17 marzo 2020

Di dove sono?


Ieri ho scritto la consueta relazione semiseria dalla trincea ai tempi del coronavirus.
Visto che si parlava di tempi di scuola l’ho mandata su un gruppo del paese dove sono nato, Regoledo di Cosio.
Mi rendo conto che non ho mai fatto parte di quel tessuto sociale; quando ci passo mi guardano con curiosità malcelata.
Quasi tutti credono che io sia del paese vicino, Morbegno, dove sono vissuto e ho lavorato a lungo: alla fine mi sono convinto a mia volta di essere Morbegnese.
E anche a Morbegno molti ne sono convinti.
Lecco, Pescarenico
Ho lavorato a lungo a Sondrio, scacciato dall’ospedale di Morbegno, ma mi è chiarissimo di non essere mai stato di Sondrio, città triste quant’altre mai.
Il mio papà era di Lecco e questa è la città dove mi sento a mio agio, di cui parlo il dialetto, in cui mi sento immerso, le sue strade non hanno segreti, i suoi quartieri mi sono amici, mi ci trovo come a Morbegno ma ci ho lavorato e vissuto poco.
Da qualche anno frequento Catania, che ho amato dal primo momento, ma da cui mi dividono la lingua e i ritmi di lavoro. Mi ci trovo a mio agio, ma non ci so nuotare.
Da un decennio vivo a Gravedona, sul Lago.
Mi salutano quasi tutti, il dialetto mi piace, ma percepisco una vaga indifferenza, come se “dovessero accettarmi” perché dirigo un reparto del loro ospedale, ma se potessero farebbero tranquillamente a meno.
Mi sento quasi di più Laghèe in senso lato, appartenente a questo Lago che ho sempre amato, a differenza di mio padre che era nato sulle sue rive, a Pescarenico, ma aveva sempre preferito le montagne.
Sto bene in Portogallo. A Lagos mi sento a casa; la lingua è difficile e ostica, ma entrare in sintonia non è difficile; ogni tanto vado a prendere l’aperitivo e quando mi siedo al tavolino la ragazza mi saluta come se mancassi da ieri e invece sono passati due mesi.
E alla fine ritorna la domanda iniziale: di dove sono?

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