19 giugno 2021

Il pediatra, i sintomi e le manifestazioni.

 


Fra le migliaia di chiamate preoccupate che riceve regolarmente un pediatra ho cercato di fare mente locale ripensare agli ultimi 40 anni di telefonate per stilare una classifica delle cause di preoccupazione e a volte di panico, che trasformano spose serene in livide, scarmigliate e spiritate prefiche.

La regina del popolo dei sintomi e delle manifestazioni è sicuramente la febbre. Non è dato sapere da dove inizi e quando. Per qualcuno da 37.1, per altri da 38.  

Da quanto tempo dura la febbre e quante decine di volte si deve misurare ogni giorno e con quale termometro? E’ meglio il termo-scanner o quello di vetro o meglio ancora quello a mercurio della nonna Lina? E dove si misura? Sotto l’ascella, in bocca, nelle orecchie, sulla fronte, all’inguine o nel culo? Bisogna essere precisi e comunicare diligentemente al dottore tempi e modi.

In caso di dubbio anni fa un papà ha fatto la prova della verità e prima di disturbare il pediatra ha misurato la temperatura rettale della suocera per avere la certezza che il termometro leggesse la corretta temperatura corporea (è una storia vera e lo giuro su quanto ho di più caro), ma era un papà, non una mamma.

Il panico, come l’iperpiressia, inizia a 38.5. La vera iperpiressia, oltre la stratosfera dei 39.5° non è contemplata e non si può parametrarne le reazioni.

Subito dopo la febbre viene la tosse nelle sue varianti descrittive a volte fantasiose: grassa, catarrosa, secca, spastica, irritativa, periodica, notturna, abbaiante, al risveglio, canina, asinina, ràntega, ricorrente, stagionale o incessante.

Il terzo posto nelle cause efficienti di telefonata al pediatra è saldamente tenuto dai puntini rossi: macule, papule, vescicole, petecchie, chiazze, macchie, orticate, nummuli, eritemi, esantemi, foruncoli e brufoli tolgono il sonno e la tranquillità anche alla coppia più felice che viva nel Mulino Bianco.

Dall’altra parte del filo, della tastiera, del monitor, del tablet, dello smartphone, insomma dall’altra parte della barricata ci sta il pediatra.

Almeno i pediatri, quelli a tempo pieno. Poi ci sono quelli che lo fanno solo a ore.

A volte il pediatra spegne il cellulare, a volte si rifugia dietro la segreteria telefonica, a volte si chiede se il fuso orario sia cambiato a sua insaputa, ma a volte... risponde.

E il pediatra è protervo, curioso, inutilmente e fastidiosamente pignolo.

Dopo l’accurata descrizione delle chiazze un po’ rosa e un po’ rosse che sono comparse dopo le 2 di notte sul culetto chiede: ma il bambino come sta? Ah, lui sta bene e dorme ancora: sono io ad essere preoccupata – incalza la mamma.

Se ci sono febbre, tosse e puntini rossi tutti insieme il pericolo è scongiurato. Non si telefona al pediatra ma si corre in Pronto Soccorso. Adesso che c’è il Covid-19 non è una decisione immediata ma lungamente meditata e decisa a tavolino dopo frenetiche consultazioni di coppia che nemmeno alla conferenza di Yalta o agli accordi di Camp David.

Tanto al Pronto Soccorso chiamano un altro pediatra.

Il pediatra si chiede se anche ai geometri, ai ragionieri, agli elettricisti, ai magut e agli avvocati tocchi rispondere alle ore più impensate, soprattutto durante i pasti o al mattino della domenica. Forse per gli idraulici c’è l’attenuante immaginifica della signora insonne e insoddisfatta e infatti in Lombardia li chiamano trumbèe.

Ma il pediatra, qualunque pediatra, alla fine da tanto tempo se n’è fatta una ragione. E stancamente afferra lo smartphone e preme il pulsante di risposta con il sorriso stereotipato e i boxer a pallini blu.

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