14 marzo 2020

Iniziava a impallidire


Ier l’altro sembrava che non si potesse uscire neppure per una passeggiata, un po’ come questa mattina che piove.
Falsa ortica-ibrida - Pian di Spagna (Como)
Dopo una diecina di ore chiuso in ospedale, dieci ore di ordini, contrordini, ipotesi fantasiose, nuove porte e altri cartelli non sapevo come sgranchire i muscoli.
Ho trovato nel ripostiglio due pesetti abbandonati da tre kilogrammi e su youtube una serie di esercizietti per rassodare seno e cosce.
Mi ci sono dedicato a porte chiuse sperando che nessuno di casa salisse a vedere cosa stessi combinando.
Noia mortale!
Io non riesco a pensare cosa pensi chi dedica ore e ore alla palestra; forse tutti a seno e cosce, ma dopo un po’ diventa noioso anche per un settantenne come me.
Rincorrendo pensieri e letture dell’ultima ora mi sono ritrovato in terza media, fra pochi compagni pensionati che ho rivisto su facebook per un recente compleanno multimediale.
Vivevamo il “miracolo economico” che
iniziava a impallidire, confrontandoci le automobili del papà che dieci anni prima sarebbero state impensabili.
Eravamo amministrati da una classe politica che pochi anni dopo sarebbe stata sepolta solo perché la cremazione era difficile e proibita ai cattolici.  
Eravamo imbottiti di buonismo, perbenismo e paternalismo, anche se non ci piacevano i "terroni" che arrivavano con le valigie legate con lo spago e il vino denso e il pane duro e buono.
Poi è arrivato il ‘68, sulla scia del maggio francese e la Primavera di Praga.
Poi gli anni del terrore, le stragi, il rosso e il nero, no non quello di Stendhal.
Poi il razzismo, la tentazione della secessione, il crollo del muro, la scomparsa dei comunisti e la loro resurrezione non tre giorni dopo ma poco più.
E ora volevano contrabbandarci il fascismo camuffato, subdolo, a volte maleodorante a volte profumato e contaffatto o pitturato sui muri con le bombolette nere.

Invece è bastato un virus con una particolare corona, un insignificante frammento di RNA di pochi nano-micron, un essere che non ha neppure la dignità di un DNA proprio, ma deve sfruttare quello dell’ospite che infetta, per mandare tutto all’aria. Le nostre certezze sono improvvisamente crollate, sgretolate o svanite, e questo ci fa sentire impotenti perché culturalmente siamo impreparati ad affrontare la dimensione dell’incertezza.  [Giorgio Baratelli]

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