02 agosto 2012

La bottega


Classe 1912 - Morbegno - la zia è la seconda da sinistra in terza fila
Si ha un bel chiamarlaAlimentari, sali e tabacchi”, ma questo è un temine che va bene per le generazioni nate dopo gli anni '60 del secolo scorso.
Per noi e per chi ha conservato un po' di nostalgia del vivere in paese il termine giusto èbottega”, con varie declinazioni.
Cambiava da paese a paese e anche nello stesso paese.
La bottega era qualcosa in meno della drogheria, tutto qui.
La drogheria, dove dominava il droghiere, in dialetto lombardofundeghée”, ma assente dal vernacolo valtellinese, era negozio grande e robusto, gestito da maschi.
Ci si trovava di tutto, dal salnitro per garantire la conservazione dei salami, allo zolfo da soffiare in polvere vaporosa nelle vigne, passando per il ceruleo solfato di rame, e finire con pesanti cartoni di saponein scagliee rotoli di corda.
Nella drogheria si entrava con soggezione, temperata dalla malcelata soddisfazione che si sarebbe trovato tutto e a giusto prezzo. Nel mio paese ce n'era una sola: la Cooperativa.
La Cooperativa era femmina, ma gestita con pugno inflessibile e casacca grigia prima dal Faüstin e poi dal suo terzogenito Diego.
Trent'anni dopo ritrovai gli stessi odori, la stessa penombra e la stessa paternalistica pazienza al di del mare, in qualcheGrocerydell'Oregon.
La bottega invece era una cosa più semplice, di contrada, e spesso gestita al femminile, come dalla mia ieratica zia o dall'umbratileGhinain centro al paese.
Oltre agli alimentari, ai sali e ai tabacchi c'erano articoli diversi e stagionali: carta, quaderni, penne, matite, buste di figurine, e ancora pennini, piccole scatole di pastelli Giotto, lampadine, gomme, temperamatite, tutte cose accomunate da uno scaffale lontano dagli alimentari, con un suo odore e un conseguente suo fascino discreto.
Fuori dalla porta, al sole dall'autunno alla primavera inoltrata, stavano un distributore di sferoidali e multicolori gomme da masticare, e uno di figurine di calciatori, inconsapevoli precursori del self service.
Infine, [... come mi ricordano lettori affezionati e qualcuno anonimo ...] saggiamente ma a giudizio insindacabile della zia, nell'ultimo cassetto a destra, quello dopo la cassa e altrettanto protetto da chiave, stava il mazzo dei libretti.
Il libretto, di solido cartone azzurro carta da zucchero, aveva fogli di carta a quadretti “commerciale”, oppure a semplici righe “di quinta”.
Giorno per giorno i clienti abituali vedevano segnata la loro spesa. Il conto veniva saldato a fine mese o in date concordate comunque dopo il 27.
Era un mezzo di credito artigianale, senza interessi, che ha permesso a molte famiglie un decoro che non era così scontato anche in tempi di boom economico, soprattutto per i primi timidi immigrati dal sud.
Le cose non erano sempre così rosee e quando la zia, per meritati e maturati limiti d'età, passata ormai la settantina, decise di chiudere bottega,le rimase un piccolo mazzetto di libretti a testimoniare quelli che in termini bancari si chiamano tristemente “crediti inesigibili”.


1 commento:

Anonimo ha detto...

Ahahahah!!! anche la mia mamma aveva la bottega!!!! e quando alla fine degli anni novanta ha deciso di andare in pensione anche a lei sono rimasti alcuni libretti azzurri sui quali non è mai comparsa la dicitura "PAGATO"!!!!!!!