09 agosto 2010

Alberto Davanzo ha scritto "Compagni a quadrivio Zappata"

Un libro scritto nell’italiano smagliante e nitido di chi ha studiato. E di chi ha iniziato a studiare anche prima del ’68, prima della bufera che ha travolto scuola e società abbattendo miti stantii preconfezionati e catacombe di nozionismo.
Con questo italiano un po’ ricercato e un po’ desueto Alberto Davanzo dipinge e a volte addirittura scolpisce la Torino e l’Italia degli anni ’60 e quelli del successivo decennio.
La storia è credibile, è plausibile e, in fondo, sicuramente credo, un po’ autobiografica.
Sono anni che ho attraversato a mia volta, spesso condividendo, spesso criticando nuovi miti e idee, senza perdere di vista le mie radici.
Il viaggio nell’Italia di quegli anni, i luoghi e le atmosfere sono quelli in cui ho studiato e attraversato l’università, i suoi riti, i suoi ideali poi in parte traditi.
I miei viaggi interminabili in treno mi portavano a fare conoscenza con occasionali compagni, a volte anche compagne di viaggio.
I compagni, quelli che seguivano ideali che garrivano come bandiere, quelli che sono partiti per la Romania o per la lotta armata, li ho sempre e solo considerati compagni di viaggio e non mi è accaduto di rincontrarli al quadrivio di Rogoredo, dove spesso il mio treno si arenava prima di entrare a Milano Centrale.
E poi non sono mai stato un “compagno”; sono sempre stato allergico a dogmi e liturgìe che sventolassero bandiere di ogni colore.
Quello che non ho trovato nel libro, e forse non dovevo cercare, è stato il bilancio critico quest’epoca che ha abbattuto dei miti ma che non li ha più, o forse non ancora, sostituiti.
Gli anni sessanta, o meglio, i miei sessant’anni, sono occasione di bilanci, e non li trovo molto positivi.
Non parlo del mio bilancio personale, che sino ad oggi e per me è attivo, anzi ho raggiunto una posizione che non merito senza aiuti esterni, credendo solo ciecamente nei miei modesti ideali.
Ma il bilancio della nostra generazione, questo no, non è attivo.
Cosa è rimasto delle vostre e nostre lotte? Questo mondo che rifiuta i flussi migratori, che teme i diversi e si fa beffe del senso di cittadinanza, è quello che volevamo?
E avrei altre riflessioni amare.

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