31 dicembre 2010

Bilancio 2 e previsioni


Bilancio: parola grossa anche in una piccola azienda; figuriamoci in una grossa e, peggio ancora, a livello individuale.
Per me non ci sono mezze misure. La maggior parte dei miei 25 lettori, e non sono ahimè aumentati, mi conosce e sa che il mio bilancio nel 2010 non è stato molto positivo.
Chi poteva , chi sapeva e chi doveva ha preferito fuggire; chi non avrebbe dovuto, potuto o saputo si è sforzato di starmi vicino e il mio cuore non lo dimenticherà.
Cosa ci aspetta nel 2011?
In senso generale, c’è ben poco da attendersi. Sul piano morale non si può scivolare ancora. Più in basso di noi ci sono solo Sodoma e Gomorra.
Visto che siamo sul biblico citerò l’Ecclesiaste: “ Ho visto servi a cavallo e principi camminare a piedi come servi.”
Per me rimane qualcosa?
Sì, ho ancora tre sogni nel cassetto.  
Auguri; buon 2011!

28 dicembre 2010

Bilancio 1

Il capodanno si approssima; la sera del 31 andrò a dormire presto, anche se è tempo di bilanci, luogo comune ma doveroso.
Come sempre inizio con i ringraziamenti e in ordine sparso; e inizio con i Colleghi, i miei compagni di viaggio.
Ringrazio Marco, Stefania e Nicola, con cui ho iniziato l’anno quando era nuovo. Poi Maria Rita, con l’augurio che trovi la sua strada, all’ombra dell’Etna.
Quest’anno è tornato Giovanni Pagani, ecografista , neonatologo ma soprattutto amico fidato e fedele, qualità sempre più rare.
Pino; grazie del suo aiuto, con l’augurio che trovi la sua strada e nel 2011 scopra cosa vorrà fare da grande nel nostro reparto. Grazie a Concetta che prosegue il suo cammino con noi.
Poi i “Varesini”: Ilaria, Francesco, Michela, Alessandro e Dario, con cui continueremo la strada.
Luigi Nespoli. Gli nego per oggi il titolo doveroso di Professore, per dargli quelli di amico e maestro; l’unico rimpianto è quello di averlo incontrato solo negli ultimi due anni.
Quest'anno il Professore mi ha "prestato" la strepitosa Maddalena, brillante e silenzioso fiore all'occhiello della nostra Pediatria.
Dentro l’ospedale devo ringraziare tutti i ginecologi e gli anestesisti con i quali, in riva al lago e solo qui, a differenza di tutti gli altri ospedali, siamo sempre andati d’amore e d’accordo.
Grazie alle infermiere, tutte brave, ma soprattutto ciascuna diversa e ciascuna capace di dare il suo contributo e lasciare il segno nella nostra Pediatria.
Grazie e auguri alle ostetriche, ricordando cos’è successo a Oggiono (tri donn fan la fera d’Ugion), e considerando che sono in sette!
Grazie ai Pediatri di famiglia, a tutti quelli che ancora hanno fiducia in noi e ci inviano i loro pazienti e anche a quelli che li inviano altrove, risparmiandoci tempo, così quando ci arrivano lo stesso non dobbiamo neppure renderne conto.
Certo, quest'anno ci sono state anche persone che sarebbe stato meglio non incontrare; c'è comunque l'augurio che il Signore renda loro la serenità che sanno togliere a quanti incontrano sulla loro strada.
Per ora mi fermo qui.

27 dicembre 2010

Natale in Pediatria

Ho lavorato tutte le Feste; non sono stato in prima linea, né in trincea, ma con il badile in mano;  pronto a dare una mano ai giovani pediatri allo sbaraglio.
Ne sono uscito come sempre un po’ deluso. Ma che genitori girano?
Mamme ansiose telefonano per rigurgiti, vomiti e brufoli; per fortuna d’inverno non ci sono le ortiche, ma d’estate qualche orticata è pure arrivata in Pronto Soccorso.
Padri terrorizzati da un prelievo di sangue chiedono più volte se è proprio necessario “bucare” l’erede, poi escono dalla sala medica con gli occhi sbarrati.
Madri implorano un ricovero per alcuni giorni per “stare tranquille” e fanno pendant con altre che firmano il rifiuto della prestazione e si portano a casa bambini con la polmonite, tanto poi torneranno di notte da noi o in qualche altra Pediatria…
Ma una volta ho perso le staffe e ho chiesto: “Ma a me  cosa viene in tasca a ricoverare suo figlio? A fargli un prelievo? A perdere due ore per fare una cartella perché nessuno dei due genitori ha il buonsenso di portare il bambino urlante in camera mentre cerco di raccogliere la storia clinica?”
Qual è la nostra colpa e il nostro peccato? Fra poco ci troveremo “untori” e colpevoli di diffondere epidemie di orticaria e mal d’orecchie.
Poi ci sono i genitori dei bambini veramente ammalati, quelli con la cardiopatia congenita che li porta in cielo alla vigilia di Natale, quelli con i tumori al cervello, quelli con le malattie metaboliche che non guariscono, quelli con l’epilessia che non risponde ai farmaci.
Quelli sono la nostra consolazione; telefonano per gli auguri; chiedono scusa per il disturbo; portano il panettone alle infermiere; quelli ci fanno sentire meno inutili e ci trattengono qui.
Altrimenti saremmo andati in Africa da tanti anni, a curare le malattie vere.

22 dicembre 2010

Ti ha mai baciato nessuno, Charlie Brown?

"Sai perché voglio regalare i guanti a Peggy Jean per Natale? Quando l'ho conosciuta quest'estate al campo, ho notato che aveva belle mani... Voglio che stiano calde... ma non ho 25 dollari per comprarli.... "
"Mandale gli auguri e dille di tenere le mani in tasca "

Grazie, Roberta

Rossoamaro, di Bruno Morchio.


Questa dedica è su "Rossoamaro", il libro ricevuto da Roberta, la nostra capo-ostetrica, che ogni Natale si ricorda di me.
E' una dedica che mi gratifica e mi consola di tutto il sudiciume e il disamore che ci assediano ogni giorno senza pietà.

19 dicembre 2010

Mamma

Nove anni. Non ricordo se la notte fosse fredda come quest’anno.
Non ricordo se Orione splendesse nel cielo invernale, come mi avevi insegnato tanti anni prima. Orione era ricomparso al finestrino di un Tristar che volava in Brasile.
Orione era ricomparso, tanto tempo dopo, al finestrino di un Airbus che volava a Catania.
Ho sperato fosse un tuo segno.
Anche questa sera c’era Orione nel cielo, sbiadito da una luna crescente e trionfante a nostro dispetto.
Da tempo non vivevamo assieme e ti chiamavo, come tutti, “Nonna Maria”.
Da qualche giorno avevo spostato il tuo letto in soggiorno  e il mio nella cucina della grande e vecchia casa.
Speravo ancora che la grande casa mi sopravvivesse.
Da qualche giorno avevo capito che sarebbe stato il Natale più triste della mia vita e che non ci saresti arrivata.
E così avevo ripreso a chiamarti mamma.
Ero da solo; solo con i miei tanti, troppi giorni di ferie, come quest’anno, senza nessuno con cui trascorrerle, ma senza le tante ferite che sarebbero arrivate.
Come quest'anno c'era chi aveva scelto questi giorni per lasciarmi sempre più solo.
Ti avevo tenuto la mano fino a metà notte, poi mi ero coricato. E più avanti nella notte mi ero svegliato all'improvviso: il tuo respiro non c’era più.
Inutile chiamare, inutile cercare, inutile sperare di sconfiggere la solitudine.
Siamo rimasti così fino al mattino, poi ho chiamato chi si doveva.
Forse hai ripreso a fare la maestra; ora tu sai e conosci.              

15 dicembre 2010

Birrificio di Como; bevo la solitudine

Birrificio di Como. E’ uno dei posti che amo frequentare da solo. La birra è buona; non eccezionale, ma molto sopra le birre commerciali. Ci si mangia discretamente, a volte anche bene.
Qui posso stare da solo. I camerieri, studenti o stranieri che siano, non offrono e non danno confidenza; pochi i sorrisi ma il servizio è abbastanza veloce.
Sono sbarcato a Malpensa da Catania. Ho lasciato una pioggerella freddina per trovare un cielo di Lombardia terso e gelido.
Ho lasciato gente allegra, spensierata, sempre in ritardo, approssimativa, affettuosa e presuntuosa per trovare i Lombardi compassati, sorridenti, in discreto orario, ben organizzati e altrettanto presuntuosi.
La presunzione è la certezza di aver ragione sapendo di avere torto. La differenza è che i Lombardi  non ammetteranno mai di avere torto, i Siculi sì, ma gli uni e gli altri proseguiranno per la loro cattiva strada.
Ordino arrosticini e cus-cus con un boccale di Breva ambrata, ad alta fermentazione; come mettere insieme cucina araba e luppolo alsaziano in modo armonioso. Qualcuno imparasse...
Attorno a me tutti i tavoli sono occupati da coppie, ma coppie forzate di amici e colleghi; qualche impiegato solitario mangia insalata mista e triste leggendo il Corriere.
Bancari che diffondono nel raggio di due metri un misto di dopobarba e profumo costoso e asciutto mangiano piatti unici bevendo acqua minerale, proprio qui in birrificio.
Un tipo sulla trentina ha i capelli troppo lunghi per essere un impiegato, veste troppo casual per essere financo un fattorino di banca. Forse è un programmatore, ha comunque l’aspetto di chi vive d’informatica.
Mangia, chinandosi ad ogni boccone sulla forchetta, una milanese e mi guarda torvo perché ha già incrociato due volte il mio sguardo; tranquillo, a me piacciono le donne e la tua cotoletta è assai unta.
Un’impiegata, ma no, qualcosa di più, ma certo non ancora dirigente di qualche setificio, siede al tavolo con due colleghi maturi che cercano di compiacerla mantenendo il sorriso costante a bocca piena anche mentre affrontano un filetto alla piastra dall’apetto un po’ coriaceo.
Poca birra e volume delle voci moderato; la quasi dirigente invece inforca l’auricolare bluetooth e contemporaneamente mastica, parla a voce molto alta, gesticola, e un paio di volte si ficca la lama del coltello in bocca per leccarsela. Finita la telefonata parla del marito, passabilmente bene…
Rifiuto fermamente il caffè ed esco felice che nessuno mi abbia rivolto la parola; l’autostrada mi aspetta fino a Milano.

09 dicembre 2010

L'enorme tempo di Giuseppe Bonaviri

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Libro stupendo. Forse la mia affezione per la Sicilia mi porta ad essere particolarmente generoso nel giudizio.
Questo diario di giovane medico fa affiorare una Sicilia apparentemente dimenticata ma ancora viva e i cui tratti sono ancora riconoscibili nei paesi, negli uomini e nelle donne dell'entroterra siciliano.
A volte per questi romanzi di Bonaviri si è usata la definizione di neoverismo.
Da questa umanità dolente e sconsolata emerge comunque l'anima dell'Isola, di quest'isola, che si può incontrare ancora, a saperla leggere.
Il senso di impotente pessimismo che aleggia fra le pagine mi riporta alle mia prime esperienze di medico, e mi ha riportato alla stessa atmosfera, anche se vissuta fra le montagne della Valtellina, estendendo ben al di là dell'Isola il messaggio di Bonaviri.
La frase con cui si chiude il libro racchiude tutto il pessimismo isolano e il legame struggente con la sua terra: "Temo che di Mineo resterà una grande macchia in alto sul monte tra fichidindia, fogliose cave di rena, e, chissà, di fiori gialli di maggio. "