31 maggio 2011

Symi

Il capoluogo è incantevole, visto dal mare
Una sola isola non può bastare, specie se il tempo capriccioso non permette la noiosa e rilassante vita di spiaggia.
E così, giocando a roulette con il meteo, abbiamo caricato la pigra Grande Punto e ci siamo imbarcati su un rugginoso traghetto, il Proteus, salpando alla volta dell’isola di Symi.
Sicuramente non è la più conosciuta delle isole del Dodecaneso, così piccola e incastonata in un’insenatura della costa turca.
Rocciosa e poco accessibile, viveva della pesca delle spugne prima di essere scoperta dal turismo, che però sembra un turismo di rapina, mordi e fuggi in un giorno, ma forse è solo una mia impressione.
Il capoluogo è incantevole, visto dal mare.
Una miriade di casette, che ricordano la laguna veneta, si arrampica sulle pendici di un’insenatura, come alle Cinque Terre.
Le barche dei pescatori, vivaci nelle livree bianche e azzurre, ricordano anch’esse Venezia e la lunga dominazione veneta.
I vicoli sono la solita babele di negozietti di ciarpame e souvenirs, ma non manca qualche bottega che vende a caro prezzo una varietà incredibile di spugne.
Usciamo dall’abitato e ci inerpichiamo lungo l’unica e deserta strada asfaltata dell’isola, che ci porterà al porto meridionale, Panormitis, dove verrà a raggiungerci il Proteus nel primo pomeriggio.
Sono una dozzina di chilometri dibattendosi fra la nebbia e la pioggia, che avevamo già messo in conto.
Le barche dei pescatori, vivaci nelle livree bianche e azzurre
Dall’alto scorgiamo Panormitis, ma non è un villaggio, è invece un austero monastero ortodosso, con un molo che si protende nell’insenatura riparata.
Pensiamo già di doverci accontentare dei panini stantii del traghetto, quando un’insegna curiosa ci indica sulla sinistra la taverna di Marathounda.
Scendiamo per una stradina strettissima e asfaltata sommariamente per tre chilometri fino ad arrivare a un pugno di case sprangate che si dispiegano a lato di una chiesetta lungo una piccola spiaggia ciottolosa.
Spento il motore scopriamo la taverna, l’ultima casa vicino alla chiesetta.
Quattro tavoli sotto a una tettoia. Ha la meglio la fame e ci sediamo.
Quattro antipasti, un pagello e un’orata freschissimi e di dimensioni rispettevoli ci fanno ricredere sulla taverna!
Il ritorno è senza storia, ma almeno il tempo si è volto definitivamente al sereno.

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