15 dicembre 2010

Birrificio di Como; bevo la solitudine

Birrificio di Como. E’ uno dei posti che amo frequentare da solo. La birra è buona; non eccezionale, ma molto sopra le birre commerciali. Ci si mangia discretamente, a volte anche bene.
Qui posso stare da solo. I camerieri, studenti o stranieri che siano, non offrono e non danno confidenza; pochi i sorrisi ma il servizio è abbastanza veloce.
Sono sbarcato a Malpensa da Catania. Ho lasciato una pioggerella freddina per trovare un cielo di Lombardia terso e gelido.
Ho lasciato gente allegra, spensierata, sempre in ritardo, approssimativa, affettuosa e presuntuosa per trovare i Lombardi compassati, sorridenti, in discreto orario, ben organizzati e altrettanto presuntuosi.
La presunzione è la certezza di aver ragione sapendo di avere torto. La differenza è che i Lombardi  non ammetteranno mai di avere torto, i Siculi sì, ma gli uni e gli altri proseguiranno per la loro cattiva strada.
Ordino arrosticini e cus-cus con un boccale di Breva ambrata, ad alta fermentazione; come mettere insieme cucina araba e luppolo alsaziano in modo armonioso. Qualcuno imparasse...
Attorno a me tutti i tavoli sono occupati da coppie, ma coppie forzate di amici e colleghi; qualche impiegato solitario mangia insalata mista e triste leggendo il Corriere.
Bancari che diffondono nel raggio di due metri un misto di dopobarba e profumo costoso e asciutto mangiano piatti unici bevendo acqua minerale, proprio qui in birrificio.
Un tipo sulla trentina ha i capelli troppo lunghi per essere un impiegato, veste troppo casual per essere financo un fattorino di banca. Forse è un programmatore, ha comunque l’aspetto di chi vive d’informatica.
Mangia, chinandosi ad ogni boccone sulla forchetta, una milanese e mi guarda torvo perché ha già incrociato due volte il mio sguardo; tranquillo, a me piacciono le donne e la tua cotoletta è assai unta.
Un’impiegata, ma no, qualcosa di più, ma certo non ancora dirigente di qualche setificio, siede al tavolo con due colleghi maturi che cercano di compiacerla mantenendo il sorriso costante a bocca piena anche mentre affrontano un filetto alla piastra dall’apetto un po’ coriaceo.
Poca birra e volume delle voci moderato; la quasi dirigente invece inforca l’auricolare bluetooth e contemporaneamente mastica, parla a voce molto alta, gesticola, e un paio di volte si ficca la lama del coltello in bocca per leccarsela. Finita la telefonata parla del marito, passabilmente bene…
Rifiuto fermamente il caffè ed esco felice che nessuno mi abbia rivolto la parola; l’autostrada mi aspetta fino a Milano.

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