09 febbraio 2012

8 febbraio 1985


Pediatria dell’Ospedale di Morbegno (Sondrio). Di piano ospedaliero regionale non si parla; di organizzazione provinciale neppure.
Morbegno, Chiavenna, Sondrio e Tirano; ognuno ha la sua piccola Pediatria; a Sondalo ne hanno una fattispecie.
I bambini vengono ricoverati e rimangono per giorni e giorni ad occupare i letti per giustificare l’esistenza di reparti autoreferenziali, dove si cerca di curare un po’ di tutto.
Le sezioni di Patologia Neonatale sono poche e spesso sempre piene.
Ma nonostante tutto a Morbegno decidono di partorire due gemellini alla ventottesima settimana di gravidanza.
Messi insieme non raggiungono due chili e mezzo! Almeno uno appare condannato. Sicuramente insorgeranno complicanze polmonari: di respiratore per neonati a Morbegno ce n’è uno solo e che lo sappia far funzionale non c’è nessuno.
Di guardia c’è un giovane pediatra.
Per la verità non è proprio giovane, anzi, di esperienza ne ha già un po’. Non si è fatto le ossa a Morbegno, ha preferito prima Verona, poi Genova e infine Lecco.
E’ un po’ frustrato. E’ tornato a Morbegno, dove ha una casa, sperando che la sua esperienza potesse servire.
Ma i tempi non sono ancora maturi in Valtellina. Si preferisce proseguire per la strada tracciata negli anni nascondendo dietro “l’esperienza” la chiusura verso l’innovazione e l’aggiornamento.
Ma i due gemellini decidono di nascere mentre di guardia c’è questo “giovane” pediatra.
E prende una decisione avventata: decide di trasferirli in un centro di Patologia Neonatale.
Dopo alcuni tentativi trova il posto al S. Matteo di Pavia.
Concetta, Valentina, Roberta e Chiara, il futuro!
Fra il dire e il fare, come di questi tempi, ci si mette una nevicata.
Mentre si prepara l’ambulanza il nostro chiede ai Carabinieri una servizio di scorta sino a Pavia. Non c’è ancora la superstrada, mancano due anni alla sua apertura e c’è da affrontare prima la litoranea orientale, poi la vecchia statale da Lecco a Milano.
E così una gazzella dei Carabinieri si presenta davanti al vecchio Pronto Soccorso di Morbegno con i lampeggianti accesi.
In una frastuono di sirene laceranti si avviano verso Pavia, verso una Patologia Neonatale, verso una promessa di vita da mantenere.
Il seguito sarà molto più prosaico.
Pochi mesi dopo il “giovane” pediatra verrà accusato dal suo primario di non aver risposto a una chiamata di reperibilità.
Chi  lo conosce sa che non è possibile, che non può essere vero, e infatti nessuno ci ha creduto.
Ma i tempi sono quelli e il nostro viene allontanato dall’ospedale e mandato a lavorare nei consultori e nella medicina scolastica.
Ora non è più, purtroppo, un giovane pediatra, ma è contento della strada che ha percorso e che rifarebbe passo per passo; i giovani medici che ci lavorano assieme sanno di essere  una ricchezza, una risorsa e una promessa di vita.
E ha capito una grande verità: nessuno è profeta in patria.
E’ più semplice esserlo all’Università di Milano o all’Ospedale di Catania; e qualche volta è anche più piacevole.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

che fortuna per le sue dottoresse ad avere un "capo" così!!!!!!

Monica mimangiolallergia ha detto...

Caro Paolo, questo post merita più visibilità. Credo proprio che lo proporrò come lettura al prossimo appuntamento del venerdì del libro, con qualche riflessione.
Lieta dell'incontro.