25 agosto 2013

Lourdes nella notte del 900


1961 - La Fiat 1100 era nuova fiammante, non so come chiamassero i due colori, mi sembra creme e testa di moro, e noi si viaggiava nella pianura francese, dopo aver varcato forse il Monginevro.
Ero con i miei genitori e la mitica zia Angelina, che però era molto alta.
Da tempo la zia aveva espresso il rammarico di non poter vedere Lourdes e mio padre, laico come me, ma come me appassionato di viaggi, aveva deciso di esaudire il suo desiderio.
Le autostrade erano rare, due o tre in tutta Italia e nessuna conosciuta in Francia.  Così il viaggio sarebbe durato molti giorni.
I genitori pregustavano le città d'arte che avrebbero incontrato, Sète, Albi, Toulose, Carcassonne.
Io vivevo lunghe ore afose sulla panca posteriore, con la zia che respirava fazzolettini imbevuti di Chanel n.5 per contrastare il mal d'auto.
Ricordo all'andata Lione, St. Etienne nera del carbone delle sue miniere, Puy en Velay e la salita al Mont Ventoux con la targa che ricordava la salita del Petrarca e l'aura di Bartali e Coppi che questa salita l'avevano corsa durante innumerevoli Tour de France.
Poi caldissime città del Midi de France. 
Nelle trattorie incontri casuali con operai e minatori italiani emigrati che ci guardavano stupiti, compiaciuti e un po' riverenti.
Le strade erano diritte e proseguivano fino all'orizzonte, salendo e discendendo dossi e colline su cui la 1100 arrancava per poi riprendere fiato nell'abbrivio. 

[L'immagine sarebbe tornata trent'anni dopo correndo da Oakland verso il Lake Tahoe, prima di salire la Sierra Nevada, con il sole  implacabile del deserto californiano a combattere con il condizionatore sfiancato di un'asmatica Ford Sierra.]

Poi Lourdes, ai piedi dei Pirenei.
Interminabili teorie già di negozi di souvenirs, santini e paccottiglia. Per ogni dove comitive multicolori e lunghe teorie di carrozzelle per invalidi con una capottina di tela grigiastra per riparare dal sole e dalla pioggia questi infelici.
Erano i tempi della poliomielite, della talidomide, della guerra d'Algeria e tutte queste tristezze si embricavano nei discorsi dei miei genitori, nei titoli dei giornali e si dispiegavano davanti ai miei occhi prepuberi. 

[Il treno corre nella Brianza verso Milano Centrale, è partito dalla Valtellina e mi ha raccolto a Colico, in cima al lago. Sfilano dal finestrino paesaggi che hanno visto corrieri, pendolari, studenti, su treni che puzzavano di sigarette e umanità dolente.]

Poi alla grotta, con la zia che riempiva un fiasco impagliato di acqua benedetta, infermi calati nell'acqua gelida senza un grido, sole estivo temperato dal clima dei Pirenei oltre ai quali c'era la lugubre Spagna di Franco.
E il ritorno verso la costa, con la speranza di fermarci sul mare, sempre delusa da mio padre che lo odiava e ci portava a dormire nell'entroterra della Provenza.
Forse qualche sprazzo di autostrada la incontrammo in Liguria, con il nome retorico e trionfante di 'Autostrada dei Fiori'. Non so se il ricordo si confonde con altri viaggi su viadotti con l'azzurro abbacinante a destra e le distese delle serre a sinistra, con Ospedaletti che si stagliava in alto e nomi che evocavano delitti famosi come Arma di Taggia.
Io rimanevo annoiato a morte sul divano posteriore con la zia al fianco che non aveva mai smesso un giorno di annusare il suoi fazzoletti profumati. 

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