20 maggio 2020

In modo equanime ci sono ciclisti e ciclisti.


Quasi ogni giorno leggiamo che la bicicletta è il mezzo di trasporto più sicuro durante questa fase post-pandemica.
Verso Bratislava
Sono stati previsti dei bonus per l’acquisto di biciclette e monopattini e già questo è un segno dell’insipienza del Legislatore, come se si trattasse di cose simili; certo hanno due ruote, ma finisce lì, come noi e i polli camminiamo su due zampe.
In Regione Lombardia, al Pirellone, da anni ci sono anche asini evoluti come scimmie che hanno acquisito l’andatura bipede e il dono della parola ma la corteccia cerebrale tradisce l’ontogenesi incompleta.
In modo equanime ci sono ciclisti e ciclisti.

Personalmente credo di aver imparato a pedalare prima di iniziare a camminare.
Le mie bicilette segnano le epoche della mia vita, più o meno come gli sci, sono che dopo la trentina ho deciso di appendere gli sci al chiodo.
Durante l’infanzia ricordo vagamente una bicicletta color rosso sangue di bue e il giorno in cui trionfante ho tolto le rotelle.
Seguì un’Atala verdino, un po’ più scuro del classico verde della mitica Bianchi. Comunque su quell’Atala sono andato aventi e indietro da scuola sino alla terza o la quarta elementare quando il clima lo suggeriva.
Poi ci fu un’Atala giallo metallizzato, piuttosto brutta ma con la quale arrivai a agevolmente alla terza media con ginocchia sbucciate e qualche puntata fino ai paesi vicini pedalando lungo interpoderali sterrate perché la strada statale era già molto pericolosa.
Nell’età in cui oggi si conquista lo scooter toccò a una Legnano fiammante, rossa come un’Alfa Romeo e con il cambio a quattro rapporti.
Su questa montai un contachilometri meccanico la cui taratura era approssimativa come i tempi del tempo.
Grande interesse per i primi freni a disco nel 2004
Ci fu l’eclisse della motocicletta, anzi due o tre, nulla di trascendentale, poi ritornai alla bicicletta con le prime mountain-bike.
Poi arrivò il tempo del cicloturismo all’inseguimento delle piste ciclabili, soprattutto in Svizzera, dove i miei figli potessero pedalare sicuri.
Il resto è storia recente. I fiumi europei più importanti: l’Inn, il Danubio, il Reno, l’Elba, il Neckar e in Francia il Canal du Midi.
Una puntata in Olanda, per scoprire la rete di ciclabili distinta e distante dalla viabilità motorizzata.
Uno dei momenti più liberatori è per me pedalare in città, soprattutto da quando i centri storici sono stati chiusi al traffico e ho imparato ad affrontare i binari tramviari.
Mi ci sono ciclisti e ciclisti.

I corridori
Questa è la categoria più divertente, almeno in Italia.
Usano biciclette da corsa, di costo adeguato al censo ma spesso non alla stazza.
Non è infrequente vedere qualche signore sovrappeso pedalare su un gioiello con telaio in fibra di carbonio leggerissimo con cambi a 200 velocità e ruotine sottili senza battistrada.
Il ciclocomputer è di ultimo grido e calcola almeno 30 funzioni che vanno dalla velocità media al ritmo di pedalata, alla pendenza, alla velocità mediana degli ultimi 5 chilometri per passare alla frequenza cardiaca, a quella respiratoria e all’ossido nitrico esalato.
Le biciclette da corsa ora hanno dei segnalatori luminosi a led che mandano lampi bianchi e rossi come gli aeroplani in assetto di crociera, però manca il campanello, assolutamente vietato pena la perdita della dignità.
Piegandosi al buon senso da qualche anno i corridori hanno accettato il caschetto al posto del berrettino di tela pubblicitario che ricordava qualche macchina del caffè.
I corridori evitano accuratamente le piste ciclabili, escono in gruppo, si affiancano, si sorpassano regolarmente per “tirare” la fila, se possono non rispettano i semafori e fanno gesti di ogni tipo, ma il dito medio alzato è il preferito, a chiunque rivolga loro la parola.
Stranamente le biciclette da corsa non hanno mai freni a disco o idraulici; come il campanello credo sia un problema di risparmio di peso.
Le biciclette dei corridori emettono un ronzio sommesso, come di cicale col silenziatore. Più il rumore è sommesso, più alto è il costo della bicicletta. Che costa come una motocicletta ma di quelle belle.

I cicloturisti
Girano gran parte dell’Europa con borsoni laterali posteriori. Qualche coraggioso aggancia anche delle borse anteriori alle forcelle, a rischio di cadute rovinose nelle discese più veloci.
La tecnologia è venuta in aiuto degli audaci che montano raffinati navigatori satellitari e scovano le piste ciclabili anche dove non sono segnalate, cioè in Italia quasi sempre.
Le biciclette sono robuste e pesanti, con buoni cambi di trasmissione e da un po’ di tempo anche comodissimi freni a disco idraulici, ben modulabili.
Chi abbia guidato delle motociclette moderne sa bene quanto sia utile disporre dei freni modulabili idraulici rispetto a quelli meccanici di un tempo.
A metà del ponte sul Danubio
Non manca chi preferisce disporre di biciclette da corsa trasformate e addomesticate, ma queste in genere sono un po’ troppo fragili.
Poi c’è chi si acquista in Germania biciclette progettate per il cicloturismo, solide e robuste come le vecchie Volkswagen degli anni ’60 del secolo scorso e ugualmente difficili da condurre.

I ciclisti cittadini
Sono gli eredi della tradizione dei pedalatori del secondo dopoguerra.
Non guardano con particolare interesse ai cambi di trasmissione, alle ultime novità, alle forcelle ammortizzate, ai freni idraulici.
Usano qualsiasi bicicletta, anche arrugginita, anche con freni a bacchetta, indipendentemente dall’età e dal sesso.
Le biciclette da donna si distinguono per avere la canna ribassata ma soprattutto un indispensabile cesto anteriore di grandi dimensioni.
Nel cestino non ci si mette quasi nulla ma serve egregiamente a proteggere da sguardi indiscreti nel malaugurato e raro caso che le proprietarie pedalino con la gonna.
In effetti la bicicletta dona umanità alle signore cittadine, più propense a sorridere ai semafori abbandonando temporaneamente lo sguardo perso in lontananza dimentiche della messa a fuoco.
Sarà anche un problema di sopravvivenza perché con lo sguardo perso nel vuoto e la messa a fuoco all’infinito ci si può fare molto male pedalando in città.
I ciclisti cittadini amano le piste ciclabili e guardano con odio mal dissimulato chi le occupa, solitamente mamme o babysitter estemporanee con passeggini e carrozzine, ma spesso anche automobili parcheggiate alla cazzo di cane.
L’odio è ricambiato quando i ciclisti che non trovano le piste ciclabili salgono sui marciapiedi.
In ogni caso sono la categoria che riscuote più successo e simpatia.

1 commento:

Unknown ha detto...

Io faccio parte delle cicliste cittadine... 2 bivi nella mia viat... La prima, tarda adolescenza una graziella bordo'... Mi ha visto scorrazzare ad alta velocità, prendendomi un sacco di maledizioni, quando non esistevano divieti e la città era naturalmente sicura. La riviera di Pescara e Montesilvano, il mio circuito. Con le amiche, da sola o con il fidanzatino. Ka seconda, è sempre la mia bicicletta, ormai d epoca, un atala violetta, con il cesto davanti, anche se uso sempre pantaloni o pantaloncini. Ero tentata di cambiarla, ma io faccio parte della generazione che una bicicletta è come l auto... Se è distrutta la cambio, non mi piace la moda... Sempre perché sono una ciclista cittadina