27 dicembre 2010

Natale in Pediatria

Ho lavorato tutte le Feste; non sono stato in prima linea, né in trincea, ma con il badile in mano;  pronto a dare una mano ai giovani pediatri allo sbaraglio.
Ne sono uscito come sempre un po’ deluso. Ma che genitori girano?
Mamme ansiose telefonano per rigurgiti, vomiti e brufoli; per fortuna d’inverno non ci sono le ortiche, ma d’estate qualche orticata è pure arrivata in Pronto Soccorso.
Padri terrorizzati da un prelievo di sangue chiedono più volte se è proprio necessario “bucare” l’erede, poi escono dalla sala medica con gli occhi sbarrati.
Madri implorano un ricovero per alcuni giorni per “stare tranquille” e fanno pendant con altre che firmano il rifiuto della prestazione e si portano a casa bambini con la polmonite, tanto poi torneranno di notte da noi o in qualche altra Pediatria…
Ma una volta ho perso le staffe e ho chiesto: “Ma a me  cosa viene in tasca a ricoverare suo figlio? A fargli un prelievo? A perdere due ore per fare una cartella perché nessuno dei due genitori ha il buonsenso di portare il bambino urlante in camera mentre cerco di raccogliere la storia clinica?”
Qual è la nostra colpa e il nostro peccato? Fra poco ci troveremo “untori” e colpevoli di diffondere epidemie di orticaria e mal d’orecchie.
Poi ci sono i genitori dei bambini veramente ammalati, quelli con la cardiopatia congenita che li porta in cielo alla vigilia di Natale, quelli con i tumori al cervello, quelli con le malattie metaboliche che non guariscono, quelli con l’epilessia che non risponde ai farmaci.
Quelli sono la nostra consolazione; telefonano per gli auguri; chiedono scusa per il disturbo; portano il panettone alle infermiere; quelli ci fanno sentire meno inutili e ci trattengono qui.
Altrimenti saremmo andati in Africa da tanti anni, a curare le malattie vere.

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