato ieri sera.
Era una partenza annunciata da tempo, da mesi, ma come sempre succede l’attaccamento alla vita lo ha fatto arrivare quasi a metà febbraio.
Fino a due settimane fa ogni tanto mi spediva alla sera a prendere una pizza margherita alla pizzeria Lumin, in riva al Lago.
Nicoletta, Patrizia e Miriam hanno sempre voluto offrire queste pizze e ieri sera, quando mi hanno visto hanno sperato di offrirgliene un’altra.
Invece avevo passato il pomeriggio a sperare e pregare che il tormento finisse presto.
E ora anche Andrea è un altro di quegli angeli che ho accompagnato nell’ultimo viaggio e spero che, come gli altri, ora che è nella Luce mi aiuti a non fare troppe sciocchezze nel mio lavoro di tutti i giorni.

08 febbraio 2011

Sì, viaggiare...

Dopo un mese di tensione e stress poco sostenibili domani ripartirò.
Dopo tante destinazioni sotto il 40° parallelo mi limiterò a “rimanere” a Padova per un corso di ecografia d’urgenza.
Se non vorrò fare indigestione di nebbia mi toccherà viaggiare con i treni sempre più sporchi delle nostre Ferrovie dello Stato.
Ma forse, quando si chiamavano così, erano ancora una cosa ragionevole; ora che si chiamano Trenitalia e che hanno un sito su internet le cose si sono messe veramente molto male.
Stazioni impresenziate, personale frustrato e supponente, code ad ogni biglietteria, niente più depositi bagagli e una corte dei miracoli di accattoni, attaccabrighe e rompicoglioni che nessuno si sogna di arginare.
Un luogo comune per descrivere le stazioni ferroviarie: flora, fauna e cemento.
E viaggiare in treno in Italia costa come in Germania; molto di più che in automobile.
Non scendiamo nei dettagli, per favore, però negli autogrill i cessi li puliscono ogni tanto, e sono gratuiti.
Sarebbe bello sapere come mai l’acqua minerale alle macchinette costa meno che fare la pipì in Stazione Centrale a Milano: ci sarà un voto di scambio.
Poi, per non smentirmi, la settimana prossima scenderò una scappata all’ombra del vulcano, anzi della Montagna,  per vedere di mettere in pratica gli ecografici insegnamenti.
Gli aeroporti, almeno per ora, sono algidi, impersonali, ma un po’ più puliti delle stazioni ferroviarie.
Malpensa si dà arie intercontinentali al Teminal 1, labirinto di parcheggi con tariffe orarie pari a quelle di una escort;  al Terminal 2 è rimasto invece ancora l’aeroporto della Lombardia del miracolo economico, fermo agli anni ’50 ma molto romantico per arrivi e partenze di fidanzatini low cost.
Linate vuol far credere di essere ancora l’ aeroporto della Milano de la Madunina, invece è un posto dove odiosi vigili urbani cercano di rimpinguare le casse del Comune di Peschiera Borromeo con le multe per divieto di sosta ai danni degli sprovveduti.
Orio al Serio è l’unico simpatico aeroporto di Milano e infatti sta a Bergamo.

06 febbraio 2011

L’ascesa inarrestabile del maiale

Trattoria cresciuta in fretta; osteria giunta faticosamente alla recensione sulla gialla guida Slow Food; ristorante che ha conquistato negli anni la stella della rossa Michelin; pizzeria che a mezzogiorno sfama muratori esausti e medici ipoglicemici, ma alla sera sa darsi un tono.
Nel parcheggio SUV lucidissimi e reduci da trekking sui marciapiedi di Milano, Audi silenziose di ginecologi, Mercedes SW di muratori e idraulici, polverose utilitarie di industriali nel tessile e pick-up 4 porte di artigiani piastrellisti.
Dalla carte dei menu, dalle lavagne finto rustico, da vetrine refrigerate e termostatate con impianto antiappannante fanno capolino fiere fiorentine.
La bontà della Chianina si cimenta con lo spessore della Scottona.
Tagliate alla rucola contendono la palma dell’eccellenza a filetti d’Angus.
Ai tavoli la fauna è divertente.
Le signore ostentano jeans firmati con mises più sexy; qualcuna resiste pateticamente con la pelliccia, ma il casual chic non ha più praticamente rivali.
Le signore in genere hanno avuto una buona educazione; se non l’hanno avuta si sforzano di dimostrare il contrario.
Le posate vengono maneggiate correttamente e silenziosamente; i calici e i bicchieri vengono sollevati con eleganza, i tovaglioli hanno ancora una loro dignità.
I signori no.
Maniche rimboccate con avambracci pelosi usano forchette e coltelli randomizzando l’impugnatura dal joystick al machete.
Affrontano a morsi robusti tranci di focaccia come bull mastiff affamati e si aiutano con le dita per ficcare in bocca gocciolanti e succosi triangoli di pizza capricciosa ripiegati in quattro.
I figli ovviamente li imitano, senza smettere di stuzzicare il Nintendo piazzato davanti al piatto come un navigatore satellitare.
Il cameriere mi chiede premuoso: Chianina, Scottona o Angus?
E io sornione: se cominciassimo dai maiali? Ma non mi segue, perso nel decolletè della vicina di tavolo.