23 dicembre 2012

Storia di uno smartphone e del bambino che gli insegnò a nuotare

Dopo sette giorni trascorsi fra mercatini e terme, fra Foresta Nera e Alsazia, fra pioggia scrosciante e pioggerella insistente, finalmente si torna in Italia.
Dopo una decina di chilometri decido per una pizza. Non è una pizzeria eccezionale, ma si beve una bella birra rossa artigianale che fanno sul Lago e ha il nome di un battello glorioso: il Plinio.
Birra robusta, fresca, con un retro persistente di liquirizia.
Due tavoli discosto stanno due coppie e un bambino di diciotto mesi, così a spanne. Il bimbo vorrebbe giocare o almeno parlare. Niente da fare; se lo sono portato in pizzeria senza un gioco, senza un quaderno, senza nulla; ma il frutto del concepimento pretende un suo spazio.
Piange, stride, si dimena, lancia strilli al limite dell'ultrasonoro; forse basterebbe parlarci un po' assieme, magari facendo la vocina leziosa, o con i verbi all'infinito come si fa con i neri, anche se sono ingegneri.
I genitori, chiacchierano imperterriti con l'altra coppia, altrettanto giovane ma a suo tempo più attenta al controllo delle nascite.
La mamma, spazientita, offre al piccolo un cellulare sperando che si quieti.
Ma a diciotto mesi, peraltro portati bene, uno smartphone Samsung quadribanda non suscita grande interesse.
La mamma insiste e il piccolo prima si mette il telefono in testa, poi se lo getta alle spalle, e infine lo butta.
La mamma paziente lo raccoglie, riprende a chiacchierare, poi con un lampo di genio attiva una suoneria new age e offre il nuovo gioco al piccolo.
Il bimbo non è privo di fantasia e con mossa fulminea infila lo smartphone nella caraffa di rosso della casa, un po' troppo tannico anche per il Samsung, che ammutolisce all'istante.
Il seguito è divertente come una danza della pioggia senza zagaglie.
Son certo che domani la signora si prenderà un nuovo telefono di ultima generazione, potrebbe provare con un Iphone 5.
Speriamo che nelle notti a venire faccia progressi anche in campo anticoncezionale e rinunci a concepire un secondo infelice.

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