19 dicembre 2010

Mamma

Nove anni. Non ricordo se la notte fosse fredda come quest’anno.
Non ricordo se Orione splendesse nel cielo invernale, come mi avevi insegnato tanti anni prima. Orione era ricomparso al finestrino di un Tristar che volava in Brasile.
Orione era ricomparso, tanto tempo dopo, al finestrino di un Airbus che volava a Catania.
Ho sperato fosse un tuo segno.
Anche questa sera c’era Orione nel cielo, sbiadito da una luna crescente e trionfante a nostro dispetto.
Da tempo non vivevamo assieme e ti chiamavo, come tutti, “Nonna Maria”.
Da qualche giorno avevo spostato il tuo letto in soggiorno  e il mio nella cucina della grande e vecchia casa.
Speravo ancora che la grande casa mi sopravvivesse.
Da qualche giorno avevo capito che sarebbe stato il Natale più triste della mia vita e che non ci saresti arrivata.
E così avevo ripreso a chiamarti mamma.
Ero da solo; solo con i miei tanti, troppi giorni di ferie, come quest’anno, senza nessuno con cui trascorrerle, ma senza le tante ferite che sarebbero arrivate.
Come quest'anno c'era chi aveva scelto questi giorni per lasciarmi sempre più solo.
Ti avevo tenuto la mano fino a metà notte, poi mi ero coricato. E più avanti nella notte mi ero svegliato all'improvviso: il tuo respiro non c’era più.
Inutile chiamare, inutile cercare, inutile sperare di sconfiggere la solitudine.
Siamo rimasti così fino al mattino, poi ho chiamato chi si doveva.
Forse hai ripreso a fare la maestra; ora tu sai e conosci.              

Nessun commento: