03 luglio 2017

Un ritorno - 2


La ragazza, sui trentacinque, è raggomitolata sul sedile, con le gambe flesse, e sembra fusa insieme allo smartphone nel quale parla concitata.
Una sahariana le permette una posizione acrobatica ma castigata dalla quale conversa con sua madre a un volume sufficientemente basso da non turbare troppo il mondo circostante, ma abbastanza alto da non permettermi di sonnecchiare.
-  Lo stress la fa dimagrire, altri invece ingrassano, mamma, e i figli di Francesco sono disperati, e le figlie di Lucia la fanno dannare, fortunata lei che non ne ha, d’altra parte il ginecologo è stato esplicito, ma forse è meglio cambiarlo, mamma, che ne dici? E Donato è lontano ma è sempre un caro amico, e sì lei sta bene e scenderà a Rimini – Liberazione! – e poi non si sa come finirà con questo nuovo lavoro che appare interessante ma non permette di esprimere liberamente la sua natura. -
La telefonata finisce bruscamente, prima che la scoperta della sua natura turbi il mio dormiveglia; una coppia di auricolari appare per magia; la ragazza assume una posizione più consona al viaggio e chiude gli occhi immergendosi nella sua musica.
L’Adriatico scorre veloce rimandando le prime spiagge di Cattolica e Misano. 
- Scendo a Riccione – tuona nel cellulare a due file di distanza una voce maschile stentorea e romanesca – e vado a pranza’ in quella trattoria vicina a Pepe Nero, poi prendo il pullmann e salgo da te, ma non ti disturbare, non voglio che tu lasci i tuoi impegni, sei già abbastanza impegnato – ah, parla con un amico, sì il tono con una donna sarebbe stato più sommesso, confidenziale e complice – ah non si mangia bene in quel posto… come? È meglio Mariscos? Ma si paga il giusto? Bene, e ci saranno autobus anche di domenica? Non ti preoccupare, fai quello che devi fare che ora arrivo e poi salgo. –
Anche questa telefonata finisce bruscamente, la fanciulla scende a Rimini e si libera il posto al finestrino; vicino al vetro l’aria condizionata concede respiro e asciuga il sudore ma la ferrovia si allontana inesorabilmente dal mare.
Cesena.
Forlì.
Faenza, il mio primo congresso a ventott’anni.
Parlavo in pubblico per la prima volta dai tempi delle assemblee del liceo, ma questa volta era un’altra cosa.
Ero talmente impreparato da non avvertire alcuna emozione e parlai dal palco con la sicumera dell’assistente universitario che crede di sapere già tutto.
Nessuno fece domande, credo che l’argomento fosse talmente banale – oggi me ne vergogno ancora – ma mi emozionò l’applauso tiepido che non si nega a nessun intervento; ma non lo sapevo ancora.  
Salgono due signore, piacenti, sulla cinquantina, eleganti nel casual firmato.
Si siedono con grazia, parlano sottovoce, sono insegnanti, la loro buona educazione e il tono sommesso mi conciliano l’inquieto dormiveglia. 
Ci pensa il mio cellulare.
 
E’ un papà spaventato da quanto sta succedendo alla sua bimba di un mese. Cerco di tranquillizzarlo assicurandolo che verse le 18 sarò in ospedale e mi occuperò di loro.
Non è nulla di importante, ma il panico si è impadronito di loro.
Chiudo con una delle mie citazioni – Nell’urgenza l’unica cosa che non serve è il panico! -
Tanto basta per stimolare il sorriso della signora di fronte.
Moglie di medico, oculista e primario, si sente riconoscente e complice dell’inatteso compagno di viaggio.
Così parlando di ricordi d’università, Roma, il sindaco di Roma - disgrazia peggiore dell’Urbe, mi creda, dottore – non dubito signora – ultima fermata Castel Bolognese e finalmente Bologna Centrale.
Le signore, la moglie di medico e la silenziosa prenderanno un Frecciarossa che scende, io un Frecciarossa che sale.
L’app di Trenitalia mi informa che viaggia con dieci minuti di ritardo; ci stanno una birra e un panino mignon al salmone.
Frecciarossa ferma, quando ferma a Bologna, a un piano del ferro che sta due piani sotto la stazione.
Scendo scale mobili modernissime che evocano stazioni delle città tedesche o la splendida e smisurata Madrid Centrale.
Ripenso agli USA dove quasi ogni città è la fedele riproduzione dell’altra e solo l’occhio esperto riconosce lo skyline di Denver da quello di Detroit.
Le stazioni sono moderne ma inesorabilmente vecchie e restilizzate solo dall’inox e dal plexiglas. Le ferrovie americane contendono a Greyhound l’umanità che non possiede i soldi per viaggiare in aereo e che non possiede un’automobile.
Oppure la massa critica dei pendolari ispanici e di colore.


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