22 dicembre 2011

Il giorno più breve e la sera più lunga dell'anno


Sono le 19.30, dovrei tornare a casa. Da questa mattina sono all'ecografo. Le due giovani dottoresse, Valentina e Chiara, mandano avanti il reparto come possono e sanno.
Ogni tanto entrano a chiedere un consiglio, una firma, una rassicurazione.
Roberta è a Catania, dopo mesi di lavoro forsennato. L'altra consulente non c'è.
Pino è in ambulanza per un trasferimento a Monza di un bimbo con una malattia metabolica.
Non sembra, ma stiamo lavorando anche se non c'è il tempo di percorrere il corridoio con il camice negligentemente svolazzante come in un serial televisivo.
Le infermiere non sono truccate, non hanno la gonna corta ma la tuta bianca, nessuno interpreta le lastre guardandole con sguardo sicuro in controluce.
I medici non sono tutti giovani né atletici, né palestrati né abbronzati.
La nonna di una bimba dà in escandescenze e pretende un'ecografia immediata. Do disposizioni perchè venga eseguita subito in Radiologia, ma non va bene, vuole un'ecografia da me! E quindi scende in Direzione Sanitaria a protestare.
Quelli che avevano un'ecografia fissata alle 17 sono entrati in ambulatorio all'alba delle 19.
Sono le 19.30, dovrei tornare a casa. Da questa mattina sono all'ecografo.
Sfilo il camice e lo butto sul divano. Giù, alla vecchia aviosuperficie, lampeggiano luci blu, livide nell'aria tersa.
Ma quale elicottero vuole atterrare a quest'ora, con questo buio, la sera più lunga e il giorno più breve dell'anno?
Invece scende sibilando l'Agusta Westland dell' Elisoccorso Regionale: deve avere un buon motivo.
Indosso con calma la giacca a vento e mi avvio a timbrare l'uscita di una giornata interminabile.
Pino è tornato da Monza. Le giovani dottoresse si avviano all'uscita dopo dieci ore di lavoro ininterrotto.
Timbro l'uscita e passo a salutare gli infermieri del Pronto Soccorso, è quasi un'usanza quando faccio tardi.
Ma giù ci sono fermento e facce tirate. Sembra che l'elicottero abbia portato una caso serio: un giovane del Soccorso Alpino scivolato in valle da qualche ora.
Aspettiamo l'ambulanza e chiedo il nome: non voglio credere all'evidenza, è il papà di un “mio” bambino. Quando dico un “mio” bambino vuol dire un bambino speciale un bambino con problemi, un bambino con tanti problemi, un bambino di quelli che vedi nascere e non scordi e che segui sempre.
Un bambino speciale, di quelli che combattono tante battaglie e se sei un medico vero rimani a fianco dei genitori.
E sullo schermo del monitor compare l'ambulanza che arriva dell'eliporto. Lampeggia e si muove lentamente.
Il papà del mio bimbo lo scaricano senza fretta, non è intubato, non ha accessi vascolari; la barella scorre silenziosa e lenta; la coperta copre il viso.
Non si fa l'abitudine; piango. E mi avvio verso casa.

2 commenti:

Costanza ha detto...

Mi spiace molto, non dev'essere per niente bello. Ed è giusto che le persone vere e profonde come te non si abituino alla morte...
Baci, ti sono sempre vicina

Anonimo ha detto...

Ciao Dottore, il papà di quel bambino così speciale era anche il fratello di un mio carissimo amico è così ho visuto da vicino la tragedia e di fronte a questi drammi ti chiedi perchè..... perchè a lui.... perchè alla vigilia di Natale... perchè a quel bambino così speciale... perchè... perchè.....
Ciao Romina