18 dicembre 2012

La mia Svizzera

Ho sempre viaggiato molto, in assoluto e in proporzione.
Dopo i cinque anni i miei genitori hanno deciso che li avrei seguiti nei loro viaggi in Europa.
Così fino ai sedici anni mi sono aggregato e ho conosciuto, all'alba degli anni sessanta, Svizzera, Germania, Francia, Danimarca, Austria, Svezia e Jugoslavia.
Poi è venuta la passione per la formula 1, ma era già ai tempi dell'università e viaggiavo da solo o con chi mi capitava, quasi sempre maschietti purtroppo, e ho rivisto Francia e Germania, aggiungendo Olanda e Belgio.
Poi ho iniziato a viaggiare più lontano.
Ho conosciuto la tristezza infinita dei paesi comunisti, la povertà assoluta delle favelas, la desolazione di Sarajevo, la serenità del sud-est asiatico, gli orizzonti degli States sul Pacifico.
Ma il primo amore non si scorda mai e c'è sempre un po' di emozione quando attraverso la Svizzera.
Era un faro di civiltà e mi veniva additata come la società del futuro: democratica, educata, multietnica, ricca.
I prezzi erano convenienti e ci ho passato diversi fine settimana.
Autogrill svizzero
Senza autostrade, da un passo alpino all'altro, interminabili viaggi con migliaia di curve e tanti prati, tante vigne, tante mucche frisone e pezzate.
Grandi laghi d'acqua dolce e gelida, solcati da battelli bianchi con grandi bandiere rosse con la croce bianca.
Tanti ristoranti senza pastasciutta con enormi bistecche e patate due volte al giorno.
Tante bibite dal sapore strano, sempre un po' metallico e meno dolce della nostra aranciata Sanpellegrino nazional-popolare.
Tanta birra sui tavoli, tanto burro salato, salumi secchi e frutta smagliante senza sapore.
Verdure cotte e patate due volte al giorno.
Un cerimoniale complesso per chiedere il sale, evitare i gomiti sul tavolo e forbirsi la bocca prima di bere e dopo aver bevuto a tavola con gli occhi degli adulti che approvavano compunti e indulgenti.
Bandiere rosse con la croce bianca davanti a ogni casa, assieme a tanti gerani e ombrelloni in riva ai laghi.
Bagni puliti, caldi, odore di disinfettante che avrebbe dovuto essere profumato e musica classica durante la prima colazione.
Poi la globalizzazione è arrivata anche in Svizzera.
La buona e rigorosa educazione mostra qualche smagliatura; per le strade si sente episodicamente strombazzare, orrore!
Qualcuno sgomma come a Milano e i poliziotti non sono più così intransigenti.
Nei ristoranti i prezzi sono alle stelle; ora ci sono comode autostrade e anche gli Autogrill sono carissimi, ma hanno affrontato il problema alla radice e non ci si trova una goccia d'alcol.
I prati sono sempre verdi, le mucche sono molte di meno e il formaggio costa più del Parmigiano stagionato tre anni.
Gli Svizzeri non hanno ancora deciso se essere Europei e cosa fare da grandi.
Alla fine questo paese sembra pervaso da una crisi d'identità che lo tiene sospeso fra un passato glorioso e un futuro scomodo.
Dopo il traforo del Gottardo scorrono i nomi dei miei primi viaggi fra un acquazzone e un piovasco.
Ertsfeld, Lucerna, Ergiswil, Goschenen, lo svincolo per Interlaken e quello per Zurich.
Treni rossi, un tempo verdi, sfrecciano o sfilano con lunghe teorie di carri merci mentre mi avvicino a Basel.
Alla fine la frontiera della Germania è quasi un sospiro di sollievo. Si torna in Europa, non mi guardano più male gli euro e i suoi centesimi ma in ogni caso non è più la mia Svizzera.

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